I contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo d’identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria.
Tale principio esclude la possibilità di ritenere ammissibile il perfezionamento dell’accordo sulla base di una manifestazione di volontà implicita o di comportamenti concludenti o meramente attuativi.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Enna, Giudice Davide Naldi, con la sentenza n. 757 del 2 novembre 2023.
Nel caso di specie, la banca attrice chiedeva il pagamento di alcuni crediti portati da fatture rimaste insolute relative a forniture di prodotti farmaceutici, medicali, di diagnostica e prestazioni di servizi relativi a prodotti, apparecchiature medicali e ceduti da diverse società all’attrice medesima, agente quindi per il recupero.
Il Tribunale, alla luce del principio già menzionato, ha evidenziato che se parte attrice intendeva far valere quei crediti, aveva anche l’onere di produrre i contratti da cui il credito derivava, non potendo appunto ritenersi esistente il credito sulla base di fatture, anche se in parte pagate, né dai contratti di cessione, che presupponevano comunque l’esistenza di un valido contratto che giustificasse l’esistenza del credito.
Inoltre, i contratti di cessione contemplavano anche crediti che sarebbero sorti in futuro sulla base di contratti/ordini di acquisto già perfezionati e contratti/ordini di acquisto da perfezionarsi nei 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto di cessione.
Per tali motivi, avendo parte attrice affermato e ribadito l’esistenza dei contratti, avendone tuttavia prodotti alcuni privi di riferibilità all’Ente convenuto, la domanda è stata rigettata e la medesima condannata alle spese di lite.
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