Il mandato all’incasso attribuisce all’istituto di credito l’incarico a riscuotere somme, senza tuttavia comportare in capo alla banca nessun obbligo di attivarsi per la riscossione del credito e/o garanzia ulteriore. Il mandato persegue infatti la finalità dell’estinzione dei debiti verso il mandatario, non attraverso il trasferimento della titolarità dei medesimi diritti, realizzata con la loro cessione, ma solamente in maniera indiretta, attraverso il meccanismo di compensazione col debito del mandatario avente ad oggetto il versamento delle somme incassate.
Anche quando sia in rem propriam, il mandato irrevocabile all’incasso conferisce infatti al mandatario solo la legittimazione a riscuotere il credito in nome per conto del mandante, che ne conserva la titolarità esclusiva e il diritto ad esigerlo (Cass. n. 22277 del 2017; Cass. n. 763 del 2016), anche se le parti abbiano previsto la compensazione volontaria tra i crediti riscossi per conto del mandante e quanto dovuto da quest’ultimo al mandatario.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Appello di Perugia, Pres. Pierucci – Rel. Aguzzi, con la sentenza n. 744 del 16 ottobre 2023.
Il caso attiene all’appello presentato dalla banca avverso la sentenza del giudice di prime cure che, nel pronunciarsi sull’opposizione a decreto ingiuntivo emesso dalla banca medesima, aveva stabilito che essa avrebbe dovuto attivarsi per evitare che i finanziamenti subissero dei pregiudizi, posto che il finanziamento erogato era garantito da un mandato a vendere i valori mobiliari sino al limite di euro 1.300.000,00.
Nello specifico, a seguito dell’ingiunzione di pagamento di euro 568.673,58, oltre interessi e spese, la banca concedeva agli ingiunti un’apertura di credito per Euro 100.000,00 e un finanziamento in valuta non finalizzato per ulteriori Euro 800.000,00 con mandato di vendita dei valori mobiliari a garanzia. Gli affidamenti erano stati garantiti da un mandato irrevocabile alla banca a vendere i titoli sino al limite di Euro 1.300.000,00 costituente il 45% in più rispetto al valore degli affidamenti. Inoltre, a garanzia del credito, gli esponenti avevano depositato in pegno i titoli.
A seguito della crisi finanziaria del 2008, i titoli subivano un grave deprezzamento, di cui era responsabile la banca che, secondo gli opponenti appellati, aveva quindi il diritto-dovere di vendere e incassare il prezzo riveniente dai titoli non appena il loro valore fosse sceso sotto soglia.
Per la tesi degli opponenti, confermata dal giudice di prime cure, la banca non aveva eseguito il mandato irrevocabile all’incasso, in quanto non aveva venduto i titoli quando erano iniziati a scendere sotto la soglia di Euro 1.300.000,00 e dopo che erano scesi al di sotto del valore dell’affidamento, ma li aveva venduti nel Dicembre 2008, per un controvalore di euro 350.000,00.
Il Tribunale riteneva fondata la tesi degli opponenti, affermando che il mandato irrevocabile all’incasso rientrasse nel mandato a gestire ed amministrare detti titoli.
Proponeva quindi appello la banca, ritenuto fondato dalla Corte di Appello, la quale sanciva il principio per il quale il mandato irrevocabile all’incasso “assolve esclusivamente a una funzione di garanzia, in quanto il titolare dei crediti derivanti dalla vendita dei titoli resta sempre il debitore”.
Pertanto, pur avendo la possibilità di farlo, la banca non era obbligata a vendere i titoli, anche in presenza di una loro diminuzione di valore, sia in quanto il mandato a vendere era subordinato al reintegro della garanzia da parte del debitore, sia per il concreto atteggiarsi del rapporto, in base al quale l’appellato aveva sempre potuto gestire i titoli autonomamente.
Le condizioni generali del mandato non prevedevano espressamente un obbligo della Banca a vendere i titoli o a controllare l’andamento delle quotazioni di borsa, ma la autorizzava a compiere le operazioni specificate, senza obbligarla tuttavia ad incassare le somme e ad attivarsi per la riscossione del controvalore dei titoli, nè a controllarne l’andamento e le fluttuazioni di valore.
La facoltatività della vendita e l’assenza di un dovere di controllo delle quotazioni da parte della banca risultavano peraltro avvalorate dal fatto che nel corso del rapporto l’appellato, addetto al settore in quanto promotore finanziario, poteva mantenere la facoltà di gestione dei titoli. Egli era quindi perfettamente in grado di verificarne i prezzi e, come hanno confermato le prove orali, avrebbe potuto decidere se e quando venderli.
Pertanto, alla luce delle predette considerazioni e al principio già esposto, la Corte ha accolto l’appello principale e per l’effetto condannato gli appellati, in solido tra loro, al pagamento in favore della dell’importo di euro 568.673,58, oltre agli interessi di mora al prime rate di Istituto dal 18.11.2008 al saldo.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
IL MANDATO IRREVOCABILE ALL’INCASSO È UN SEMPLICE MANDATO A RISCUOTERE SOMME
PERSEGUE LA FINALITÀ DELL’ESTINZIONE DEI DEBITI VERSO IL MANDATARIO SOLAMENTE IN MANIERA INDIRETTA
Sentenza | Corte d’Appello di Bologna, Pres. Aponte – Rel. Guernelli | 31.01.2019 | n.336
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