In materia di esecuzione, “deve ritenersi che il comportamento del creditore – che ha dapprima agito esecutivamente per la somma di € 530,00 e, successivamente, con atto di intervento ha chiesto l’attribuzione della ulteriore somma di € 517,18, in forza del medesimo titolo esecutivo – sia stato adottato in violazione del principio di buona fede e correttezza di cui all’art. 1175 c.c. nonché del dovere di lealtà processuale di cui agli artt. 88 e 92 comma 1 c.p.c. Ed infatti, il comportamento da questi posto in essere determina “ricadute” in senso pregiudizievole, o comunque peggiorativo, sulla posizione del debitore: ciò sia per il profilo dell’ingiustificato prolungamento del vincolo coattivo a cui egli dovrebbe sottostare per liberarsi delle obbligazioni nella loro interezza, sia per il profilo dell’aggravio di spese che il debitore subirebbe, sia per il rischio della formazione di diverse ordinanze di assegnazione, ognuna a parziale soddisfo del credito azionato. “Ricadute” che non sono consentite dall’ordinamento giuridico”.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Roma, Giudice Cristina Liverani, con la sentenza n. 13661 del 27 settembre 2023, con la quale è stata rigettata l’opposizione all’esecuzione promossa contro un’ordinanza che rigettava l’intervento nell’esecuzione della creditrice agente per ulteriori presunti crediti fondati sullo stesso titolo per il quale aveva già agito in precedenza.
Nel caso di specie, in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, si è ritenuto che il comportamento del creditore – che aveva dapprima agito esecutivamente per la somma di € 530,00 e, successivamente, con atto di intervento aveva chiesto l’attribuzione della ulteriore somma di € 517,18, in forza del medesimo titolo esecutivo – fosse stato adottato in violazione del principio di buona fede e correttezza di cui all’art. 1175 c.c. nonché del dovere di lealtà processuale di cui agli artt. 88 e 92 comma 1 c.p.c..
Il Tribunale romano ha evidenziato il ruolo assunto dalla buona fede in ambito giurisprudenziale e dottrinale che tende a collegare la tematica dell’abuso del diritto a quello di siffatta clausola, quest’ultima intesa come criterio per stabilire un limite alle pretese e ai poteri del creditore e, in generale, del titolare del diritto.
La giurisprudenza, italiana ed europea, infatti, “ritiene che la titolarità di un diritto non attribuisca un potere incondizionato di porre in essere tutte le condotte che la norma attributiva del potere formalmente consente: la titolarità del diritto, infatti, è sempre condizionata dallo scopo per il quale quel diritto è riconosciuto dall’ordinamento. Pertanto, il principio di correttezza e buona fede deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, in forza anche del principio costituzionale del giusto processo «che “giusto” non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi».
Per tali motivi, l’opposizione è stata respinta con condanna al pagamento, in favore della banca, delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
PARCELLIZZAZIONE E INDEBITO FRAZIONAMENTO DI PRETESE DOVUTE IN FORZA DI UN “UNICO RAPPORTO OBBLIGATORIO”
LA COMPLESSA INTERPRETAZIONE DELLE SEZIONI UNITE FONDATA SUL PARAMETRO SOGGETTIVO DEL CREDITORE
Sentenza | Cassazione civile, sez. unite, Pres. Canzio – Rel. Iasillo | 16.02.2017 | n.4090
FRAZIONAMENTO CREDITO: È ABUSIVO QUANDO GLI INCARICHI ORIGINANO DA UN’UNICA CONVENZIONE TRA STUDIO LEGALE E COMPAGNIA ASSICURATIVA
PER IL PAGAMENTO SI IMPONE L’INSTAURAZIONE DI UN UNICO GIUDIZIO
Ordinanza | Cass. civ., D’Ascola – Rel. Carrato | 12.06.2023 | n.16508
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