Nei rapporti tra avvocato e cliente la nozione di conflitto di interessi, rilevante ai sensi dell’art. 24 del vigente codice deontologico forense, comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito.
Questo è il principio espresso dalla Cass. civ., Sez. Unite, Pres. D’Ascola – Rel. Terrusi, con sentenza n. 14933 del 29 maggio 2023.
Il difensore in questione era stato sottoposto a procedimento disciplinare avanti il Consiglio distrettuale di disciplina con incolpazione di “avere assistito e difeso in qualità di parte civile la moglie del signor (omissis) nel procedimento penale a carico di costui celebrato prima che fosse decorso il biennio dalla cessazione del rapporto professionale con il sig. (omissis) e ciò in violazione dell’art. 68, 1 comma Codice Deontologico“.
Il ricorrente evidenziava che il rapporto professionale con il sig. (omissis) aveva avuto a oggetto vicende relative all’impresa individuale del medesimo, sicchè la “parte assistita” in quel caso doveva reputarsi identificabile non con la persona fisica ma, per l’appunto, con l’impresa, in relazione ai “beni giuridici” a essa relativi.
Secondo le Sezioni Unite “l’art. 68 della l. cit. prevede che l’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale. Dalla circostanza che la norma adoperi il termine “parte”, anzichè quelli di “cliente” o “persona”, non può pretendersi (come invece fa il ricorrente) che la norma abbia alluso al soggetto non in quanto tale ma in relazione alle posizioni giuridiche coinvolte nell’affare affidato all’avvocato.
Ciò è in dissidio con la più elementare logica, non soltanto giuridica, poichè ai fini dell’illecito disciplinare rileva il nocumento d’immagine cagionato alla professione forense nel caso in cui l’avvocato, dopo aver assunto la difesa di un soggetto, diventi difensore di un suo avversario senza che sia trascorso un adeguato intervallo temporale”.
Quanto all’eccezione relativa all’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare, invece, le Sezioni Unite hanno rilevato che il termine non fosse decorso.
Pertanto, il ricorso è stato rigettato e il difensore ricorrente condannato al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda al seguente contributo pubblicato in Rivista:
VI È LA NULLITÀ DEL SECONDO MANDATO DIFENSIVO
Sentenza | Cass. civ., Sez. III, Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo | 11.10.2023 | n.28427
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