Gli ausiliari del mediatore o di una società di mediazione sono tenuti all’iscrizione nel ruolo solo quando essi risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, e impegnativi per l’ente da cui dipendono; l’iscrizione non è, invece, richiesta per quei dipendenti che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. D’Ascola – Rel. Tedesco, con la sentenza n. 24974 del 19 agosto 2022.
Un’ Amministrazione ingiungeva ad un architetto una sanzione amministrativa in quanto riteneva che egli avesse violato l’art. 2 della l. n. 39 del 1989, modificato dall’art. 73 del d. lgs. n 59del 2000, perché in qualità di collaboratore di un’impresa individuale aveva svolto attività di mediazione immobiliare senza aver dimostrato la qualifica necessaria.
Veniva proposta opposizione dinanzi al Giudice di Pace che la rigettava; a quel punto l’ingiunto agiva in appello, il Tribunale riformava la sentenza osservando come gli elementi forniti dall’Amministrazione per la prova dell’illecito, consistenti in annunci in nome proprio su quotidiani, riviste o digitali, costituivano semplici indizi di mediazione, insufficienti ai fi ni della prova presuntiva dell’illecito, essendo compatibili con lo svolgimento di un attività solo strumentale ed accessoria rispetto a quella dell’agente.
L’Amministrazione impugnava la sentenza e proponeva ricorso per Cassazione lamentando la violazione degli artt. 115 cpc e 2697 cc.
In particolare, la ricorrente sosteneva che, nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, l’Amministrazione, onerata della prova, può avvalersi di presunzioni, che trasferiscono sull’intimalo l’onere della prova contraria.
Gli Ermellini esaminavano il motivo di gravame e ritenevano che il giudizio di opposizione a sanzioni amministrative dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale, sebbene formalmente convenuta in giudizio, è pertanto tenuta a fornire la prova degli elementi di fatto integranti la violazione contestata, mentre compete all’opponente, che assume formalmente la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi o estintivi e che l’Amministrazione, pur potendo avvalersi di presunzioni (che invertirebbero l’onere probatorio), dovrà riferirsi a circostanze per le quali dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumqe accidit.
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese.
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