La dichiarazione di fallimento non impedisce al creditore di tenere in serbo il titolo di cui sia in possesso per farlo poi valere contro il fallito tornato in bonis, né di procurarselo iniziando o proseguendo contro il fallito stesso un giudizio nelle forme e nelle sedi ordinarie, purché questo sia privo di qualunque effetto nei confronti della massa, sicché, escluso che la sopravvivenza del titolo esecutivo formato contro il debitore poi fallito sia condizionata alla presentazione della domanda di ammissione al passivo, deve concludersi che in pendenza della procedura, pur essendo divenuta improcedibile (o improseguibile) l’azione singolare volta alla riscossione coattiva del credito nei confronti dell’insolvente, il titolo mantiene la sua validità ad ogni altro effetto.
Se è vero infatti che l’art. 51 L. Fall. vieta azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento, dando attuazione alla regola del concorso che vige in ambito fallimentare (ex art. 52, co. 1 L. Fall) e che impone a tutti i creditori che intendano soddisfarsi sul ricavato dalla vendita dei beni acquisiti all’attivo di parteciparvi, proponendo domanda di insinuazione allo stato passivo per far accertare i rispettivi crediti, nulla autorizza, però, a trarre dalla norma in esame una sorta di regola capovolta, secondo cui la mancata partecipazione al concorso determinerebbe l’estinzione del titolo esecutivo di cui il creditore sia eventualmente munito nei confronti del fallito: non v’è, infatti, alcuna equivalenza fra perdita della facoltà processuale e perdita del diritto sostanziale di azione, nè vi è un obbligo per il creditore concorsuale – divenuto tale ipso iure, per effetto della dichiarazione di fallimento del proprio debitore – di diventare creditore concorrente.
Così si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, Pres. De Stefano, Est. Guizzi, con sentenza n. 26806 del 12/02/2022.
Nel caso di specie il ricorrente proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva accolto parzialmente l’opposizione ex art. 615 c.p.c., sul rilievo per cui la mancata insinuazione al passivo fallimentare, una volta tornato il fallito “in bonis”, non gli avrebbe precluso la proposizione dell’azione esecutiva.
Ritenendo l’eccezione fondata, sulla base del principio di diritto già menzionato, dunque, la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese processuali.
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