L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento. Tale vizio non è invece configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. De Chiara – Rel. Fuochi Tinarelli, con l’ordinanza n. 34477 dell’11 dicembre 2023.
Un professore proponeva ricorso innanzi al TAR al fine di ottenere il riconoscimento degli emolumenti a lui spettanti in qualità di componente elettivo laico del CSM poiché, all’atto della cessazione dell’incarico, al medesimo era stato riconosciuto il trattamento di cui alla L. n. 312 del 1971, art. 3, comma 1, con l’assegno personale riassorbibile ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202, senza il computo dell’indennità giudiziaria ai sensi della L. n. 27 del 1981, art. 3; chiedeva il pagamento dei relativi arretrati, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Il giudice amministrativo, con sentenza passata in giudicato, accoglieva, nei limiti dell’eccepita prescrizione, la pretesa del ricorrente, riconoscendo il diritto all’indennità giudiziaria nella misura richiesta, nonchè la corresponsione dei conseguenti arretrati, oltre agli interessi e alla rivalutazione.
Il professore agiva per l’ottemperanza innanzi al TAR, che, con sentenza, disattesa l’eccezione sul difetto di legittimazione passiva del CSM, accoglieva il ricorso ma, nell’affermare l’irretroattività della L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 458 e 459 (che aveva abolito gli assegni il D.P.R. n. 3 del 1957, ex art. 202), manteneva ferma l’applicabilità del divieto di cui allo stesso comma 458 per tali trattamenti a far tempo dell’entrata in vigore della stessa L. n. 147 del 2013 e limitava l’applicabilità della rivalutazione ai soli crediti retributivi maturati fino 31 dicembre 1994.
La decisione veniva impugnata innanzi al Consiglio di Stato, che, con sentenza, in parziale riforma delle statuizioni del TAR, riteneva il difetto di legittimazione passiva del CSM ed escludeva l’applicabilità della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 458; confermava, invece, l’esclusione del cumulo tra interessi e rivalutazione sugli emolumenti maturati dal gennaio 1995.
A fronte dell’inerzia dell’Amministrazione, veniva designato il Commissario ad acta che, presi contatti con l’Università (già delegata dal MIUR per la determinazione di quanto spettante al professore) procedeva alla quantificazione della somma dovuta, che determinava nella misura di Euro 19.912,33, oltre interessi per Euro 2.623,39, notevolmente inferiore a quella asseritamente spettante (pari a Euro 146.721,70).
La minor somma, in particolare, era conseguente ad un riassorbimento dell’assegno ad personam e compensazione delle rispettive pretese, effettuati in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, avente ad oggetto la determinazione della retribuzione del professore a far data dal 5 novembre 1991.
Sopravvenuto il decesso del professore, con reclamo ex art. 114 c.p.a., comma 6, le ricorrenti, in qualità di eredi, contestavano la legittimità degli atti adottati dal Commissario ad acta, posto che la liquidazione delle somme doveva essere ancorata a quanto statuito con la sentenza del TAR come interpretata in sede di ottemperanza con la sentenza del Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato, con sentenza, rigettava il ricorso.
Avverso detta sentenza, le eredi del professore hanno proposto ricorso per cassazione con due motivi.
Con istanza depositata in data 8 agosto 2023, le ricorrenti chiedevano rinvio, cui aderiva l’Avvocatura dello Stato, in attesa della definizione del giudizio di ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato, concernente il cd. riassorbimento dell’assegno ad personam del professore.
Secondo la Suprema Corte, nella vicenda in esame, non era configurabile il denunciato eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione.
La sentenza impugnata, con cui era stato respinto il reclamo avverso l’asserita inesatta attuazione della sentenza di ottemperanza del Consiglio di Stato relativa alla sentenza del Tar Lazio, non aveva inciso sull’intangibilità del giudicato, nè aveva attribuito ad esso un contenuto precettivo diverso da quello risultante dal titolo, ma si era limitata, nell’interpretare il titolo e valutare la sua corretta esecuzione, a considerare il comportamento della pubblica amministrazione e la sua conformità a quello che avrebbe dovuto tenere alla luce delle circostanze potenzialmente incidenti (in ispecie, l’incidenza di un diverso giudicato sulle voci stipendiali) e valutate dall’amministrazione con riferimento alla ritenuta unicità della voce stipendiale coinvolta.
Tutti i vizi dedotti – il difetto di legittimazione dell’Università, l’asserita considerazione, d’ufficio, di una eccezione di compensazione e le pretese violazioni del contraddittorio processuale e il contestato ampliamento del thema decidendum, i vizi istruttori, l’asserita errata interpretazione di norme sostanziali per aver ritenuto le decisioni del 2012 e del 2013, pur relative a problematiche differenti, comunque afferenti “alla medesima voce stipendiale” e, dunque, legittimamente oggetto di apprezzamento da parte dell’Amministrazione – attenevano, in evidenza, ad eventuali errores in procedendo o in iudicando, come tali conferenti al limiti interni della giurisdizione del giudice amministrativo ed estranei al sindacato della Corte di cassazione.
Il ricorso è stato dunque dichiarato inammissibile e le ricorrenti condannate al pagamento, in favore delle parti costituite, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
INAMMISSIBILITÀ: IL RICORSO PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE DEVE ESSERE PRESENTATO CONTRO LA SENTENZA CORRISPONDENTE
È INAMMISSIBILE L’IMPUGNAZIONE PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE AVVERSO SENTENZA DEFINITIVA SE LA QUESTIONE È STATA RISOLTA DA ALTRA SENTENZA NON DEFINITIVA
Sentenza | Cassazione civile, Sezioni Unite | 16.01.2014 | n.773
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno