In tema di rapporti di conto corrente bancario, qualora, a fronte di un’azione di ripetizione dell’indebito esercitata dal correntista, la banca convenuta eccepisca la prescrizione del diritto di credito sul presupposto della natura solutoria delle rimesse, l’esistenza di un contratto di apertura di credito che consenta di attribuire semplice natura ripristinatoria della provvista alle rimesse oggetto della ripetizione dell’indebito e, conseguentemente, di far decorrere il termine di prescrizione a far data dalla chiusura del rapporto, costituisce una eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, purché l’affidamento risulti dai documenti legittimamente acquisiti al processo o dalle deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Valitutti – Rel. Campese, con l’ordinanza n. 20455 del 17 luglio 2023.
Il caso originava dall’azione di ripetizione proposta in primo grado dalla correntista nei confronti della banca con condanna, poi parzialmente riformata, in appello.
Avverso la sentenza di secondo grado, la correntista propone ricorso per cassazione, avente ad oggetto il tema relativo alla differenziazione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista; solo le prime, infatti, possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c., con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per esse, dal momento in abbiano avuto luogo.
I versamenti ripristinatori, invece, – come precisato dalle Sezioni Unite – non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista: sicchè, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti.
L’esistenza, o meno, di una apertura di credito, dunque, spiega incidenza sul decorso della prescrizione delle singole rimesse, determinando che esse, a seconda dei casi, possano qualificarsi meramente ripristinatorie della provvista o solutorie.
La Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, specifica che “se il correntista agisca in giudizio senza allegare l’esistenza di una apertura di credito, oppure non specificando l’effettiva entità dell’affidamento concessogli, la banca che eccepisca la prescrizione del diritto alla ripetizione delle rimesse non è tenuta a dedurre e dimostrare l’esistenza del detto contratto. In conseguenza, la banca potrà limitarsi ad allegare quella inerzia, deducendo che il correntista abbia mancato di pretendere in restituzione alcunchè per l’intero arco del termine prescrizionale. E’ colui che agisce in ripetizione a dover provare l’apertura di credito che gli è stata concessa, poichè questa evenienza integra un fatto idoneo ad incidere sulla decorrenza dell’eccepita prescrizione: un fatto che costituisce materia di una controeccezione da opporsi alla banca convenuta in ripetizione .”
Come è evidente, difatti, la rimessa del correntista, che avrebbe natura solutoria in assenza di una apertura di credito, potrà assumere, in presenza di quest’ultima, natura ripristinatoria: ciò accadrà, precisamente, nei casi in cui tale rimessa ripiani l’esposizione maturata nel limite dell’affidamento, operando, quindi, su di un conto “passivo”, e non “scoperto”. Il contratto di apertura di credito, pertanto, si mostra idoneo a escludere che la prescrizione del diritto alla ripetizione della somma oggetto della rimessa decorra dal momento dell’attuato versamento: e, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., sarà il correntista che intenda contrastare l’eccezione di prescrizione (avendo proprio riguardo al contestato suo decorso) ad essere onerato di provare l’esistenza del detto contratto.
Secondo gli Ermellini, la questione in esame non costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, rilevabile soltanto ad istanza di parte: infatti, è eccezione in senso stretto quella per la quale la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o quella in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte.
Ora, il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis.
Fermo tutto quanto precede, il Collegio rimarca che, nella specie, essendosi al cospetto di un contratto di conto corrente stipulato anteriormente all’entrata in vigore – dall’1 gennaio 1994 – del T.U.B. (D.Lgs. n. 385 del 1993), per il quale, quindi, non vi era obbligo di forma scritta, deve trovare applicazione il principio secondo cui, perchè vi sia apertura di credito in conto corrente, rileva la pattuizione – generalmente formale, ma pur sempre realizzabile per “facta concludentia” – di un obbligo della banca di eseguire operazioni di credito bancario passive. Poichè, peraltro, tale obbligo può emergere dallo stesso contegno della banca nella gestione del conto, ne discende che la predeterminazione del limite massimo della somma accreditabile nemmeno costituisce elemento essenziale della causa del contratto di apertura di credito in conto corrente.
Orbene, nell’odierna vicenda, la Suprema Corte evidenzia che la stessa corte territoriale aveva riferito che al c.t.u. – nominato in primo grado – era stata trasmessa la documentazione relativa alla Centrale rischi, dove erano state riportate le comunicazioni periodiche della banca circa “l’esistenza e l’ammontare dell’affidamento”, e le segnalazioni dell’istituto di credito circa “il limite dell’indebitamento”; di più la medesima banca aveva “permesso al correntista di usufruire del fido”. La corte distrettuale, dunque, aveva dato atto, specificamente, di un contegno dell’istituto di credito rivelatore dell’esistenza di un’apertura di credito e, quindi, di un contratto di conto corrente “affidato”.
Tuttavia, il giudice di seconde cure aveva ritenuto che tali elementi – certamente rilevanti sul piano probatorio, in assenza di un obbligo di redazione del contratto in questione in forma scritta – non potevano costituire prova dell’apertura di credito, non avendo il correntista tempestivamente allegato nell’atto di citazione di primo grado, nè nella memoria ex art. 183 c.p.c., a fronte dell’eccezione di prescrizione formulata dalla banca, che il conto era affidato e che, pertanto, le rimesse erano ripristinatorie, non solutorie.
Tale assunto della corte di merito, però, è certamente erroneo per la Suprema Corte, atteso che la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione, determinato da un’apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto.
In proposito, invero, si è affermato che, nel contratto di apertura di credito in conto corrente, ove il cliente agisca per la ripetizione di importi relativi ad interessi non dovuti e la banca sollevi l’eccezione di prescrizione, la questione della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse, rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione decennale dell’azione, può essere addirittura sollevata, per la prima volta, in appello, in quanto è la stessa proposizione dell’eccezione di prescrizione ad imporre di prendere in esame tale profilo, essendo l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito soddisfatto semplicemente con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unitamente alla dichiarazione di volerne profittare.
Alla stregua delle argomentazioni tutte fin qui esposte, quindi, le doglianze in esame sono state accolte, con conseguente cassazione, in parte qua, della decisione impugnata e con rinvio della causa alla Corte di appello, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
RESITUZIONE DI INDEBITO: L’INAMMISSIBILITÀ DELLA DOMANDA SI ESTENDE ANCHE ALLA RICHIESTA DI NULLITÀ DEL CONTRATTO AD ESSA PRESUPPOSTA
CIÒ IN QUANTO LA DOMANDA DI ACCERTAMENTO È STRUMENTALE ALL’ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA DI CONDANNA
Sentenza | Tribunale di Benevento, Giudice Onorario di Pace, Avv. Rosario Molino | 01.06.2023 | n.1242
RIPETIZIONE INDEBITO: L’AZIONE PUO’ ESSERE ESERCITATA SOLO DOPO L’ESTINZIONE DEL CONTO CORRENTE
IN COSTANZA DI RAPPORTO NON SI CONFIGURANO PAGAMENTI RIPETIBILI
Sentenza | Corte d’Appello di Campobasso, Pres. D’Errico – Rel. Spinelli | 06.05.2021 | n.158
RIPETIZIONE INDEBITO: LA PRESCRIZIONE DECORRE DAL MOMENTO DELLA STIPULA DEL CONTRATTO NULLO
L’ACCERTAMENTO DELLA NULLITÀ RETROAGISCE FINO A QUELLA DATA
Sentenza | Giudice di Pace di Ivrea, dott.ssa Francesca Lombardo | 13.01.2021 | n.22
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