In caso di pendenza di controversia, avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione sia stata proposta la domanda revocatoria, non deve farsi luogo a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c., in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronunzia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Sarano – Rel. Ambrosi, con l’ordinanza n. 6517 del 12 marzo 2024, con la quale è stata rigettata l’istanza di sospensione facoltativa formulata dai ricorrenti, già in sede di appello poi riproposta in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 337, comma 2 c.p.c., poggiante sul rapporto esistente tra giudizio revocatorio e azione di nullità della fideiussione dai medesimi prestata.
Più specificamente, una delle banche convenute aveva agito in revocatoria degli atti indicati nei confronti dei predetti convenuti nella loro qualità di garanti dei debiti della società cui la medesima aveva erogato il proprio credito.
Nell’instaurato giudizio di legittimità, i ricorrenti lamentavano il rigetto da parte della Corte d’appello dell’istanza, pure in quella sede formulata ex art. 295 c.p.c., in quanto dinanzi al Tribunale di Roma pendeva la domanda di accertamento della nullità delle fideiussioni rilasciate dai ricorrenti; a fondamento dell’istanza, in tale sede ribadita, allegavano la sentenza con cui il Tribunale di Roma si era pronunciato in merito ai contratti fideiussori dai medesimi stipulati con la banca dichiarandone la nullità parziale, in quanto contenenti le clausole (di reviviscenza, di deroga all’art. 1957 c.c. e di sopravvivenza della fideiussione) ritenute illegittime per violazione della normativa antistrust di cui al D.Lgs. n. 287 del 1990, ed inoltre, dichiarando decaduto l’istituto di credito dall’esercizio dell’azione per scadenza dell’obbligazione principale ex art. 1957 c.c..
La Suprema Corte ha ritenuto infondata l’istanza di sospensione, affermando che “non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tra il giudizio avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione è stato proposto il giudizio in revocatoria, il fatto che il primo sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, non rende la sospensione del secondo né doverosa ai sensi dell’art. 295 c.p.c., né facoltativa ai sensi dell’art. 337, 2° comma, c.p.c.;” per converso è stato già chiarito che “salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica, che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, allorquando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non è doverosa, bensì facoltativa ai sensi dell’art. 337, 2° comma, c.p.c., come si desume dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo (in particolare, dall’art. 282 c.p.c.), alla cui stregua il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso rispetto allo stato iniziale della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado”.
Pertanto, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto:“in caso di pendenza di controversia, avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione sia stata proposta la domanda revocatoria, non deve farsi luogo a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c., in quanto la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronunzia sulla domanda revocatoria, essendo d’altra parte da escludere l’eventualità di un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito”.
Il ricorso è stato rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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https://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/azione-revocatoria
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