Il principio di “non contestazione”, codificato con la modifica dell’art. 115 cpc ad opera della legge del 2009, deve considerarsi principio interpretativo previgente nell’ordinamento anche a mente della consolidata giurisprudenza di legittimità.
Più precisamente il principio in parola determina che, in relazione ai fatti non contestati, si verifichi un effetto vincolante per il giudice, che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio dei fatti incontestati, acquisiti al materiale processuale, essendo vincolato a ritenerli sussistenti in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti.
Conseguentemente, ogniqualvolta sia posto a carico di una delle parti un onere di allegazione, l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo in mancanza, il fatto ritenersi pacifico.
Le conseguenze sul piano probatorio dell’applicazione del principio di non contestazione, cioè, presuppongono l’allegazione di fatti specifici, circostanziati e contestualizzati.
Questo il principio espresso dalla Corte d’Appello de l’Aquila, Pres. Fabrizio – Rel. Buzzelli, con la sentenza n. 636 del 2 maggio 2022.
Nel caso di specie accadeva che, in data 23.11.2010, l’amministratore unico di una società stipulava con una banca un contratto di mutuo che prevedeva il pagamento di n. 60 rate mensili con decorrenza dal 23.12.2010 e fino al 23.11.2015.
Nel marzo 2013 gli odierni ricorrenti chiedevano alla mutuante la sospensione delle rate a far data 23.4.2013 per la durata di 12 mesi; tale accordo, verbalmente preso, veniva, formalizzato solo nel febbraio 2014, con effetto retroattivo dal 23.4.2013 al 23.4.2014.
Ebbene, nel febbraio 2014, la società – in seguito al diniego da parte di altra banca – veniva a conoscenza dell’esistenza di un’iscrizione della stessa e dei suoi fideiussori da parte della banca mutuante alla Crif durante il periodo dell’accordata sospensione (dal giugno 2013 al gennaio 2014);
A questo punto, i ricorrenti adivano il Tribunale per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti in conseguenza della predetta iscrizione.
Il Giudice di prime cure, analizzata la documentazione versata in atti, rigettava la domanda, pertanto la società proponeva ricorso contro la statuizione del Tribunale.
La Corte d’Appello, in accordo con il primo giudicante, rigettava la domanda ritenendo che l’appello proposto era da ritenere inammissibile in quanto, mancando istanze istruttorie, non poteva essere che riconfermata la sentenza di primo grado; spese a carico dei soccombenti.
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