La circostanza che un contratto di fideiussione contenga la riproduzione delle clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI – censurate dalla Banca d’Italia non può ritenersi di per sè stesso elemento sufficiente a dare effettivo conto, sia pure in termini indiziari, della permanenza – successiva al provvedimento della Banca d’Italia – di un’intesa rilevante nella sua estensione e pervasività sul piano antitrust.
Il mero deposito di alcuni contratti di fideiussione al fine di dare prova che lo schema negoziale oggetto delle censure dell’Autorità antitrust era di fatto adottato anche da altri istituti di credito nella medesima epoca di stipulazione dei contratti da essa sottoscritti non è sufficiente per assolvere l’onere di parte attrice ai fini della declaratoria di nullità.
È rilevante l’omessa articolazione di istanze istruttorie volte ad acquisire – tramite l’eventuale ausilio del giudice per sopperire ad eventuali difficoltà connesse alla posizione di obbiettiva asimmetria informativa – ulteriore documentazione atta a rafforzare e confermare la permanenza effettiva di tale intesa collusiva sul mercato.
Questi sono i principi estratti dalla sentenza n. 9340 del 28 novembre 2022 del Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, Pres.-Rel Marangoni.
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