I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’autorità garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a della L. 287/1990 (cd. antitrust), sono parzialmente nulli ai sensi degli artt. 2, comma 3, della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema contrattuale unilaterale costituente l’intesa vietata – perchè restrittive, in concreto, della libera concorrenza – salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Sul tema la Corte di Cassazione aveva precedentemente affemato che “Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti” (Cass. Cass. 24044/19).
In applicazione dei predetti principi, la nullità di alcune clausole di un contratto di fideiussione che non lo travolgano totalmente, restando così valida la garanzia assunta dal debitore nei confronti del creditore e, quindi, la ragione di credito vantata da quest’ultimo.
Questo il principio espresso dalla Corte d’Appello di Cagliari, Pres. Mura – Rel. Sechi, con la sentenza n. 74 del 17 febbraio 2022.
La pronuncia è stata resa a valle di un giudizio di revocatoria promosso da una Banca, al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia di alcuni atti dispositivi, posti in essere dal fideiussore di una società debitrice, in favore del coniuge, con contestuale conferimento in fondo patrimoniale di tutto il proprio patrimonio.
Riconosciuta, nel merito, la natura “frodatoria” delle operazioni da parte del Giudice di prime cure, il debitore ha, in sede di appello, dedotto l’insussistenza del credito della Banca, sul presupposto della asserita nullità della fideiussione rilasciata il 12.2.2010, per violazione dell’art. 2, comma 2 lett. a) della L. n. 287 del 1990 (c.d. legge antritrust).
A dire del fideiussore, lo schema negoziale utilizzato dalla Banca sarebbe stato riproduttivo del modello elaborato dall’ABI nel 2003 e poi applicato in misura uniforme, mediante la generalizzata adozione, in particolare, delle clausole nn. 2, 6 e 8, al cui riguardo la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2005, aveva rilevato l’attitudine anticoncorrenziale, in quanto volte a restringere o falsare la concorrenza all’interno del mercato nazionale.
Secondo la tesi dell’appellante, peraltro, la nullità del contratto di fideiussione del 19.02.2010 avrebbe travolto anche gli atti integrativi rilasciati successivamente, con innalzamento del valore garantito, non aventi natura novativa.
Il Collegio, richiamando l’excursus giurisprudenziale di legittimità, che ha poi condotto alla nota pronuncia a “Sezioni Unite” n. 41994/21, ha evidenziato come l’eventuale declaratoria di nullità delle clausole “ABI” del contratto di fideiussione, non avrebbe fatto venir meno integralmente la garanzia assunta dal debitore; invero: la fideiussione sarebbe stata, al più, parzialmente nulla ex art. 1419 c.c., “in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema contrattuale unilaterale costituente l’intesa vietata”.
Tale argomentazione ha condotto al rigetto del primo motivo di appello.
Giova evidenziare che, nel merito, gli appellanti hanno altresì tentato di sostenere l’insussistenza del presupposto dell’eventus damni, nel caso in cui gli atti di disposizione patrimoniale abbiano ad oggetto beni ipotecati, come nella specie; per altro verso, il primo giudice non avrebbe adeguatamente considerato la sussistenza di altre garanzie, rilasciate a favore della banca da altro fideiussore e da una società che era soggetto altamente solvibile.
Nel rigettare anche tale motivo di gravame, la Corte d’Appello ha ribadito come: “non può ritenersi che, in caso di concorso di un creditore chirografario con uno ipotecario, il primo debba automaticamente ed ineluttabilmente vedersi negata la possibilità di soddisfacimento del proprio credito, ovvero che in presenza di siffatta ipotesi non possa mai ottenere la revoca degli atti di disposizione patrimoniale posti in essere dal debitore in data successiva al sorgere del credito, ma occorre, invece, effettuare una valutazione caso per caso.”
Nel caso di specie – ha osservato il Collegio – manca la prova dei titoli fondanti la concessione delle ipoteche volontarie ed anche la data delle stesse.
In altri termini: il requisito dell’eventus damni non può essere escluso per il solo fatto della esistenza di altre garanzie dello stesso credito, dovendo operarsi una valutazione caso per caso.
La Corte d’Appello di Cagliari, ritenendo infondati i motivi di gravame proposti dagli appellanti, ha quindi confermato integralmente la sentenza appellata, con condanna alle spese del grado.
Per ulteriori approfondimenti sul tema si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
FIDEIUSSIONE ABI – ANTITRUST: il garante ha l’onere di provare l’esistenza dell’intesa restrittiva
Non è sufficiente la generica contestazione della nullità della garanzia per contrarietà alla normativa
Sentenza | Tribunale di Catania, Giudice dott. Nicola La Mantia | 22.02.2022 | n. 854
FIDEIUSSIONE-ANTITRUST: la nullità delle clausole riproduttive lo schema ABI è parziale
Deve essere provata con modulo predisposto dall’ABI nel 2003
Sentenza | Tribunale di Forlì, Giudice Maria Cecilia Branca | 24.02.2022 | n.190
FIDEIUSSIONI ABI: la nullità Antitrust dall’astratto al concreto
Dalle fideiussioni specifiche all’onere probatorio: il Tribunale delle Imprese di Napoli stabilisce i “confini” di merito alle affermazioni di principio delle Sezioni Unite
Sentenza | Tribunale di Napoli, Sez. Imprese, Pres. Rel. Nicola Graziano | 24.05.2022 | n.5125
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