La prova scritta del contratto di assicurazione può essere desunta anche da documenti diversi dalla polizza, purché provenienti dalle parti e da questi sottoscritti, dai quali sia possibile desumere l’esistenza e il contenuto del patto.
Il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c. e, se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, mentre, se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili ma, per verificare la sufficienza di tale documento, può giungere alla propria decisione solo all’esito delle puntuali valutazioni prescritte dagli artt. 20 e 21 D.Lgs. n. 82 del 2005 e, cioè, esaminando analiticamente le caratteristiche oggettive del documento informatico sotto il profilo della qualità, della sicurezza, della integrità e della immodificabilità.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, De Stefano – Rel. Rossetti, con la sentenza n. 14046 del 21 maggio 2024.
La vicenda processuale traeva origine dalla sottoscrizione, nel 2009, di un contratto di assicurazione contro il rischio di furto della merce trasportata, stipulato tra il ricorrente, un autotrasportatore, e la società assicurativa, per il tramite di un broker intermediario.
Il 18 aprile del 2010 il ricorrente subiva un furto di due motrici e di un rimorchio contenente un carico di medicinali, a lui affidati per il trasporto.
Il mittente chiedeva di essere risarcito per la perdita del carico ed il vettore chiedeva a sua volta al proprio assicuratore di essere manlevato rispetto a tale pretesa. La compagnia assicurativa, tuttavia, rifiutava il pagamento dell’indennizzo, opponendo che il contratto di assicurazione escludeva dalla copertura i danni derivanti dal furto di medicinali.
Nel 2013 il ricorrente conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la società assicurativa e quella intermediaria chiedendone la condanna, in solido o in via alternativa, al pagamento dell’indennizzo e/o al risarcimento del danno. Nella sostanza l’attore deduceva che l’estensione della copertura al rischio di furto di medicinali doveva ritenersi operante per effetto di uno scambio di email tra il broker ed un funzionario della compagnia assicurativa, avvenuto nel 2009. In subordine, deduceva che la mancata estensione della copertura doveva ascriversi a responsabilità del broker, per non avere saputo offrire all’assicurato un contratto adatto alle sue esigenze assicurative.
I convenuti si costituivano contestando la domanda; la società intermediaria in subordine chiedeva di essere manlevata della responsabilità civile dal proprio assicuratore, che provvedeva a chiamare in causa.
Con sentenza, il Tribunale di Milano accoglieva la domanda nei confronti della compagnia assicurativa e la rigettava nei confronti della società intermediaria.
Il Tribunale riteneva che il rischio avveratosi fosse coperto dalla polizza per effetto delle modifiche ad esse apportate su richiesta del broker, richiesta dimostrata dallo scambio di messaggi di posta elettronica tra il broker stesso e il funzionario della società assicurativa.
La sentenza veniva impugnata in via principale dal ricorrente, al fine di sentir condannare anche la società intermediaria quale corresponsabile, e dalla compagnia assicurativa in via incidentale, per essere sollevata da ogni responsabilità, in assenza di stipula dell’estensione della polizza assicurativa al trasporto dei medicinali, “dato che il contratto doveva essere provato per iscritto e che le mail prodotte in atti non integravano una prova scritta, in quanto non potevano considerarsi “sottoscritte“.
Con sentenza la Corte d’appello accoglieva il gravame incidentale; rigettava la domanda nei confronti della compagnia assicurativa e la accoglieva nei confronti della società intermediaria, che condannava al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 11.800,00, oltre accessori; dichiarava inammissibile la domanda di manleva dell’intermediario contro la propria assicurazione; compensava, infine, le spese di giudizio.
La Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava che il gravame incidentale della compagnia assicurativa era da ritenersi fondato, in quanto, dovendo il contratto di assicurazione essere provato per iscritto ai sensi dell’art. 1888 c.c., nella specie l’estensione della polizza (modificativa di un’espressa previsione contrattuale, e cioè l’art. 15 lett. C che escludeva il trasporto dei medicinali) non era stata oggetto di un documento scritto per così dire “tradizionale”, cioè un’appendice contrattuale firmata dal contraente (o suo mandatario) e dalla società assicurativa, bensì di uno scambio di e-mail fra il broker e un funzionario della società di assicurazioni.
Nella specie, secondo la Corte di secondo grado, si era trattato di uno scambio “di semplici, ordinarie e-mail” e non già di scambio a mezzo di posta elettronica certificata. Pertanto, “in caso di contratto da provarsi per iscritto, lo scambio di mail non potrebbe ricoprire lo stesso valore di una scrittura privata, dato che non è detto che a spedire le mail siano stati davvero i titolari dell’account e non un’altra persona“.
Viceversa, la Corte di Appello riteneva di accogliere, nei limiti della richiesta formulata in sede di appello, la domanda nei confronti della società intermediaria, per non essersi il broker avveduto che nella polizza assicurativa originaria era escluso il rischio al trasporto medicinali, quale attività prevalente del vettore nota allo stesso broker, il quale, “per le ragioni sopra esposte“, non aveva successivamente procurato al ricorrente “una valida estensione assicurativa“.
Per la cassazione di tale sentenza ricorreva l’autotrasportatore deducendo che un messaggio di posta elettronica “ordinaria” costituisce ai sensi dell’art. 2712 c.c. un “documento informatico” che, se non disconosciuto, forma piena prova dei fatti in esso rappresentati. E poiché la provenienza della e-mail di estensione della copertura non era stata contestata, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta.
Nel merito tale motivo di ricorso è stato ritenuto fondato.
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, ha richiamato l’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. 82/05 secondo cui “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di (qualità,) sicurezza, integrità ed immodificabilità”.
La Corte d’appello, pertanto, non avrebbe potuto limitarsi a negare tout court che un messaggio di posta elettronica con firma elettronica “semplice” potesse soddisfare il requisito della forma scritta. Avrebbe dovuto, invece, previamente esaminare e vagliare le “caratteristiche oggettive” menzionate nell’art. 20 citato.
Le suddette caratteristiche di “qualità, sicurezza, integrità, immodificabilità“, poiché debbono essere “oggettive“, andavano desunte dal corpus mechanicum a disposizione del giudicante: e quindi – in particolare – dal formato del file in cui il messaggio di posta era stato salvato; dalle proprietà di esso; dalla sintassi adottata; dalla grafica.
Pertanto, gli Ermellini hanno evidenziato che “la prova scritta del contratto di assicurazione può essere desunta anche da documenti diversi dalla polizza, purché provenienti dalle parti e da questi sottoscritti, dai quali sia possibile desumere l’esistenza ed il contenuto del patto.”
La Suprema Corte ha rilevato, inoltre, che all’epoca dei fatti vigeva l’art. 21, comma 1, D.Lgs. 82/05 (nel testo applicabile ratione temporis, norma poi abrogata dall’art. 21, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, ma trasfusa nell’art. 20, comma 1-bis, D.Lgs. 82/05), per il quale “il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità“.
Pertanto, dal quadro evidenziato emergeva che: “il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.; se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate; se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità.”
Nel caso di specie, dunque, alla luce dei suesposti principi, la Corte d’appello non avrebbe potuto scartare in introitu, dal materiale probatorio, la e-mail inviata dal ricorrente al broker in base ai soli rilievi della pacifica carenza della firma elettronica qualificata o digitale o della mancata adozione dei modelli o stampati usualmente impiegati (ma certo non imposti appunto ad substantiam negotii). Avrebbe certamente potuto giungere a tale risultato, nell’esercizio del suo potere-dovere di accertamento dei fatti, ma solo all’esito delle puntuali valutazioni prescritte dagli artt. 20 e 21 D.Lgs. 82/05 e, cioè, esaminando analiticamente le caratteristiche oggettive del documento informatico sotto il profilo: a) della qualità; b) della sicurezza; c) della integrità; d) della immodificabilità.
La Suprema Corte, quindi, ha accolto il secondo motivo di ricorso e cassato la sentenza impugnata in relazione ad esso, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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