La presenza di un errore, non imputabile al depositante, che provoca l’impossibilità per il sistema di accettare il deposito, legittima questi alla istanza di rimessione in termini ai fini della rinnovazione del deposito ove possa ritenersi che questi siano decorsi incolpevolmente a causa dell’affidamento riposto nell’esito positivo del deposito stesso. Ne consegue che in caso di esito negativo del procedimento culminante con l’accettazione da parte del cancelliere (c.d. “quarta PEC”), la tempestività del deposito telematico di un atto processuale postula la necessità della sua rinnovazione, previa rimessione in termini ex art. 153, 2° co., c.p.c.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Scarano- Rel. Rossello, con la sentenza n. 32296 del 21 novembre 2023, con la quale è stato accolto il ricorso essendo stato accertato che nella specie l’errore nel deposito era da ascriversi non già al comportamento colposo del depositante, ma a un difetto della firma digitale del giudice estensore della sentenza impugnata.
La Suprema Corte ricostruisce la vicenda fattuale evidenziando che “l’appello, notificato in data 31/3/2017, andava iscritto a ruolo entro il 10/4/2017. La prima iscrizione a ruolo del 6/4/2017 non andò a buon fine e la quarta PEC di rifiuto arrivò il 7/4/2017. La seconda iscrizione a ruolo del 7/4/2017 non andò a buon fine e la quarta PEC non venne mai ricevuta. Nell’incertezza di quanto avvenuto, il 10/5/2017 venne depositata istanza di rimessione in termini (sulla quale nulla si dice ma che deve intendersi implicitamente rigettata con la sentenza qui impugnata). Una terza iscrizione a ruolo del 10/5/2017 non andò a buon fine. In data 21/5/2017 la causa venne regolarmente – anche se tardivamente – iscritta a ruolo (la data dell’11/5/2019 che si legge nel ricorso è palesemente errata posto che la causa di appello porta il numero di ruolo 872/2017 e la sentenza qui impugnata è stata trattenuta in decisione il 27/6/2018). Ciò posto, il deposito della istanza di rimessione in termini entro un mese dalla scadenza del termine in oggetto, non appare eccessivamente ritardato, posto che la particolarità del sistema notificatorio telematico lasciava concrete incertezze sull’esito del secondo tentativo, sul quale non vi fu la PEC di errore”.
La Corte pertanto ha accolto il ricorso, cassato l’impugnata sentenza e rinviato alla Corte di Appello, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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