La deduzione dei profili di invalidità delle fideiussioni redatte “a valle” secondo lo schema “ABI-2002”, per supposta anti-concorrenzialità “a monte” delle clausole di cui agli artt. 2, 6 ed 8, non è sostenibile con riferimento ai contratti di garanzia che non siano qualificabili nei termini di fideiussione omnibus (fideiussioni c.d. specifiche) mediante la mera deduzione di conformità al modello oggetto del provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia (autorità di vigilanza ratione temporis competente in materia di concorrenza e mercato degli impieghi bancari), neppure potendosi invocare la natura di prova privilegiata di quest’ultimo.
Questo il principio di diritto enucleabile dall’interessante sentenza del 16 giugno 2020 resa dal Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di impresa, Pres. Raffone – Rel. Fucito, nell’ambito di un giudizio introdotto dai fideiussori di una società debitrice nei confronti di un istituto di credito, volto all’accertamento della supposta violazione della normativa anticoncorrenziale ex art. 2, comma 2, lett. a) Legge 287/90, con conseguente richiesta di declaratoria di nullità, tra le altre, della clausola derogativa dei termini ex art. 1957 c.c. contenuta nel modello di fideiussione utilizzato “a valle”.
In particolare, gli attori lamentavano l’utilizzo, da parte dell’istituto di credito, delle clausole fideiussorie nn. 2, 6 e 8 del modello “Abi” in un preciso articolo del capitolato del contratto di finanziamento destinato a regolamentare le accessorie fideiussioni. L’utilizzo di tale modulo avrebbe integrato la violazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) Legge 287/90, così come stabilito nel Provvedimento n. 55/2005 della Banca di Italia.
Le doglianze degli attori afferivano, in particolare, alle note vicende di cui al procedimento istruttorio all’epoca condotto da Bankitalia, in veste di Autorità di vigilanza della Concorrenza e del Mercato con riferimento al mercato degli impieghi bancari, ai sensi degli artt. 2 e 14 della legge n. 287/90 nei confronti dell’Associazione Bancaria Italiana, che aveva condotto l’Authority a concludere per la “potenziale” attitudine anticoncorrenziale degli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus).
A supporto, i fideiussori richiamavano l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 29810 del 12.12.2017, che aveva dichiarato nulle le clausole n. 2, 6 e 8 del modello di fideiussione ABI con una estensione della nullità a quei negozi che costituissero l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte”.
Si costituivano in giudizio sia la Banca convenuta che la cessionaria del credito, quest’ultima in particolare rilevando, per quanto qui interessa:
– la mancanza di un vincolo indissolubile tra l’intesa sanzionata ed il contratto a valle impugnato in causa, mancando riferimenti precipui in esso allo schema ABI non recando il contratto una diretta violazione della normativa antitrust;
– la circostanza che i fideiubenti avevano comunque sottoscritto il rapporto di garanzia senza le clausole asseritamente invalide;
– la circostanza che il contratto impugnato costituisse un contratto autonomo di garanzia e non una fideiussione.
Esaminate e ripercorse le difese delle parti, il Tribunale ha rilevato come le clausole impugnate dai fideiussori riproducessero sostanzialmente il contenuto degli articoli del modello “Abi” censurati nella loro funzione lesiva della concorrenza, ma allo stesso tempo non ha ritenuto la fattispecie dedotta in causa sussumibile nella cornice astratta che pure aveva trovato accoglimento nelle recenti pronunce in argomento del Giudice di legittimità sulla nullità derivata delle clausole nei contratti “a valle” e – parimenti – sulla prova incombente in capo all’attore dell’applicazione uniforme delle clausole in detti contratti “a valle”.
Infatti, il Giudice estensore ha chiarito che, come già esposto dalla Banca d’Italia, l’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale nel provvedimento del 2005 è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore principale ha assunto entro un limite massimo predeterminato ex art. 1938 c.c.. Ciò significa che, qualora taluno sia obbligato rispetto ad una fideiussione in questi termini esposti e così qualificata potrà invocare la natura di prova privilegiata della decisione della Banca d’Italia del 2 maggio 2005 e chiedere la tutela opportuna.
Tuttavia, nel caso di specie, fra le parti vi era un unico rapporto di garanzia: la fideiussione acclusa ad un unico rapporto di finanziamento fondiario e, quindi, non una fideiussione a garanzia di una serie indeterminata, con indicazione dell’esposizione massima garantita, di operazioni bancarie tra il debitore principale e l’istituto di credito.
In altri termini, non essendo qualificabile il rapporto di garanzia dedotto in giudizio nei termini di fideiussione omnibus, il Tribunale ha rilevato l’impossibilità di riscontrare nel merito la sussistenza dei presupposti per pervenire ad una eventuale censura di invalidità delle clausole dedotte nei termini dedotti dai fideiussori.
Al più – ha notato ancora il Collegio partenopeo – gli attori avrebbero dovuto, in punto di allegazione fattuale e documentale, non affidarsi all’istruttoria della Banca d’Italia, per avvalersi della sua particolare funzione probatoria, ma «introdurre autonoma fattispecie con autonomi fatti, volti a censurare l’esistenza di prassi contrattuale diffusa presso gli istituti di credito violatrice per le modalità di applicazione uniforme dell’articolo 2, comma 2, lettera a) della legge n. 287/1990».
In difetto di sufficiente allegazione di fatto, il Tribunale ha ritenuto di non poter formulare alcun rilievo officioso, limitandosi a rigettare la domanda in quanto infondata, con condanna degli attori alla refusione delle spese di lite.
IL COMMENTO
La pronuncia della Sezione “Imprese” del Tribunale di Napoli si inscrive nel dibattito giurisprudenziale, noto ai lettori di questa Rivista, sulle fideiussioni omnibus “schema Abi 2002-2003”, recentemente “riacceso” a seguito di alcuni rilevanti arresti di legittimità.
Il profilo oggetto di analisi, tuttora dibattuto nella giurisprudenza di merito, afferisce alla possibile violazione della normativa Antitrust, che determinerebbe la nullità di quei contratti di fideiussione omnibus che si pongano “a valle” di intese anticoncorrenziali concluse “a monte”.
Il “caso” riguarda potenzialmente quei contratti di fideiussione che recepiscano il modello ABI del 2002 ed affonda le radici nel provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia (all’epoca in funzione di Autorità di vigilanza della Concorrenza e del Mercato con riferimento al mercato degli impieghi bancari).
All’esito di quel procedimento, l’Authority si era pronunciata nell’ottobre 2002 per la “potenziale” attitudine anticoncorrenziale degli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) nella misura in cui tali clausole fossero applicate in modo uniforme. Aveva quindi invitato l’ABI a trasmettere alla Banca d’Italia le circolari, emendate dalle disposizioni citate, prima della diffusione del modello presso il sistema bancario.
Tre, come accennato, le previsioni oggetto di “censura”: a) la clausola di “reviviscenza” (art. 2), che impone al fideiussore di tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento in virtù delle quali la banca si sia trovata a dover restituire il pagamento ricevuto; b) la deroga pura e semplice all’art. 1957 del codice civile (art. 6), che esonera la banca dal dover proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma (6 mesi); c) l’insensibilità alle invalidità dell’obbligazione principale (art. 8), che mantiene fermo il vincolo del fideiussore verso la banca, anche nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide.
Al rinfocolarsi del dibattito aveva contribuito la pronuncia della prima sezione civile della Corte di Cassazione del 12 dicembre 2017, n. 29810, che si era espressa nei termini che seguono:
«In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza».
In verità, come spesso accade, gli “interpreti” del dictum della Suprema Corte hanno esteso la portata della pronuncia ben oltre i limiti che essa intendeva tracciare.
Il principio che se ne evince, infatti, non è in sé la nullità di tutti i contratti di fideiussione che recepiscano lo schema ABI del 2002, ma solo la possibilità che – ove sia provata la concreta applicazione “a valle” delle intese “a monte” – al rilievo di nullità non osta la circostanza che i suddetti contratti si collochino cronologicamente prima del provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005, essendo sufficiente che si tratti di vicende successive all’intesa (non quindi, all’accertamento dell’intesa).
Profili normativi
Sotto il profilo normativo, il divieto di intese anticoncorrenziali (o meglio che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza) consistenti nel fissare i prezzi o altre condizioni contrattuali, è sancito dall’art. 2 co. 2 lett. a) della legge 10 ottobre 1990 n. 287.
Ad essere colpite sono anche “le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”. Le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, in quanto deliberazioni di un’associazione di imprese, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90.
Per sviscerare i profili di complessità della vicenda relativa alle fideiussioni “ABI” è bene ricostruire l’antefatto, che, come già anticipato, trae origine dal provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, che si pronunciò sullo schema di fideiussione omnibus ABI dell’ottobre 2002, già rivisitato a seguito di uno scambio istruttorio tra ABI e Bankitalia, in sede di indagine condotta ai sensi degli artt. 2 e 14 della legge n. 287/90 nei confronti dell’Associazione Bancaria Italiana, avente a oggetto il predetto schema contrattuale.
Esaminato lo schema contrattuale, il livello di diffusione presso gli intermediari (attenzione, della fideiussione omnibus e non già dello schema ABI ancora non diffuso uniformemente all’interno del sistema bancario), le osservazioni delle parti ed il confronto con le altre esperienze europee, Bankitalia così concluse:
“DISPONE
a) gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90;
b) le altre disposizioni dello schema contrattuale non risultano lesive della concorrenza”.
e poi PROSEGUE
“L’ABI è tenuta a trasmettere preventivamente alla Banca d’Italia le circolari, emendate dalle disposizioni citate alla precedente lettera a), mediante le quali lo schema contrattuale oggetto d’istruttoria verrà diffuso al sistema bancario”.
Sulla estensibilità dei profili di nullità ai rapporti “a valle” – I «precedenti» della Cassazione
Il tema della estensibilità dei profili di nullità delle intese restrittive ai rapporti «a valle» e l’invocabilità della stessa da parte dei singoli «utenti» estranei all’intesa è stato affrontato a più riprese dalla Suprema Corte, in particolare in relazione ai giudizi risarcitori instaurati dall’ assicurato per il danno patito per l’elevato premio corrisposto in conseguenza di un illecito accordo «a monte», limitativo della concorrenza tra le Compagnie (cfr. Cass. 28 maggio 2014, n. 11904; cfr. pure, in tema, ad es.: Cass. 23 aprile 2014, n. 9116; Cass. 22 maggio 2013, n. 12551; Cass. 9 maggio 2012, n. 7039; Cass. 20 giugno 2011, n. 13486; Cass. 13 febbraio 2009, n. 3640).
In tale ambito si è sancito il principio della peculiare attitudine probatoria («privilegiata») dei provvedimenti sanzionatori delle Authorities.
In merito alla configurabilità della legittimazione attiva a dedurre le violazioni “Antitrust” con riferimento ai contratti “a valle”, con azione ex art. 33 L. 287/1990, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata, estendendola ad utenti e consumatori (Cass. Civ. SS.UU. 4 febbraio 2005, n. 2207).
Successivamente l’art. 140 bis D. Lgs. 206/2005 ha espressamente introdotto l’azione collettiva per utenti e consumatori.
Va però evidenziato che entrambi i riferimenti normativi individuati dalla giurisprudenza (art. 33 L. 287/1990; art. 140 bis D. Lgs. 206/2005) per enucleare la legittimazione attiva del cliente “a valle” configurano un rimedio di natura «risarcitoria» più che una vera e propria invalidità (strutturale o derivata) dei singoli contratti. In particolare l’art. 140 bis D. Lgs. 6.9.2005 n. 206 fa riferimento al ristoro “del pregiudizio derivante agli stessi consumatori ed utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali”.
Ancora sulla possibile invalidità dei rapporti “a valle”
Sotto il profilo teorico, dottrina e giurisprudenza hanno sviluppato due tesi alternative in merito alla possibile configurabilità dell’invalidità dei rapporti “a valle”:
1). La nullità strutturale (“ex se”) per violazione di norme imperative ex art. 1418, co. I c.c.;
2). La nullità “derivata” per effetto del collegamento negoziale con l’intesa “a monte”.
Entrambe le tesi si scontrano con alcune obiezioni.
Infatti, la prima postulerebbe una violazione normativa afferente ad elementi “intrinseci” della fattispecie, mentre la seconda necessiterebbe del riscontro di un vincolo di dipendenza funzionale (rectius, collegamento in senso tecnico), vale a dire di una identità soggettiva tra le parti delle convenzioni nonché di un nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario; o, quantomeno, di un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile.
Per effetto di tale incertezza classificatoria, all’indomani della pronuncia della Corte di Cassazione del 2017, la giurisprudenza di merito ha fatto registrare orientamenti ondivaghi, che hanno limitato la portata “totalizzante” di quella pronuncia.
Ed invero, diversi sono i profili di maggiore criticità da affrontare in merito al rilevo “a valle” della nullità-Antitrust:
– la tempestività e specificità del rilievo, non essendo sufficiente una generica deduzione di nullità che si limiti a richiamare il dictum della Cassazione, né una deduzione “tardiva” in sede di scritti conclusionali od in grado di appello, almeno in assenza della tempestiva deduzione degli elementi costitutivi;
– la possibile limitazione ad un rilievo di nullità solo “parziale”, conservando efficacia la garanzia, con potenziali effetti pratici solo in relazione alla tempestività dell’escussione della garanzia, in caso di inefficacia della deroga all’art. 1957 c.c.;
– la questione di competenza (eventualmente “esclusiva”) delle Sezioni Specializzate del Tribunale in materia di impresa, trattandosi comunque di deduzione di profili di nullità per violazione della normativa Antitrust, sottratte per competenza funzionale al Tribunale ordinario, salvi i rilievi “incidenter tantum”;
– il possibile rilievo solo risarcitorio;
– il tema della prova dell’applicazione uniforme dell’intesa (che è fuori dal provvedimento di Bankitalia);
– il tema della prova del nesso causale tra l’intesa a monte e la sua applicazione uniforme a valle, cioè la prova che l’intesa sia stata finalizzata poi a falsare nel concreto, con riferimento ai singoli rapporti con gli utenti finali, il mercato del settore degli impieghi bancari.
I successivi sviluppi della giurisprudenza di legittimità
In virtù delle criticità rilevate da dottrina e giurisprudenza, una successiva pronuncia della Suprema Corte è sembrata porsi come un vero e proprio “argine” ai tentativi di estendere oltremodo la portata della precedente decisione del 2017.
on ordinanza del 28.11.2018 n. 30818 i giudici di legittimità hanno sottolineato proprio la necessità di una rigorosa prova dell’applicazione “uniforme” dell’intesa, esprimendo il seguente principio di diritto:
«Il Provvedimento Bankitalia – B423 del 2 maggio 2005 ha vietato l’uso uniforme – non già occasionale – dello schema di fideiussione suggerito dall’ABI, pertanto, la dimostrazione del carattere appunto uniforme dell’applicazione delle clausole contestate, essendo elemento costitutivo del diritto vantato, deve essere offerta dall’attore, secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c.».
Va registrato, però, un ulteriore arresto degli Ermellini (Cassazione civile, I sez., 22.05.2019, n.13846), oggetto di non pochi rilievi critici sulle pagine di questa Rivista, in cui si fa riferimento al tema della peculiare attitudine del provvedimento di Bankitalia a provare la condotta anticoncorrenziale (“prova privilegiata”), a prescindere dalle misure sanzionatorie ivi contenute:
«In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, con particolare riguardo a clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento adottato dalla Banca d’Italia prima della modifica di cui alla L. n. 262 del 2005, art. 19, comma 11, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante per la Concorrenza, una elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione, o non attuazione, della prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario».
A “completare” il quadro giurisprudenziale di legittimità vanno segnalati due più recenti pronunciamenti:
- quello del settembre 2019 (Corte di Cassazione, sez. I civ., 26 settembre 2019 n.24044), con il quale la Suprema Corte sembra essersi attestata sulla eventuale configurabilità solo “parziale” della nullità “a valle”:
«Con riferimento a contratti di fideiussione in cui siano presenti clausole riproducenti nella sostanza il contenuto delle clausole ABI, ritenute “anticoncorrenziali” dall’Autorità Garante, deve ritenersi che, avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle Norme Bancarie Uniformi (NBU) trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di intese illecite ex art.2 della legge n.287/1990, ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ. laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite».
- quello del febbraio 2020 (Corte di Cassazione, III sez. civ., 19 febbraio 2020 n.4175), che ha aggiunto un’ulteriore chiave di lettura di ordine processuale: «La nullità della fideiussione omnibus conforme allo schema ABI in vigore dal 2001, per supposta violazione della normativa anticoncorrenziale dell’intesa rilevata “a monte” dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, per quanto rilevabile d’ufficio, in sede di legittimità non può, del pari, essere accertata sulla base di una “nuda” eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per Cassazione, rimandando la deduzione a contestazioni, in fatto, mai effettuate dalle parti convenute nell’azione revocatoria, a fronte della quale l’intimato sarebbe costretto a subire il vulnus di maturate preclusioni processuali».
Tra le pronunce di merito, invece, spicca una recente sentenza della Corte d’Appello di Napoli (Pres. Forgillo, Rel. Criscuolo Gaito del 13 gennaio 2020 n.98), che ha escluso radicalmente la configurabilità di qualsivoglia nullità “a valle”, tanto strutturale quanto derivata:
«In relazione ai possibili profili di invalidità delle fideiussioni redatte secondo lo schema “ABI-2002”, per supposta anti-concorrenzialità delle clausole di cui agli artt. 2, 6 ed 8, non è sostenibile la tesi della nullità del contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418 co.1 cc.; infatti, affinché possa affermarsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale.
Al di fuori di queste ipotesi, l’inosservanza di norme che impongano o precludano alle parti taluni comportamenti, non può determinare la nullità dell’atto negoziale eventualmente posto in essere in loro violazione.
Pertanto, perché possa aversi nullità non basta la semplice violazione dell’art. 2 L. 287/90, ma occorre che, per effetto di tale violazione, si determini la oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la clausola contenuta nei contratti a valle dell’intesa anti-concorrenziale.
La proibizione dettata dalla Legge Antitrust non condanna in maniera diretta il contenuto degli atti negoziali, bensì condanna un comportamento che si pone a monte di questi atti.
Quanto alla sanzione della nullità prevista dall’art. 33 L. 287/90, essa riguarda esclusivamente le intese restrittive tra imprese, e non può applicarsi ai contratti che, sulla base di dette intese, siano stati conclusi con terzi.
Neppure è configurabile, quindi, qualsivoglia ipotesi di c.d. nullità derivata, la quale postula che il contratto finale tra imprenditore ed utente, costituisca il compimento dell’intesa anti-competitiva tra imprenditori, ne rappresenti la sua realizzazione finale, sul presupposto di uno strettissimo collegamento tra l’intesa restrittiva a monte ed il contratto a valle.
Nella normale dinamica delle contrattazioni individuali, infatti, non si riscontra tale nesso di dipendenza.
Ai fini della configurabilità di un collegamento negoziale in senso tecnico, debbono ricorrere sia il requisito oggettivo (costituito dal nesso teleologico tra i negozi), sia il requisito soggettivo (costituito dal comune intento delle parti di volere il coordinamento tra i negozi, per la realizzazione di un fine ulteriore).
Dunque, è necessaria l’identità soggettiva tra le parti dei due accordi, oppure è necessaria la consapevole adesione del contraente del contratto dipendente all’accordo che lo pregiudicherebbe (rispetto al quale egli è terzo).
In assenza dei descritti elementi, un contratto che presenti i requisiti di validità previsti dalla Legge e non persegua in sé una causa illecita, non può ritenersi invalido, soltanto in dipendenza dell’invalidità di un rapporto giuridico diverso ed intercorso tra terzi, che integra una res inter alios acta.
I contratti tra la singola impresa ed il cliente derivano dall’autonomia privata dei contraenti.
In altri termini, la circostanza che l’impresa collusa uniformi le manifestazioni della propria autonomia privata al programma anti-concorrenziale, non è sufficiente per privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica.
In definitiva, anche volendo ammettere che l’istituto di credito persegua, con la contrattazione individuale, il fine ultimo (anti-concorrenziale) di alterare a suo favore il mercato o di ottenere un extra-profitto, l’altro contraente stipula il contratto per soddisfare un proprio interesse, che si esaurisce nel fine tipico dell’operazione posta in essere.
Significativamente, l’art. 2 della Legge 287/90 vieta le intese anti-concorrenziali, ma nulla dispone circa la sorte dei rapporti commerciali con altri contraenti».
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Il mosaico giurisprudenziale è, con tutta evidenza, tuttora in composizione e la pronuncia oggi in commento lo arricchisce con un nuovo “tassello”, fornendo un importante “distinguishing” in merito all’inestensibilità, sic et simpliciter, degli orientamenti di legittimità sulla fideiussione omnibus al contenzioso relativo ad altri modelli di fideiussione che non ne mutuino la medesima natura giuridica.
Definito, ormai, il tema della competenza “esclusiva” delle Sezioni Specializzate del Tribunale in materia di impresa a conoscere le controversie introdotte in via principale per l’accertamento della nullità “antitrust”, soprattutto da queste ultime gli operatori di settore attendono importanti tracce ermeneutiche su quelle implicazioni applicative che le indicazioni di legittimità hanno lasciato aperte.
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Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
FIDEIUSSIONE – ANTITRUST: il controllo sulla validità del contratto deve essere effettuato ex actis
L’eccezione va disattesa quando è priva di adeguato supporto probatorio
Sentenza | Tribunale di Bari, Giudice Paola Cesaroni | 10.09.2020 | n.2631
FIDEIUSSIONE – ANTITRUST: ECCEZIONE TARDIVA QUANDO INTRODOTTA IN COMPARSA CONCLUSIONALE
NON POSSONO CONTENERE ECCEZIONI NUOVE CHE COMPORTINO UN AMPLIAMENTO DEL THEMA DECIDENDUM
Sentenza | Tribunale di Pistoia, Giudice Maria Iannone | 09.09.2020 | n.673
FIDEIUSSIONE ABI – ANTITRUST: LA PARTE CHE INVOCA LA NULLITÀ HA L’ONERE DI PORTARLE A CONOSCENZA DELLA CORTE
IL RICORSO È INAMMISSIBILE EX ART.366 CPC CO 1 N.6 IN CASO DI GENERICA INDICAZIONEOrdinanza | Corte di Cassazione, VI sez. civ. -3, Pres. Scoditti – Rel. Gorgoni | 28.07.2020 | n.16035
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