L’interpretazione dell’art. 53 L.F., che vorrebbe che la facoltà di vendita diretta delle attività finanziarie oggetto di pegno al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia (facoltà prevista anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione dall’art.4 del D.Lvo.21 maggio 2004 n.170 di attuazione della direttiva comunitaria 2002/47) debba, in caso di fallimento del debitore pignoratizio, essere preceduta dall’ammissione al passivo fallimentare con privilegio del credito garantito, contrasta con il disposto dell’art. 4, comma 4 lettera b) di detta direttiva che prevede espressamente che le modalità di realizzo delle garanzie finanziarie non possano prescrivere l’obbligo “che le condizioni di realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona”.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Parma, Giudice Giacomo Cicciò, con la sentenza n. 97 del 15 gennaio 2024.
Il Fallimento conveniva in giudizio la banca domandando che fosse accertata e dichiarata la natura di pegno regolare dell’atto di pegno costituito in data 31.07.2018 e per l’effetto fosse revocata, ex articolo 67 LF, l’operazione di escussione del pegno posta in essere in data 15.01.2020 e, conseguentemente, fosse dichiarata l’inefficacia della stessa nei confronti della massa dei creditori del Fallimento, con condanna della convenuta alla restituzione della somma di € 7.960,51, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo.
Si costituiva in giudizio la banca eccependo che alla fattispecie sarebbe stato applicabile l’art. 4 del D. Lgs. 21/05/2004 n. 170 trattandosi di un contratto di garanzia finanziaria, con conseguente applicabilità della relativa disciplina ed esenzione dall’azione revocatoria o comunque, in subordine, che si sarebbe trattato di pegno irregolare e domandando pertanto il rigetto della domanda svolta.
Secondo il Tribunale il pegno su titoli, quale quello in questione, rientrava nell’ambito delle garanzie finanziarie così come classificate dal D.lgs. n. 170/2004.
Ai sensi dell’art. 1, primo comma, lettera d), del summenzionato decreto, infatti, per contratto di garanzia finanziaria deve intendersi il contratto di pegno e qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie volto a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie, allorché le parti contraenti rientrino in una delle seguenti categorie: enti creditizi (come definiti dall’articolo 4, punto 1), della direttiva 2006/48/CE); le persone diverse dalle persone fisiche, incluse imprese e associazioni prive di personalità giuridica, purché la controparte sia un ente definito ai numeri da 1) a 4).
Ai sensi dell’art. 1, primo comma, lettera c) del Decreto devono intendersi per attività finanziarie: il contante, gli strumenti finanziari, i crediti e, con riferimento alle operazioni connesse con le funzioni del sistema delle banche centrali europee e dei sistemi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 210, le altre attività accettate a garanzia di tali operazioni.
Classificato il pegno in tal modo, il Tribunale ha ritenuto che “L’interpretazione dell’art. 53 L.F., che vorrebbe che la facoltà di vendita diretta delle attività finanziarie oggetto di pegno al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia (facoltà prevista anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione dall’art.4 del D.Lvo.21 maggio 2004 n.170 di attuazione della direttiva comunitaria 2002/47) debba, in caso di fallimento del debitore pignoratizio, essere preceduta dall’ammissione al passivo fallimentare con privilegio del credito garantito, contrasta con il disposto dell’art. 4, comma 4 lettera b) di detta direttiva che prevede espressamente che le modalità di realizzo delle garanzie finanziarie non possano prescrivere l’obbligo “che le condizioni di realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona”.
Pertanto, le norme speciali in tema di contratto di garanzia finanziaria derogano a quelle di carattere generale previste dalla legge fallimentare e dunque la domanda è stata respinta, con condanna alle spese di lite.
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