Deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile nella parte in cui dopo le parole “da fatto illecito” non prevede “o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico”.
La limitazione dell’ambito oggettivo di operatività della consulenza preventiva operato dalla disposizione in scrutinio contrasta con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell’eguaglianza, sia sotto quello della ragionevolezza, e con l’art. 24 Cost., in quanto realizza una differenziazione nella tutela dei diritti non supportata da una ragionevole giustificazione
Questo è il principio espresso dalla Corte Costituzionale, Pres. Augusto Antonio Barbera, con la sentenza n. 222 del 21 dicembre 2023.
Il Tribunale ordinario di Bari, sezione seconda civile, in composizione monocratica, dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevedeva che l’espletamento della consulenza tecnica in via preventiva potesse essere richiesto ai fini dell’accertamento e della determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione, oltre che di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito, di obbligazioni derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
Ad avviso del rimettente, tale previsione sarebbe stata in contrasto, in particolare, con l’art. 3 Cost., a causa della esclusione irragionevole dell’ultima categoria di crediti – i quali, al pari di quelli nascenti dal contratto o dal fatto illecito, sono da considerarsi coessenziali alla “realizzazione del sistema dei diritti” -, e, pertanto, si sarebbe verificata “un’evidente aporia, o comunque in un’incoerenza interna dell’istituto”.
Secondo la Corte “la limitazione dell’ambito oggettivo di operatività della consulenza preventiva operato dalla disposizione in scrutinio contrasta con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell’eguaglianza, sia sotto quello della ragionevolezza, e con l’art. 24 Cost., in quanto realizza una differenziazione nella tutela dei diritti non supportata da una ragionevole giustificazione”.
Difatti, “la ragione giustificatrice dell’art. 696-bis cod. proc. civ. va rinvenuta nella esigenza di aggiungere alla tutela giurisdizionale una forma complementare di attuazione dei diritti, per mezzo della quale il conflitto è definito in via negoziale, ma all’esito di un apposito procedimento nel quale la conciliazione è coadiuvata dall’esperto in posizione di terzietà ed è impostata, diretta e convalidata dal giudice”.
Pertanto, la scelta di limitare lo strumento in esame alle sole controversie relative ai crediti ex contractu ed ex delicto, così privando delle peculiari utilità connesse al suo esperimento i titolari di tutti gli altri crediti di fonte diversa, “non rinviene né nel titolo né nel contenuto dei diritti ammessi una valida ragione di diversificazione”.
Le obbligazioni correlate ai diritti di credito esclusi dall’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ. condividono con quelle collegate ai crediti dallo stesso ammessi la substantia di specifici obblighi giuridici in forza dei quali un soggetto è tenuto ad una determinata prestazione patrimoniale per soddisfare l’interesse di un altro soggetto.
La previsione oggetto di censura, secondo la Consulta, “palesa un deficit di ragionevolezza strumentale, posto che la selezione delle fattispecie ammesse al rimedio si rivela eccessiva – sacrificando inutilmente e arbitrariamente la posizione dei titolari dei crediti esclusi – rispetto alla pur legittima finalità di contenere l’impiego dell’istituto in modo da evitare approfondimenti tecnici inutili o meramente esplorativi”.
Alla segnalata esigenza sopperisce, infatti, la verifica di ammissibilità affidata al giudice, la quale, come sopra evidenziato, investe sia la rilevanza dell’accertamento rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, sia la coincidenza del quid disputatum con i soli aspetti tecnici della questione di fatto.
In ogni caso, il limite alla discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali “è da ritenersi, nella specie, valicato in quanto, per i titolari dei crediti non ricompresi nell’ambito applicativo dell’art. 696-bis cod. proc. civ., la delimitazione oggettiva operata dal primo comma, primo periodo, di tale disposizione si traduce nella negazione di una forma di tutela dotata di specifica utilità e, in considerazione delle sue caratteristiche di giurisdizionalità, non surrogabile dalle pur contigue misure di composizione alternativa delle liti, così determinando “un’ingiustificabile compressione del diritto di agire” (ex multis, sentenze n. 128 e n. 87 del 2021, n. 271 del 2019, n. 225 del 2018, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004).
In conclusione, “la disposizione censurata, ammettendo la consulenza tecnica preventiva per i soli crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, e non anche per tutti i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico, secondo la indicazione fornita dall’art. 1173 cod. civ., dà luogo ad una differenziazione priva di una ragionevole giustificazione e alla violazione, in danno dei titolari dei crediti esclusi, della garanzia ex art. 24 Cost., cui non osta l’ampia discrezionalità del legislatore in ambito processuale, che pure questa Corte ha più volte affermato”.
Pertanto, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 696-bis, primo comma, primo periodo, cod. proc. civ., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dopo le parole “da fatto illecito” non prevede “o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell’ordinamento giuridico”.
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