Nel caso in cui il debitore non adempia la propria obbligazione è discussa la possibilità di pignorare le polizze assicurative sottoscritte dal primo, con particolare riferimento alla previsione di impignorabilità.
Va preliminarmente esaminata la natura delle polizze sottoscritte al fine di verificare l’effettiva operatività dell’art. 1923 cc, che disciplina l’assicurazione sulla vita, stabilendo che “le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare. Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all’imputazione e alla riduzione delle donazioni”.
L’assicurazione sulla vita cui si riferisce il codice è il contratto (aleatorio e a prestazioni corrispettive) con cui l’assicuratore, dietro versamento di un premio unico o periodico, si obbliga a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento incerto attinente alla durata della vita umana.
Tale fattispecie contrattuale favorisce l’accumulo di un capitale a fini previdenziali, di modo che, al verificarsi dell’evento demografico assicurato, la prestazione dell’assicuratore consenta al contraente o a terzi beneficiari di far fronte ai bisogni collegati a tale evento.
La natura previdenziale di siffatto strumento si sostanzia proprio nel trasferimento, dall’assicurato all’assicuratore, di un rischio attinente alla durata della vita umana, rischio che l’impresa assicurativa neutralizza ripartendone il costo su tutti gli assicurati per mezzo dei premi calcolati su base tecnico-attuariale, in ciò sostanziandosi la causa contrattuale assicurativo-previdenziale.
Pertanto, nel caso in cui si si trovi dinanzi a polizze sulla vita che abbiano natura previdenziale, la norma codicistica impone che non si possa procedere al pignoramento.
Nel caso in cui le polizze sottoscritte assolvano a funzioni diverse rispetto a quella puramente previdenziale, il limite posto dall’art. 1923 non può ritenersi operante.
Ebbene, le polizze variamente indicizzate, rivalutabili e variabili, “agganciate” (polizze linked) all’andamento di indici di borsa o di fondi di investimento, assolvono a funzioni differenti dove è preponderante la natura di strumento finanziario di puro rischio.
Con riferimento alla disciplina applicabile la giurisprudenza ha chiarito che «il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza. In difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione del T.U.F. e del regolamento Consob. Infatti, se il rischio è posto interamente in capo al soggetto assicurato, si ricade in una fattispecie contrattuale diversa dall’assicurazione sulla vita ove l’intermediario è tenuto a rispettare le regole di leale comportamento previste dalla normativa. Inoltre, la natura speculativa e non assicurativa del prodotto comporta una diversa applicazione della disciplina in ambito successorio e fiscale. Il giudice di merito, al fine di stabilire se l’impresa emittente, l’intermediario e il promotore abbiano violato le regole di leale comportamento previste dalla specifica normativa, deve interpretare il contratto, e tale interpretazione non è censurabile in sede di legittimità se immune da vizio di motivazione, al fine di stabilire se esso, al di là del nomen iuris attribuitogli, sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente a oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore) oppure si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio di “performance” sia per intero addossato all’assicurato)» (Cass. civ., sez. III, n. 10333/2018).
In estrema sintesi: le polizze con natura previdenziale non potranno essere pignorate mentre a quelle con natura mista ma prevalentemente rivolte al rischio finanziario non si applicherà l’art. 1923 cc con la conseguente pignorabilità delle stesse.
Il Tribunale di Palermo rigettava l’opposizione del debitore e compensava le spese.
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