In ambito di procedimento prefallimentare, il debitore può fornire la prova della non fallibilità ex art. 1, comma 2, L.Fall., anche con strumenti probatori alternativi ai bilanci degli ultimi tre esercizi previsti dall’art. 15, comma 4, L.Fall. – i quali non assurgono infatti a prova legale – avvalendosi delle scritture contabili dell’impresa, come di qualunque altro documento, formato da terzi o dalla parte stessa, suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Genovese – Rel. Fidanzia, con ordinanza n. 31171 del 9 novembre 2023.
Secondo il passaggio motivazionale della Suprema Corte: “nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto non attendibile la documentazione contabile prodotta in sede di reclamo senza provvedere al concreto esame della medesima, ma solo sul rilievo che non sarebbe stata mai consegnata al curator nonostante le ripetute richieste e perchè rileverebbe, a fini della prova dei requisiti dimensionali di cui alla L.Fall., art. 1, non già la produzione di documentazione “non ufficiale”, ma unicamente la produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati presso la Camera di Commercio”.
A tal fine, rilevano gli Ermellini, la Corte di Appello ha richiamato, come precedente, una precedente ordinanza di Cassazione in cui si enunciava tale principio: “In tema di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L.Fall., art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi della L.Fall., art. 15, comma 4, sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2435 c.c.; sicchè, ove difettino tali requisiti, o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità.”.
Tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che con tale inciso non si intendesse “affermare che il debitore può provare la sussistenza dei requisiti dimensionali, L.Fall., ex art. 1, comma 2, unicamente con la produzione dei bilanci regolarmente approvati e depositati, ma soltanto che, ove tali bilanci difettino di tali requisiti, venendo meno quella sorta di presunzione (iuris tantum) di attendibilità che li assiste, l’imprenditore è comunque onerato a provare la sussistenza dei requisiti di fallibilità”.
Pertanto, non avendo escluso che i requisiti dimensionali possano essere provati con strumenti probatori alternativi, quali i documenti contabili (fatture) prodotti dalla ricorrente, il cui esame concreto era, pertanto, doveroso per valutarne l’attendibilità, il ricorso dalla medesima presentato è stato accolto con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione per nuovo esame della controversia e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
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