ISSN 2385-1376
PRELIMINARE “PRIMA CASA” E CANCELLAZIONE DEI GRAVAMI
- L’art. 173 CCI contiene, in esecuzione di due puntuali criteri di delega (artt. 7, comma 2, lett. d) e comma 6, lett. c) l. n. 155/2017), una organica disciplina del contratto preliminare di compravendita e, in particolare, del contratto preliminare di compravendita trascritto a uso abitativo cd. “prima casa”.
- La disciplina affonda le sue origini nell’art. 3 d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, conv. dalla l. 28 febbraio 1997, n. 30, che ha introdotto nell’ordinamento il contratto preliminare di compravendita immobiliare soggetto a trascrizione, in base al quale parte della dottrina si è interrogata sulla natura speciale di questa forma di tutela rispetto a quella codicistica di cui all’art. 1351 cod. civ.
- Tale norma conteneva una forma di tutela del promissario acquirente piuttosto embrionale, la quale si esauriva, in caso di fallimento del promittente venditore, nel riconoscimento del privilegio trascrizionale di cui all’art. 2775-bis civ. sui crediti del promissario nei confronti del promittente venditore derivanti dall’esecuzione delle prestazioni.
- La novità della disciplina era, tuttavia, di carattere sistematico. Veniva, difatti, aggiunto un ulteriore comma all’art. 72 l. fall., conferendo al contratto preliminare di compravendita dignità, in ambito concorsuale, di autonoma figura di contratto pendente, circostanza particolarmente importante in considerazione del fatto che altri contratti di ben maggiore peso economico e sociale (quali il leasing e il contratto di lavoro) non trovavano all’epoca ancora espressa disciplina.
- Il quadro che, tuttavia, emergeva era in linea con il diritto comune. La norma non introduceva alcuna efficacia prenotativa del contratto preliminare in danno del fallimento del promittente venditore, in quanto l’azione reipersecutoria non veniva ancorata, né retrodatata al momento della trascrizione del preliminare. Ci si limitava a tutelare la garanzia patrimoniale del promissario acquirente per le somme versate in esecuzione del contratto preliminare in caso di mancata stipula del contratto definitivo, nel rispetto delle cause legittime di prelazione, sempre che gli effetti del contratto preliminare non fossero esauriti, non diversamente da quanto era ed è tuttora previsto dalla disciplina di diritto comune.
- Il d. lgs. 12 settembre 1997, n. 169 ha introdotto un ulteriore comma all’art. 72 l. fall. (il quinto), su un tema estraneo ma potenzialmente idoneo a incidere sulla disciplina del contratto preliminare. La norma ha difatti, previsto l’efficacia reipersecutoria in danno del fallimento dell’azione di risoluzione trascritta prima della sentenza dichiarativa di fallimento. Si è data, pertanto, la stura al principio per cui la trascrizione di una domanda avente ad oggetto un bene immobile ha efficacia in danno della massa, ove la trascrizione della domanda sia anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento ex art. 45 l. fall., principio già affermato in giurisprudenza.
- È stata, quindi, tracciata la strada della efficacia reipersecutoria della trascrizione di qualunque domanda prenotativa, anche ex art. 2932 cod. civ., ove relativa ai contratti preliminari di compravendita immobiliare, che fossero trascritti o meno. Il curatore avrebbe potuto, comunque, sottrarsi (all’epoca) agli effetti del subentro forzoso, esercitando la facoltà di scioglimento dal contratto. In ogni caso, l’opponibilità del trasferimento nei confronti della massa non avrebbe fatto venir meno i gravami trascritti e iscritti sull’immobile oggetto di trasferimento.
- Il contratto preliminare di compravendita immobiliare ha avuto ulteriore impulso per effetto del d. l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, che ha inserito l’ancora più speciale disciplina del contratto preliminare avente ad oggetto l’immobile a uso abitativo cd. “prima casa” (art. 72, comma 8, l. fall.), ove destinato all’acquisto dell’abitazione del promissario acquirente o di parenti e affini entro il terzo grado. Anche in questo caso – come nel caso in cui si tratti di immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa del promissario acquirente – il legislatore ha escluso che il curatore possa esercitare la facoltà di scioglimento del contratto (art. 72, comma 8, l. fall.), obbligando il curatore a subentrare forzosamente nel preliminare, divenendone parte in forza dell’opzione esercitata dal promissario acquirente.
- Nell’evoluzione della disciplina deve, inoltre, farsi menzione del fondamentale arresto delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 16 settembre 2015, n. 18131), che ha esteso l’inibizione della facoltà di scioglimento del curatore dal contratto anche alla domanda ex art. 2932 cod. civ. pretrascritta rispetto al fallimento. Pertanto, sia in caso di preliminare di immobile a uso abitativo “prima casa”, sia in caso di domanda ex art. 2932 cod. civ. trascritta prima dell’apertura del fallimento (ancorché relativa ad altri beni immobili), il curatore sarebbe subentrato forzosamente nel contratto a impulso del promissario acquirente in bonis. In entrambi i casi, tuttavia, il curatore non avrebbe potuto procurare al promissario acquirente la cancellazione dei gravami, non fosse altro perché sarebbe divenuto parte di quel contratto.
- La vera svolta si è avuta con l’arresto del giudice di legittimità, ove si è riconosciuta la possibilità per il curatore di procurare a beneficio del promissario acquirente la cancellazione dei gravami in caso di subentro forzoso nel contratto preliminare (Cass., Sez. I, 8 febbraio 2017, n. 3310, confermata da Cass., Sez. I, 21 novembre 2019, n. 30454), affermandosi che “vertendosi in tema di vendita fallimentare – non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva – trova applicazione l’art.108, secondo comma, legge fallimentare: con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato sull’intero prezzo pagato, incluso l’acconto versato al venditore in bonis”.
- Questa soluzione sovrappone, invero, il piano del curatore-parte (che subentra nel contratto) a quello del curatore-terzo rappresentante della massa (che deve procedere alla liquidazione dell’attivo concorsuale). Il curatore svolge, difatti, il ruolo di avente causa del debitore, quando fa valere diritti di credito di quest’ultimo, o assume determinati obblighi, quali ad esempio quelli di carattere fiscale, come ad es. la dichiarazione IVA dell’anno solare precedente la procedura (art. 8, comma 4, d.P.R. n. 322/1998) o le dichiarazioni delle frazioni del periodo di imposta in corso all’apertura della procedura (art. 74-bis d.P.R. n. 633/1972 per l’IVA e art. 5, comma 4, d.P.R. n. 322/1998 per le imposte dirette). Nel caso, invece, in cui il curatore liquidi un bene immobile, lo fa nell’interesse della massa quale rappresentante della massa con procedura competitiva, trattandosi di procedura di vendita invito domino e non di natura negoziale. La vendita negoziale obbedisce a regole del tutto differenti dalla vendita forzata, non potendo il prezzo di una vendita forzata essere equivalente al prezzo versato in sede di vendita forzata, non fosse altro che la vendita non ha fatto seguito a una fase a evidenza pubblica in cui è stata eseguita una procedura competitiva.
- Analogamente, il curatore è equiparabile a un avente causa del fallito ove subentri nei contratti pendenti. In questo caso i diritti negoziali della controparte in bonis sono filtrati dalla disciplina dei rapporti pendenti all’atto dell’apertura della liquidazione giudiziale che, nella generalità dei casi, tendono ad affievolire il diritto del contraente in bonis, contemperandolo con l’interesse dei creditori, interesse che non può essere pregiudicato da obbligazioni contrattuali che danneggino la massa. E’, questo, il caso proprio del subentro del curatore nei rapporti giuridici pendenti, in cui la prededuzione è limitata in favore dell’altro contraente ai soli crediti maturati nel corso della procedura (art. 172, comma 3).
- Il Codice della crisi ha inteso proseguire la strada della piena tutela del promissario acquirente, dando ulteriore impulso alla specialità del contratto preliminare trascritto e, ancor più in particolare, al contratto preliminare di immobili abitativi “prima casa” e immobili non abitativi destinati a sede dell’impresa.
- Il contratto preliminare continua a essere privo, anche nella disciplina concorsuale, di efficacia traslativa, essendo atto meramente prodromico rispetto al successivo contratto traslativo non ancora stipulato. Il curatore può sciogliersi da questo come da altri contratti pendenti (art. 173, comma 1). L’opponibilità del contratto preliminare, con decorrenza dalla relativa trascrizione anche in caso di dichiarazione di fallimento, è rimessa alla effettiva stipulazione del contratto definitivo, ovvero al passaggio in giudicato della sentenza che accoglie la domanda diretta ad accertare l’obbligo del contratto non concluso.
- E’, quindi, la trascrizione della domanda di esecuzione forzata dell’obbligo di contrarre che preclude la facoltà di scioglimento del curatore dal contratto, indipendentemente dal fatto che il contratto preliminare sia trascritto o meno. Diversamente, ove il contratto sia stato già concluso dal debitore prima dell’apertura della procedura, lo stesso non sarà più revocabile (art. 166, comma 3, lett. c). La disposizione di cui all’art. 173, comma 1 costituisce, pertanto, la complementare tutela del promissario acquirente che non sia riuscito a rogitare in tempo utile prima dell’apertura della procedura. Ove sia stata trascritta la domanda ex art. 2932 cod. civ., il promissario maturerà il diritto all’acquisizione del bene davanti al giudice ordinario, secondo la giurisprudenza tradizionale.
- Tuttavia, il bene transiterà in capo al promissario con i suoi pesi e i suoi oneri, trattandosi di vendita negoziale. Il giudice ordinario potrà pronunciarsi sulla domanda di riduzione del prezzo (quanti minoris), ove il peso finanziario dei gravami vada ad erodere il prezzo di vendita, operando un riequilibrio tra le diverse obbligazioni corrispettive, nella parte in cui parte del prezzo andrà a soddisfacimento del creditore ipotecario, terzo rispetto al giudizio (Cass., Sez. II, 2 luglio 2003, n. 10454). Ove, invero, i gravami presenti sul bene risultassero sproporzionati rispetto al residuo prezzo, il giudice non potrebbe procedere al riequilibrio delle prestazioni corrispettive tra le parti, per cui la domanda di esecuzione forzata si presterebbe al rigetto e al promissario acquirente residuerebbe al più (salva la speciale disciplina concorsuale) un credito risarcitorio chirografario.
- Nel caso in cui il preliminare non possa condurre alla stipula del definitivo per impossibilità di procedere al riequilibrio contrattuale, il contratto preliminare trascritto fornisce anche in sede concorsuale tutela al promissario acquirente, garantendogli il privilegio trascrizionale immobiliare nell’ipotesi in cui le prestazioni contrattuali non possano essere riequilibrate dal giudice, privilegio che grava sul ricavato del bene (venduto all’asta) in relazione agli acconti versati, tenuto conto delle iscrizioni preesistenti gravanti sul bene (Cass., Sez. U., 1° ottobre 2009, n. 21045).
- Appare chiaro che il contratto preliminare, ancorché trascritto, non possa fondare alcuna rivendica o azione reipersecutoria nei confronti della massa, stante la efficacia meramente prenotativa rispetto alla futura conclusione del contratto traslativo e stante la mancata conclusione della fattispecie traslativa, non intervenuta prima della dichiarazione di fallimento, ostandovi l’art. 145 l. fall. In questo caso ci si muove sempre nel solco della disciplina ordinaria.
- Il cambio di passo si sente quando si verte in tema di preliminare di compravendita di immobile abitativo “prima casa” trascritto. In questo caso, la stipula di questo contratto preliminare (e, quindi, non la trascrizione della domanda ex art. 2932 cod. civ.) inibisce non solo – come nella precedente disciplina – la facoltà del curatore di scioglimento dal contratto (come in caso di domanda ex art. 2932 cod. civ.) ma – è questa la novità assoluta – provoca anche la cancellazione dei gravami (art. 173, comma 4: “il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”).
- Una precisazione si impone al riguardo. Ciò che caratterizza il contratto “prima casa” non è l’oggetto del contratto ma il fatto che il preliminare sia stato trascritto e che gli effetti del contratto non siano esauriti, ossia non siano trascorsi tre anni dalla trascrizione del preliminare o un anno dalla data prevista per la conclusione del definitivo (art. 2645-bis, comma 3, cod. civ.). Non può, difatti, considerarsi selettivo il riferimento alla natura abitativa dell’immobile “prima casa”, in quanto semplice dichiarazione che può essere inserita nel contratto definitivo anche al momento del trasferimento (Cass., Sez. V, 3 febbraio 2014, n. 2261), ossia in un momento successivo alla richiesta di esecuzione da parte del promissario. Inoltre, la verifica sostanziale della concreta adibizione dell’immobile abitativo come “prima casa” del promissario è rimessa a un fatto giuridico ancora successivo (art. 1, nota II-bis, tariffa allegata d.P.R. n. 131/1986), ossia l’avere stabilito il promissario acquirente la residenza in loco entro diciotto mesi dall’acquisto e, quindi, ben oltre la richiesta di subentro nel preliminare.
- Ne consegue che, in linea di principio, tutti i contratti preliminari di compravendita trascritti aventi ad oggetto immobili abitativi sono potenzialmente dei contratti “prima casa” e, ove i loro effetti non siano esauriti, possono dar luogo a richieste di adempimento o esecuzione da parte dei promissari e a richieste di emissione di ordini di cancellazione delle ipoteche.
- La particolarità di questa disciplina la si apprezza soprattutto in relazione alla tutela del promissario acquirente al di fuori della procedura concorsuale liquidatoria. Se il promissario acquirente si trovasse di fronte a un promittente in bonis, potrebbe ottenere il trasferimento dell’immobile promessogli in vendita ex art. 2932 cod. civ., ma non potrebbe ottenere la cancellazione delle ipoteche, bensì solo il riequilibrio contrattuale, ove possibile, come si è visto supra 16.
- Se, invece, l’immobile promesso in vendita fosse stato staggito dal creditore ipotecario, l’esecuzione farebbe ugualmente il suo corso, eventualmente in danno del promissario acquirente (ad es., nelle forme dell’esecuzione nei confronti del terzo proprietario ex art. 602 cod. proc. civ.).
- Peraltro, l’esecuzione potrebbe fare il suo corso anche in caso di liquidazione giudiziale del debitore, non essendo stato abrogato il privilegio esecutivo del creditore fondiario. In questo caso si genererebbe il paradosso di una esecuzione forzata che procederebbe nei confronti del promissario che, tuttavia, potrebbe liberarsi dall’esecuzione concorsuale subentrando nel contratto e chiedendo la cancellazione delle ipoteche ivi gravanti.
- Appare, pertanto, che la norma dell’art. 173, comma 4, CCI, ove prevede la cancellazione dei gravami in favore del promissario acquirente, induce a un dead lock: il curatore subentra forzosamente nel contratto, divenendone parte e procura alla controparte un vantaggio competitivo (acquistare il bene ottenendo la cancellazione dei gravami sulla base del residuo prezzo a versarsi), che ha il presupposto normativo nel fatto che il curatore agisca come terzo nell’interesse della massa. Vantaggio competitivo che si apprezza come una vera e propria “fuga dalla competitività”, come il legislatore ci sta abituando anche in sede di esecuzione ordinaria (si veda l’art. 568-bis proc. civ.).
- Inoltre, questo subentro forzoso non obbedisce a uno specifico interesse della massa ma a un interesse del terzo. Si verifica una situazione simile a quella del contratto di carattere personale (art. 175), in cui l’interesse al subentro nel contratto è subordinato all’assenso della controparte in bonis, solo che – a differenza del contratto di carattere personale – il curatore è in questo caso obbligato a subentrare nel contratto anche contro l’interesse della massa dei creditori.
- Infine, il curatore non si trova in questo caso di fronte a un contraente che rischia la falcidia delle proprie prestazioni pregresse (come nei contratti pendenti a efficacia obbligatoria), ma ha di fronte un rivendicante, ossia un terzo che sottrae risorse che sono state inventariate (e periziate) per soddisfare i creditori. Il curatore agisce, pertanto, paradossalmente non nell’interesse dei creditori, ma nell’interesse del rivendicante.
- Si potrebbe, inoltre, prospettare che il curatore agirebbe potenzialmente senza compenso, visto che l’attivo viene sottratto alla massa e non viene liquidato nell’interesse dei creditori ma nell’interesse del rivendicante, salvo il compenso supplementare sul passivo ex art. 1, comma 2, d.m. 30/2012, relativo all’accertamento dei crediti ipotecari ammessi al passivo.
- Ecco che, quindi, va salutata con favore la disposizione che sterilizza parzialmente gli effetti di questo subentro del curatore nel contratto preliminare a uso abitativo trascritto, in relazione agli “acconti corrisposti” dal promissario al debitore. La norma prevede, difatti, che questi acconti siano opponibili nella misura della metà di quanto versato, per cui il versamento del prezzo dovrà tenere conto solo di metà di quanto effettivamente corrisposto dal promissario al debitore in bonis. In questo caso la norma, pur non contemplando una procedura competitiva, agevola il trasferimento di beni immobili di particolare rilevanza sociale senza che il peso di questo trasferimento – nel caso di versamento integrale degli acconti al debitore in bonis – venga sopportato integralmente dai creditori.
- Sotto quest’ultimo profilo va precisato che la prova del pagamento degli acconti che deve essere fornita dal promissario non può essere paralizzata dal curatore servendosi delle norme in tema di data certa (art. 2704 cod. civ.), essendo il curatore subentrato nel contratto e, quindi, non potendo qualificarsi come terzo. Il curatore potrà, comunque, dichiarare di non essere a conoscenza della documentazione prodotta dal promissario e la documentazione sarà liberamente apprezzabile dal giudice.
- Per contemperare il ruolo di rappresentante della massa e di controparte contrattuale “forzosa” il curatore dovrebbe elaborare modelli “ibridi” di liquidazione dell’attivo, volti a contemperare questo singolare subentro nel preliminare trascritto “prima casa” con il principio di competitività (Cass., Sez. U., 16 luglio 2008, n. 19506). Questo può avvenire, ad esempio, ove il curatore si faccia rilasciare dal promissario acquirente una promessa irrevocabile di acquisto, dal quale scomputare gli acconti versati in misura predeterminata in via transattiva, obbligando così il promissario a partecipare alla procedura competitiva. In dettaglio, se il curatore riconosce sul prezzo periziato pari a 100 acconti opponibili per 15 (rispetto agli eventuali maggiori acconti versati), il promissario parteciperà alla procedura competitiva partendo dal prezzo offerto (o dal prezzo base), defalcando dal prezzo finale (quale che sia, ove divenga aggiudicatario) l’importo degli acconti versati concordati con la curatela.
- Questa soluzione consente di qualificare il prezzo riscosso dal curatore quale prezzo versato in esecuzione di una procedura competitiva e rende coerente con i principi generali l’emissione del decreto di purgazione dai gravami in favore del promissario acquirente (“vertendosi in tema di vendita fallimentare – non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva”: Cass., n. 3310/2017, cit.). Rimarrebbe, in ogni caso, salva la possibilità per il promissario di ottenere il riconoscimento del privilegio trascrizionale sugli acconti versati in esecuzione del preliminare.
FILIPPO D’AQUINO
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