In tema di abusività delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore, in linea con la giurisprudenza sovranazionale, occorre consentire al giudice quei poteri necessari a valutare l’abusività delle medesime.
A tal uopo, in relazione alla fattispecie del decreto ingiuntivo, è necessario distinguere l’esplicazione dei poteri istruttori d’ufficio nelle seguenti fasi.
Fase monitoria
Il giudice del monitorio:
a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;
b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:
b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;
b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;
c) all’esito del controllo:
c.1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;
c.2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;
c.3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.
Fase esecutiva
Il giudice dell’esecuzione:
a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;
d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;
(ulteriori evenienze)
e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);
f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.
Fase di cognizione
Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:
a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;
b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023.
IL CASO
La vicenda scaturiva dal caso di una consumatrice che aveva prestato una fideiussione a favore di una società e a beneficio di una banca, escussa senza esito la quale, la banca creditrice otteneva decreto ingiuntivo che l’ingiunta non opponeva.
Sulla base di tale titolo, divenuto definitivamente esecutivo, la banca interveniva nella procedura di espropriazione immobiliare iniziata da altro creditore e cedeva poi il proprio credito a una società cessionaria che interveniva a sua volta nella medesima procedura.
Disposta la vendita dei beni immobili oggetto di espropriazione, il giudice dell’esecuzione procedeva a depositare il progetto di distribuzione della somma ricavata, che l’esecutata contestava, adducendo l’insussistenza del diritto di credito della cessionaria in ragione della nullità del titolo costituito dal decreto ingiuntivo, giacché emesso da giudice territorialmente incompetente.
Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza, dichiarava esecutivo il progetto di distribuzione depositato.
Avverso tale ordinanza la consumatrice proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c., ribadendo la precedente contestazione sulla nullità del titolo azionato esecutivamente, per essere stato il decreto ingiuntivo emesso da giudice territorialmente incompetente, in quanto adito sulla scorta di una clausola del contratto di fideiussione illegittimamente derogatrice del foro del consumatore, qualità che essa poteva vantare anche come fideiussore alla luce del mutamento di giurisprudenza nella materia.
Il Tribunale rigettava l’opposizione ex art. 617 c.p.c..
Il giudice dell’opposizione, pur riconoscendo alla garante l’anzidetta qualità e individuando nell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. il rimedio per farla valere compatibilmente con il diritto europeo, escludeva che la stessa avesse tempestivamente utilizzato detto strumento; di qui, il rigetto dell’opposizione ex art. 617 c.p.c..
Per la cassazione di tale sentenza la consumatrice proponeva, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost., ricorso straordinario affidandolo a due motivi.
Con entrambi i motivi deduceva la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93/13 e dell’art. 19 del TUE, con riferimento al principio di effettività della tutela del consumatore, mettendo in discussione l’impossibilità, a fronte di decreto ingiuntivo non opposto, sia di “un secondo controllo d’ufficio nella fase dell’esecuzione sulla abusività delle clausole contrattuali”, sia di “una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo”.
La garante rinunciava poi al ricorso.
Il pubblico ministero depositava le proprie conclusioni scritte, con le quali chiedeva che il giudizio venisse dichiarato estinto, sollecitando, però, la Corte ad enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., reputando ciò necessario “a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE”.
I PRECEDENTI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Le Sezioni Unite hanno precisato in primo luogo che la pronuncia, adottata ai sensi dell’art. 363 c.p.c., fosse da circoscrivere alla tutela consumeristica di cui alla direttiva 93/13/CEE, concernente l’abusività di clausole presenti in contratto concluso con professionista.
Le medesime hanno altresì evidenziato la peculiare rilevanza che ha assunto, nel novero delle quattro decisioni adottate dalla CGUE il 17 maggio 2022, la sentenza “SPV/Banco di Desio”, in quanto resa all’esito di un rinvio pregiudiziale disposto da un giudice italiano nel contesto di controversie similari a quella in esame e, dunque, della comune disciplina, segnatamente processuale, di diritto interno.
La Corte di giustizia, con la predetta sentenza, aveva fornito la seguente risposta: «L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come “consumatore” ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo».
Al fine di rendere operante il principio di effettività della tutela nella sua duplice declinazione, negativa (volta a superare gli ostacoli che, in ambito nazionale, si frappongono alla piena realizzazioni delle libertà e dei diritti riconosciuti dall’Unione) e pro-attiva (diretta ad individuare le misure e i rimedi idonei alla piena espansione della tutela di quelle libertà e di quei diritti), le Sezioni Unite hanno operato con convinzione, nel dettare i principi nell’interesse della legge, la necessaria saldatura tra ordinamenti, sovranazionale e interno.
LA MOTIVAZIONE
Nel riconoscere al giudice, in linea con la giurisprudenza della CGUE, poteri istruttori d’ufficio al fine di valutare l’eventuale carattere abusivo delle clausole presenti nel contratto concluso con professionista, le Sezioni Unite hanno distinto due diverse fasi.
A) la fase monitoria (ovvero il c.d. “seguito pro futuro”).
Le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice, una volta che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola, può trarre tutte le conseguenze derivanti da tale accertamento, senza attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola.
Costringere, infatti, il consumatore a proporre opposizione per far valere i propri diritti sarebbe in contrasto con lo stesso principio del rilievo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali che anche nell’ambito del procedimento monitorio è funzionale all’effettività della tutela del consumatore sotto il profilo della non vincolatività delle clausole medesime, ai sensi dell’art. 6, par. 1, della anzidetta direttiva.
Strumentali rispetto all’esercizio del controllo officioso cui è tenuto il giudice del monitorio sono i poteri istruttori consentiti dall’art. 640, primo comma, c.p.c.. Il giudice dovrà, quindi, sollecitare il ricorrente a “provvedere alla prova” del credito anche sotto il profilo che la relativa spettanza, in parte o per l’intero, non sia esclusa dai profili di abusività negoziale rilevati, a tal fine richiedendo che sia prodotta pertinente documentazione (anzitutto, il contratto su cui si basa il credito azionato) e/o che siano forniti i chiarimenti necessari.
Tuttavia, l’obbligo del rilievo officioso del giudice del monitorio in funzione dell’effettività della tutela del consumatore non si può spingere sino a richiedere che l’esercizio dei poteri istruttori, in capo al medesimo giudice, sia tale da rendersi esorbitante rispetto alla struttura, funzione e finalità della fase inaudita altera parte come configurata dal legislatore nazionale, in cui condizione di ammissibilità della domanda d’ingiunzione è pur sempre la “prova scritta” (artt. 633, primo comma, n. 1, e 634 c.p.c.).
Sicché, ove l’accertamento sulla vessatorietà imponga, per la sua complessità, un’istruzione probatoria non coerente con detta configurazione (ad es., richiedendosi l’assunzione di testimonianze o l’espletamento di c.t.u.), il giudice dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione, che il ricorrente, se riterrà, potrà comunque riproporre (evidentemente sulla scorta di ulteriori e più congruenti elementi probanti), o, invece, affidarsi alla “via ordinaria” (art. 640, ultimo comma, c.p.c.).
Così letto il sistema, l’istanza di tutela che il diritto dell’Unione impone di soddisfare non trova ostacoli nel modello processuale di diritto interno, il quale con detta istanza verrebbe, invece, a confliggere ove interpretato nel senso che il controllo sull’abusività delle clausole non possa compiersi nel procedimento d’ingiunzione, poiché esso implicherebbe necessariamente il contraddittorio delle parti, sia in ragione delle circostanze di fatto su cui si basa (art. 34, comma 1, del codice del consumo), sia in ragione della perdita di celerità propria del rito che tale valutazione richiederebbe, con la conseguenza che il decreto dovrebbe essere comunque emesso e quel controllo rinviato in sede di giudizio di opposizione.
L’art. 641 c.p.c. richiede, inoltre, che il decreto ingiuntivo sia “motivato”.
Si tratta, dunque, di un obbligo di motivazione funzionale a dare al consumatore l’informazione circa l’assolvimento, da parte del giudice adito in via monitoria, del controllo officioso sulla presenza di clausole vessatorie.
In quanto strumentale rispetto all’esercizio del diritto di difesa del consumatore nella fase processuale a contraddittorio pieno, una tale motivazione esige che nel decreto sia individuata, con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull’accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio.
L’art. 641, primo comma, c.p.c., inoltre, rende necessario che il decreto ingiuntivo contenga l’avvertimento che, nel termine di quaranta giorni, può essere fatta opposizione al decreto ingiuntivo “e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata”.
Secondo le Sezioni Unite, la disposizione, in parte qua, deve essere interpretata in senso conforme al diritto eurounitario di cui alla direttiva 93/13/CEE e, dunque, quell’avvertimento dovrà, altresì, rendere edotto il consumatore che, in assenza di opposizione, “decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo” delle clausole del contratto (così la citata sentenza Ibercaja Banco).
Una volta che il decreto ingiuntivo presenti la motivazione e l’avvertimento anzidetti, la tutela del consumatore è da reputarsi rispettosa del canone dell’effettività e la maturazione del termine di cui all’art. 641 c.p.c., senza che sia stata proposta opposizione, non consentirà più successive contestazioni sulla questione di abusività delle clausole contrattuali.
B) il c.d. “seguito per il passato” (ovvero anche “per il futuro” ove il giudice del monitorio non osservi quanto indicato al punto A).
Secondo le Sezioni Unite l’opposizione ex art. 650 c.p.c. è rimedio idoneo a garantire il principio di effettività della tutela del consumatore anzitutto perché è esperibile non solo dopo, ma anche anteriormente all’inizio dell’esecuzione e, segnatamente, pure in momento antecedente alla stessa notificazione del precetto, così da evitare al consumatore di trovarsi nell’eventualità – non remota – di subire l’esecuzione e, quindi, il vincolo del pignoramento sui propri beni, ancor prima di poter dare ingresso ad un controllo sulla vessatorietà delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto.
Inoltre, assume una valenza pregnante il potere del giudice dell’opposizione tardiva di sospendere l’esecutorietà del titolo giudiziale (art. 649 e 650, secondo comma, c.p.c.), così da evitare al debitore consumatore di dover ottenere la sospensione di ciascuna procedura esecutiva nella quale il creditore professionista lo coinvolga sulla base del medesimo titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo non opposto e allo stesso tempo ciò fa venire meno anche il rischio che il bene sia venduto o il credito assegnato da uno (o più) dei GG.EE. aditi che rigettino l’istanza di sospensione della procedura.
L’opposizione ex art. 650 c.p.c. è attivabile entro uno spatium deliberandi di 40 giorni e, dunque, entro un termine certo, ciò che, invece, non sarebbe possibile per l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., alla quale, in mancanza di un termine per la sua proposizione, si potrebbe fare ricorso durante tutto lo svolgimento della fase di liquidazione giudiziale e fino alla apertura della fase distributiva.
L’opposizione tardiva consente al debitore consumatore di recuperare la tutela, piena ed effettiva, di cui non ha potuto usufruire e permette al giudice di svolgere, in una sede di cognizione piena e nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, quella delibazione integrale non effettuata in precedenza, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, totale o parziale, sia quando la nullità riguardi una clausola che inficia solo il quantum debeatur, sia quando essa incida integralmente sull’an debeatur, sempre che a tale declaratoria il consumatore non si opponga, giacché trattasi comunque di nullità relativa e “a vantaggio”.
E’ pur vero, invece, che nel caso in cui il rilievo officioso riguardi la clausola abusiva di deroga del foro del consumatore, l’opposizione tardiva imporrebbe a quest’ultimo di difendersi in giudizio in una sede diversa da quella del suo domicilio. Tuttavia, l’opposizione ex art. 650 c.p.c. è rimedio che, per le già evidenziate caratteristiche, è tale da prevalere, tra varie opzioni possibili, in un bilanciamento il quale ha come obiettivo il più ampio livello di tutela effettiva del consumatore.
Né può dirsi che l’opposizione ex art. 650 c.p.c. sia rimedio non aderente ai principi espressi dalla giurisprudenza della CGUE (anche con le sentenze del 17 maggio 2022), adducendo che esso, pur garantendo il necessario controllo officioso sul carattere abusivo delle clausole contrattuali ad opera del giudice dell’esecuzione, demanda, però, ad una sede giudiziale distinta la declaratoria di nullità di esse.
La Corte di Lussemburgo, infatti, non ha imposto di tenere insieme, nella stessa sede processuale esecutiva, il rilievo d’ufficio e la dichiarazione di abusività delle clausole contrattuali, con i relativi effetti sull’azione monitoria intrapresa dal professionista.
Sotto questo profilo, l’opposizione tardiva si lascia preferire perché è rimedio che l’ordinamento stesso appresta contro il giudicato (cfr. Cass., S.U., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass., 6 ottobre 2005, n. 19429; Cass., 24 marzo 2021, n. 8299) e, quindi, consente, anzitutto, di mantenere ferma la configurazione del decreto ingiuntivo non opposto quale provvedimento idoneo a passare in giudicato formale e a produrre effetti di giudicato sostanziale.
Inoltre, secondo le Sezioni Unite, essendo esso il rimedio di sistema contro il giudicato, tale soluzione permette, anche nel limitato campo del decreto ingiuntivo non opposto in materia consumeristica, di fare salvo il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.
Al tempo stesso, l’opposizione ex art. 650 c.p.c. si presenta come risposta coerente rispetto ai dicta della CGUE, giacché è idonea a rimettere in discussione il risultato di condanna conseguito dal creditore con il decreto ingiuntivo non opposto proprio in ragione del carattere abusivo della clausola del contratto fonte del diritto azionato in via monitoria, così da poter determinare la caducazione di quel decreto ovvero la riduzione del suo importo quale conseguenza della dichiarazione della natura abusiva di una o più clausole, con sentenza – come detto – suscettibile di passare in giudicato formale e con attitudine al giudicato sostanziale.
Ed ancora, tale soluzione consente di non derogare alla regola (tra le tante, Cass., 18 febbraio 2015, n. 3277 e Cass., 14 febbraio 2020, n. 3716) secondo cui in sede di opposizione all’esecuzione, ove alla base dell’opposizione sia posto un titolo esecutivo giudiziale, non possono farsi valere fatti impeditivi anteriori alla formazione del titolo, così da non mettere in discussione la natura di titolo esecutivo giudiziale del decreto ingiuntivo non opposto.
Il rimedio di cui all’art. 650 c.p.c. resta la soluzione preferibile, non essendo la revocazione ex art. 395 c.p.c. praticabile in via interpretativa, per essere riservato al legislatore il potere di ampliare il catalogo delle ipotesi (numeri da 1 a 5) ad ulteriori casi che ne consentano l’attivazione e non essendo applicabile l’actio nullitatis, in quanto priva di un termine per la sua proposizione e imponendo, per ottenere il necessario risultato della sospensione dell’esecutorietà del titolo giudiziale, di attivare il percorso, non così agevole e diretto, dello strumento cautelare disciplinato dall’art. 700 c.p.c..
Alla luce di quanto motivato, le Sezioni Unite hanno dichiarato l’estinzione del giudizio di legittimità per intervenuta rinuncia e, nell’interesse della legge, enunciato i già menzionati principi di diritto.
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