La condotta della parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità dell’immobile alle caratteristiche previste dalla concessione ed ivi autorizzate, integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico. L’indagine sulla sussistenza dell’elemento psicologico (dolo) deve essere particolarmente approfondita, soprattutto nei casi in cui tra le parti sussista un rapporto di stretta parentela.
Questo il principio espresso dalla Cassazione penale nella sentenza 16982 del 4 giugno 2020, ribadendo un orientamento già in precedenza chiarito nelle sentenze 11628/2011 e 5178/2017.
La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello, confermando quella di primo grado, aveva condannato l’imputato per il reato di falso in dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere parzialmente la tesi difensiva, secondo cui erroneamente i giudici avevano ritenuto l’imputato colpevole, senza tuttavia indagare approfonditamente in merito alla sussistenza del dolo normativamente richiesto per la punibilità del reo, ha infatti affermato il principio di cui sopra.
Nel caso di specie, un donante aveva dichiarato che i lavori di costruzione del rustico oggetto di donazione erano stati eseguiti in base a una data concessione edilizia, omettendo però di dichiarare che l’atto concessorio, al momento della donazione, era decaduto e che il manufatto in questione era stato oggetto di un’ordinanza di demolizione.
Secondo la Cassazione è, dunque, configurabile un obbligo a carico del venditore o del donante di rendere dichiarazioni conformi al vero e che, in caso di falsità commessa dal venditore, è ravvisabile il reato di cui all’articolo 483 c.p., il quale si configura quando, nel contesto di un atto pubblico, il dichiarante, venendo meno al dovere di dire la verità, effettui dichiarazioni false, le quali vengano trasfuse nell’atto pubblico.
La falsità ideologica attiene al contenuto (e non alla forma) del documento e consiste in quella condotta tesa a confezionare un documento il cui contenuto non corrisponde al vero; mentre il falso “materiale” compromette la genuinità di un documento, il falso “ideologico” ne compromette la veridicità. Anche per la configurazione del falso ideologico occorre comunque un comportamento doloso.
È sufficiente la sussistenza di un “dolo generico”, ossia nella volontarietà di dichiarare il falso, con la consapevolezza del suo carattere non veritiero, essendo irrilevanti le ragioni che hanno determinato l’agente a effettuare l’attestazione falsa e, quindi, essendo irrilevante, in particolare, qualsiasi accertamento in ordine alla volontà del reo di favorire sé o altri. Il fatto che per la sussistenza del delitto di falsità ideologica sia sufficiente il dolo generico non comporta, però, che il dolo sia “in re ipsa”: al contrario, il dolo deve essere sempre rigorosamente provato e deve essere escluso tutte le volte in cui la falsità risulti essere oltre (o contro) la intenzione dell’agente.
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