Con l’ordinanza n. 11486 del 30 aprile 2021 la Corte di Cassazione, sez. I civile, Pres. De Chiara – Rel. Mercolino ha investito le Sezioni Unite Civili della controversa questione delle conseguenze della sottoscrizione di una fideiussione che contenga clausole conformi allo schema predisposto dall’ABI e dichiarate contrarie alla normativa antitrust per violazione dell’art 2, comma 2, lett.a) della L. n. 287/1990 dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005.
In particolare, i giudici della nomofilachia sono stati chiamati a pronunciarsi sull’ammissibilità o meno dell’azione di nullità, di quale sia in tal caso il regime applicabile -sia sotto il profilo della tipologia del vizio che della legittimazione a farlo valere – nonché a determinare se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione e se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto anche la volontà delle parti di concluderla ugualmente anche in mancanza delle dette clausole.
IL CASO:
Un fideiussore propose opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto in suo danno da una Banca deducendo, ai sensi dell’art. 33 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, la nullità dei contratti di fideiussione sottoscritti a garanzia dei rapporti intrattenuti dalla società, debitrice principale, con l’istituto di credito e la conseguente insussistenza di qualsiasi debito nei confronti di quest’ultima, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni e la cancellazione del suo nominativo dalla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.
A fondamento della spiegata azione, l’attore sostenne che gli artt. 2, 6 e 8 dei contratti di fideiussione, che prevedevano la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. e la sopravvivenza della fideiussione alla inefficacia dei pagamenti o all’invalidità dell’obbligazione principale, erano stati predisposti dalla Banca in violazione dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, in quanto conformi ad uno schema contrattuale concordato dall’Associazione Bancaria Italiana con alcune organizzazioni di tutela dei consumatori, come accertato dalla Banca d’Italia con provvedimento del 2 maggio 2005.
Con sentenza dell’giugno 2016, la Corte d’appello di Roma accoglieva parzialmente la domanda e dichiarava la nullità degli artt. 2, 6 ed 8 dei contratti di fideiussione, affermando che l’accertamento contenuto nel predetto provvedimento della Banca d’Italia, costituiva prova privilegiata dell’illiceità delle predette clausole, esattamente riprodotte nei contratti di fideiussione sottoscritti dall’attore ed ha ritenuto sussistenti la legittimazione e l’interesse ad agire – indipendentemente dalla circostanza che il fideiussore fosse socio della società debitrice – in virtù della qualità di consumatore dello stesso, acquirente finale del prodotto offerto al mercato, e della circostanza che proprio la deroga all’art. 1957 cod. civ. aveva consentito alla Banca di escutere la garanzia fideiussoria ad oltre un anno di distanza dalla dichiarazione di fallimento della società.
Ciò posto, la Corte affermava che l’identità delle clausole contenute nei contratti rispetto a quelle predisposte dall’ABI ne comportava l’invalidità derivata, per violazione dei principi inderogabili della libera concorrenza e del mercato, ormai divenuti parte integrante dell’ordine pubblico italiano; ha escluso che l’invalidità si estendesse agli interi contratti, non essendo stato dedotto che senza le clausole nulle gli stessi non sarebbero stati stipulati.
Avverso la predetta sentenza la Banca ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi:
Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1936 ss. e 2697 c.c., nonché degli artt. 2, 13 e 15 della l. n. 287/1990, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che le clausole dei contratti di fideiussione costituissero il frutto di un’intesa anticoncorrenziale, senza tener conto del carattere unilaterale delle dichiarazioni di garanzia, ascrivibili esclusivamente alla volontà del fideiussore, e senza considerare che la stessa ricorrente non fosse destinataria del provvedimento sanzionatorio adottato dalla Banca d’Italia, avente a oggetto uno schema contrattuale concordato dall’ABI, con alcune associazioni di tutela dei consumatori, e non avente efficacia vincolante nei confronti delle aziende di credito.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 287/1990, nonché degli artt. 1936 ss. e 1418 c.c., sostenendo che la nullità prevista dal citato art. 2 dovesse colpire esclusivamente l’intesa anticoncorrenziale e non dovesse estendersi ai singoli contratti stipulati a valle, i quali resterebbero validi ed efficaci, essendo riconosciuta al consumatore la sola tutela risarcitoria.
Con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1936 ss. c.c. e 100 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel riconoscere l’interesse ad agire del fideiussore, la sentenza impugnata non avesse tenuto conto della natura autonoma delle garanzie, emergente dal tenore letterale dei contratti, i quali prevedevano il pagamento immediato, a semplice richiesta scritta, indipendentemente da eventuali eccezioni del debitore. Premessa l’inapplicabilità al contratto autonomo di garanzia dell’art. 1957 c.c., affermava che la dichiarazione di nullità della clausola di rinuncia ai termini previsti da tale disposizione non potesse assumere alcun rilievo.
Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., rilevando che, nel riconoscere la sussistenza dell’interesse ad agire, la sentenza impugnata non avesse considerato che, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, l’attore si fosse limitato a far valere la nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c., senza nulla eccepire in ordine alla validità delle altre clausole impugnate.
IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE:
Così ricostruita la fattispecie sottoposta all’esame, i giudici di legittimità hanno rilevato che l’analisi della questione della sorte dei contratti stipulati in conformità di intese anti-concorrenziali, già più volte sottoposta alla Corte, anche a Sezioni Unite, ha condotto a risultati interpretativi tutt’altro che univoci e comunque ormai non più adeguati rispetto alla frequenza con cui il fenomeno tende a riproporsi ed alla multiforme tipologia dallo stesso assunta negli anni più recenti.
In particolare, già le Sezioni Unite con la pronuncia n. 2207/2002, resa in tema di assicurazione RCA, riconobbero anche al consumatore la legittimazione a proporre le azioni previste dal secondo comma dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990, nonostante la sua estraneità all’intesa anticoncorrenziale, ed ammettendo il concorso tra la tutela risarcitoria e l’azione di nullità, ritenuta proponibile non solo nei confronti dell’intesa, ma anche nei confronti dei contratti c.d. “a valle”.
A sostegno di tali conclusioni, fu posta in risalto la diversità di ambito e di funzione tra la tutela codicistica dalla concorrenza sleale e quella apprestata dalla legge antitrust, affermandosi che la stessa “… è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere” e fu rilevato che il contratto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli effetti, in quanto attuativo della stessa.
Il riconoscimento in favore del consumatore della legittimazione all’esercizio sia dell’azione risarcitoria che di quella di nullità, puntualmente ribadito da pronunce successive delle Sezioni semplici, comportava il superamento dell’impostazione emergente da una precedente sentenza, secondo cui, avuto riguardo alle caratteristiche strutturali ed alle finalità ispiratrici della legge n. 287 del 1990, avente come prospettiva privilegiata quella dell’impresa operante sul mercato e volta ad assicurare le condizioni per il pieno e libero dispiegarsi della concorrenza, la tutela prevista dall’art. 33, comma secondo, doveva ritenersi preclusa al consumatore finale, il cui ruolo era destinato ad esaurirsi nella sollecitazione dell’esercizio dei poteri riconosciuti agli organi individuati dalla medesima legge (ossia, all’Autorità Garante).
Secondo tale precedente impostazione, l’azione risarcitoria – da esercitarsi secondo le regole generali e dinanzi al giudice competente in via ordinaria – poteva ammettersi soltanto nell’ipotesi in cui tali intese avessero avuto ricadute dannose sul rapporto tra impresa e consumatore, tali da integrare la violazione di uno specifico diritto soggettivo.
Risultava altresì superato il principio, enunciato dalla sentenza n. 9384/2003 della terza sezione civile della Suprema Corte, secondo cui, avendo la legge attribuito all’ AGCM l’accertamento dei comportamenti finalizzati ad alterare la libertà di concorrenza, con provvedimenti sottoposti al controllo giurisdizionale esclusivo del giudice amministrativo, la tutela civilistica autonoma e concorrente prevista dall’art. 33, comma secondo, della legge n. 287 del 1990 doveva essere riferita esclusivamente alle intese anticoncorrenziali, e non anche i contratti a valle, i quali mantenevano la loro validità, anche a fronte della dichiarazione di nullità dell’intesa, e potevano quindi dar luogo soltanto ad azione di risarcimento del danno da parte degli utenti.
Nel solco tracciato dalle Sezioni Unite si sono poi incanalate ulteriori pronunce, rese comunque in ambito assicurativo, che hanno confermato l’ammissibilità dell’azione risarcitoria all’ art. 33, comma secondo, della legge n. 287 del 1990, precisando che essa mira alla tutela dell’interesse giuridicamente protetto “a godere dei benefici della libera competizione commerciale”, nonché alla riparazione del danno ingiusto, ed hanno altresì confermato la concorrenza dell’azione risarcitoria con quella di nullità, chiarendo che la legittimazione del consumatore sussiste anche nel caso in cui sia stata proposta un’azione restitutoria ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., poiché il soggetto che chiede la restituzione di ciò che ritiene aver pagato per effetto di un’intesa nulla allega pur sempre quest’ultima, nonché l’impossibilità giuridica che essa produca effetti.
Minore attenzione, osserva il Supremo Collegio, è stata quindi riservata all’azione di nullità ed alle istanze provenienti da diversi settori dell’economia, tra cui quello bancario, il che ha determinato – a valle del provvedimento del 2 maggio 2005, n. 55 della Banca d’Italia – , l’automatica applicazione dei principi enunciati in riferimento alla nullità dei contratti di assicurazione alle azioni tese all’accertamento della nullità dei contratti o delle dichiarazioni redatti in conformità dello schema predisposto dall’ABI e, come tali, dichiarate contrarie all’art. 2, comma secondo, lett. a) della legge n. 287 del 1990.
In tal senso, è stata considerata rilevante “qualsiasi condotta di mercato purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”, concludendosi che, “allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese”, non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”.
La questione si è quindi incentrata principalmente sulla problematica riguardante l’invalidità dei contratti “a valle” in termini di diretta contrarietà dell’atto alla disciplina antitrust, relegando a questione di secondaria importanza quella concernente il collegamento tra la dichiarazione di nullità del contratto e l’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale da parte dell’Autorità Garante, arrivandosi a giustificare l’accoglimento della domanda proposta dal consumatore anche nel caso in cui tale accertamento sia intervenuto dopo la stipulazione del contratto (a condizione, beninteso, che quest’ultima risulti successiva all’intesa), e relegato comunque al rango di prova privilegiata della condotta anticoncorrenziale, che il giudice di merito è tenuto al sol fine di accertare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva.
L’indebolimento del rapporto tra i contratti “a valle” e l’intesa “a monte” ha dunque condotto ad esiti contraddittori, avendo giustificato per un verso la riesumazione del principio, abbandonato a partire dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui “dalla declaratoria di nullità di un’intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza … non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa”, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti, e per altro verso, l’affermazione secondo cui, “avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese […], ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba esser valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 cod. civ. e ss. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ. […] laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite”, il tutto, peraltro, sulla base del mero accertamento della coincidenza tra le clausole dichiarate anticoncorrenziali dal provvedimento della Banca d’Italia e quelle contenute nel contratto a valle e dell’oggettiva constatazione dell’inidoneità della loro espunzione ad alterare l’assetto d’interessi emergente dallo stesso, prescindendosi da qualsiasi valutazione in ordine alla potenziale volontà delle parti di concludere ugualmente il contratto, senza quella parte del suo contenuto colpita dalla nullità.
La Suprema Corte ha poi constatato che tali incertezze interpretative sono state rilevate anche dalla dottrina, in particolar modo in relazione all’ammissibilità o meno dell’azione di nullità ed alla tipologia di nullità da azionarsi, essendo state prospettate, oltre alla nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, una nullità per illiceità dell’oggetto -limitata al vantaggio che l’impresa ha tratto dalla stipulazione del contratto a valle-, una nullità derivata -riconducibile a quella dell’intesa a monte, in virtù del collegamento funzionale esistente con il contratto a valle – o una nullità di protezione, prevista a tutela del soggetto danneggiato dall’intesa, e quindi deducibile esclusivamente da quest’ultimo.
Discussa è altresì la configurabilità di una nullità parziale in ragione della diversità delle parti del contratto a valle, rispetto a quelle dell’intesa a monte, e della conseguente difficoltà di stabilire se le prime avrebbero ugualmente prestato il proprio consenso, in mancanza delle clausole riproduttive del contenuto dell’intesa.
I QUESITI DI DIRITTO:
Il Collegio ha quindi manifestato la necessità di una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza, finalizzata a verificarne l’applicabilità alle fideiussioni bancarie prestate in conformità delle condizioni uniformi predisposte dall’ABI, stabilendo in particolare se:
a) se la coincidenza totale o parziale con le predette condizioni giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno;
b) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere;
c) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione;
d) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto.
In ragione di tali rilievi, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha disposto la rimessione degli atti al Primo Presidente, per l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LA NULLITÀ È RELATIVA SOLO ALLE SINGOLE PATTUIZIONI E NON ALL’INTERO CONTRATTO
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, Giudice Gianluigi Morlini | 04.03.2021 | n.268
LA NULLITÀ DELLE SINGOLE CLAUSOLE NON POTREBBE COMUNQUE COMPORTARE L’INVALIDITÀ DELL’INTERO CONTRATTO
Sentenza | Tribunale di Cosenza, Giudice Filomena De Sanzo | 02.03.2021 | n.524
FIDEIUSSIONE-ANTITRUST: NESSUNA NULLITÀ AUTOMATICA DELL’INTERO CONTRATTO DI FIDEIUSSIONE
OCCORRE LA PROVA CHE IN MANCANZA DELLE TRE CLAUSOLE IN CONTESTAZIONE NON SAREBBE STATO CONCLUSO
Ordinanza | Tribunale di Pordenone, Francesco Tonon | 27.11.2020 |
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