«E’ stato, altresì, precisato che l’omesso esame di un fatto sostanziale o processuale non integra un errore revocatorio, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., che viceversa consiste nella viziata percezione o nella falsa supposizione (espressa e mai implicita) dell’esistenza o inesistenza di un fatto sostanziale o processuale, non controverso tra le parti, la cui esistenza o inesistenza è incontrovertibilmente esclusa o positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa (cass. civ., 26.5.2021, n. 14610), e che l’errore revocatorio non è ravvisabile nei casi aventi ad oggetto l’omesso esame di prove documentali invocate dalle parti, ovvero l’erronea o incompleta valutazione delle risultanze probatorie, incorrendo così in un errore di giudizio che esula dal perimetro del giudizio revocatorio (cass. civ., 26.5.2021, n. 14610; cass. civ., 20.11.2017, n. 27508; cass. civ., 12.12.2016).»
Questo è il principio espresso dalla Corte di Appello di Napoli, Pres. Casaregola – Rel. Morrone, con la sentenza n. 5487 del 27/12/2023.
Avverso la sentenza di appello la società attrice proponeva tempestiva impugnazione per revocazione, ex art. 395, n. 4, c.p.c., con atto di citazione notificato a mezzo pec alla banca convenuta, con cui denunciava “l’errore di fatto” contenuto nella predetta sentenza di appello, consistente nella ritenuta esistenza di un residuo debito di essa società derivante da finanziamento cambiario, esistenza che era invece incontestabilmente esclusa dagli atti e dai documenti di causa.
Secondo la ricostruzione attorea, la Corte di Appello nella sentenza revocanda aveva affermato l’esistenza di un credito della società per la somma di € 4.962,39, omettendo, però, l’esame di atti inoppugnabili (e non contestati); aveva supposto o immaginato un “fatto” (il mancato pagamento di alcune cambiali per € 34.449,53) confliggente con il possesso da parte della società di tutte le cambiali di cui al finanziamento; aveva supposto o immaginato un “fatto” (la esistenza di un residuo debito cambiario della società laddove, invece, anche la banca aveva affermato nella comparsa di risposta depositata nel giudizio di primo grado che: “… all’esito dell’estinzione del debito nascente dal finanziamento cambiario…essa Banca aveva chiuso il c/c di cui al giudizio” (quindi, l’avvenuta estinzione del debito cambiario costituiva un fatto non controverso tra le parti).
La società correntista, dunque, ritenendo sussistenti tutti i presupposti di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. (ossia la falsa percezione della realtà da parte della Corte di Appello, che aveva ritenuto, esistente nei confronti della detta società ed in favore della banca un debito residuo di € 34.449,53, per la mancata totale estinzione del finanziamento cambiario), deduceva che, esaurita la “fase rescindente del processo”, si sarebbe dovuti passare alla fase “rescissoria”, all’esito della quale la Corte, revocata la sentenza di appello, avrebbe dovuto condannare la banca alla restituzione in favore di essa della somma di € 39.412,02, pari al saldo del c/c corrente, come ricalcolato dal CTU, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Nel caso di specie, l’omessa valutazione, da parte della Corte di Appello, delle cambiali in possesso della società o della lettera della banca del 27.5.2005, come denunciata dalla medesima attrice, non dipendeva da una falsa percezione della realtà da parte del giudice di appello, ossia non dipendeva dal fatto che il giudice di appello avesse erroneamente ritenuto che l’attrice non fosse in possesso della cambiali o che non fosse in atti la lettera del 27.5.2005 (peraltro, tale presunta falsa percezione della realtà processuale non risultava mai espressa nella sentenza di appello), ma si risolveva o in una omessa valutazione tout court dei predetti documenti o in una implicita valutazione negativa sulla loro rilevanza ai fini della prova dell’estinzione dell’intero finanziamento, atteso che, con riferimento al finanziamento cambiario, il CTU – alle cui risultanze aderiva la Corte di Appello, riportando in sentenza le conclusioni dell’ausiliario – metteva ben in evidenza che dall’estratto conto risultava il pagamento solo della somma di € 107.923,99, a fronte della somma finanziata di € 140.000,00.
Si sarebbe trattato, quindi, al più di un errore di giudizio e non di un errore di fatto revocatorio.
Infine, non integrava un errore revocatorio, ex art. 395, n. 4, c.p.c., il fatto che la Corte di Appello non avesse considerato le difese spiegate dalla banca nella comparsa di risposta depositata nel giudizio di primo grado, ossia che non era contestata dalla banca l’estinzione totale del finanziamento da parte della società, in quanto, come precisato dalla Corte di Cassazione, la pronunzia del giudice, che si assumeva erronea, sull’esistenza di uno o più fatti ritenuti pacifici per difetto di contestazione, costituivano frutto non di un errore meramente percettivo, ma di un’attività valutativa, nel senso che il giudice stesso, postasi la questione della mancanza di contestazioni in ordine all’esistenza di uno o più fatti determinati, l’aveva risolta affermativamente all’esito di un giudizio, di per sé incompatibile con l’errore di fatto e non idoneo, quindi, a costituire motivo di revocazione a norma dell’art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass., civ., 13.12.2022, n. 36249).
Da tutto quanto precede, è conseguito il rigetto dell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, ex art. 395, n. 4, c.p.c., con condanna alle spese di lite nei confronti della banca convenuta.
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