Integra un comportamento sanzionabile con la condanna per lite temeraria ex articolo 96 comma 3 c.p.c., quello del contribuente che attesta in modo mendace un fatto storico nella sua piena percepibilità, quale quello di avere proposto un ricorso per revocazione in realtà mai proposto. Non è applicabile al processo tributario la previsione di cui all’articolo 96 comma 4 c.p.c.
In tema di temerarietà dell’impugnazione, infatti, al processo tributario può ritenersi applicabile l’art. 96 co. 3 c.p.c., stante l’attuale espressa previsione dell’articolo 15 comma 2 bis D.Lgs. n. 546/1992, ma non anche l’ulteriore sanzione alla cassa delle ammende ex art. 96 comma 4 c.p.c., in quanto l’estensione non ha riguardato il secondo e il quarto comma del predetto articolo.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Giustizia Tributaria di Piacenza, Pres. Rel. Morlini, con la sentenza n. 93 del 5 luglio 2024.
Il caso originava dalla impugnazione proposta da un contribuente avverso una intimazione di pagamento per l’importo di € 971.303,75 sulla base di una pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria (CGT), non appellata e divenuta esecutiva, che con sentenza aveva rigettato l’impugnazione dal medesimo proposta avverso una cartella di pagamento.
In particolare, il ricorrente sollevava cinque diversi profili di contestazione, ritenuti dal Collegio manifestamente e radicalmente infondati.
In particolare, con i primi due motivi, il contribuente chiedeva la sospensione del giudizio, contestando la procedura di riscossione integrale e non frazionata, in ragione della pretesa proposizione di un giudizio di revocazione della sentenza posta a base dell’intimazione di pagamento.
Sul punto la CGT ha osservato che il ricorrente non aveva in alcun modo provato di avere mai proposto la procedura di revocazione; l’Agenzia delle Entrate aveva confermato nei propri atti di non essere mai stata evocata in giudizio in una tale procedura; effettivamente non risultava pendente presso l’intestata Corte di Giustizia alcun procedimento di revocazione della sentenza di cui trattavasi.
Infondato era ritenuto anche il terzo motivo, relativo alla quantificazione della somma oggetto di intimazione di pagamento: a seguito del rigetto dell’impugnazione della cartella con sentenza passata in giudicato, infatti, l’intimazione aveva ovviamente riguardato l’intera somma indicata nella cartella, e quindi anche l’ultimo terzo dell’imposta; ed era comunque allegato un prospetto con l’indicazione delle somme dovute a titolo di tributi, sanzioni ed interessi.
Infine, il Collegio ha rigettato anche il quarto e il quinto motivo di doglianza, relativo al supposto difetto di motivazione per mancata allegazione della sentenza di rigetto dell’impugnazione della cartella citata nell’intimazione e quello relativo alla pretesa nullità dell’intimazione per difetto di firma: una semplice analisi testuale dell’atto consentiva di verificare che era invece presente la firma digitale del capo dell’ufficio legale, e ciò a seguito di rituale delega del direttore.
Alla luce dell’infondatezza dei motivi di ricorso, la CGT ha evidenziato “la oggettiva e palese temerarietà dell’impugnazione, comprovata dalla mendace asserzione di avere proposto un ricorso per revocazione, ciò che integra una non veritiera attestazione di un fatto storico nella piena percepibilità della parte; dalla manifesta e radicale infondatezza delle argomentazioni giuridiche sviluppate in tema di quantificazione delle somme oggetto di pagamento e asserito difetto di motivazione; dall’eccezione di mancanza di firma relativamente ad un documento chiaramente ed inequivocabilmente firmato, così comprovando che l’impugnazione è stata svolta in modo meccanico e con eccezioni standardizzate, senza alcuna aderenza alla situazione concreta oggetto di causa.”.
La temerarietà dell’impugnazione, secondo il Collegio, doveva “essere sanzionata con la condanna d’ufficio ex articolo 96 comma 3 c.p.c., norma che s’applica al processo tributario stante l’attuale espressa previsione dell’articolo 15 comma 2 bis D.Lgs. n. 546/1992 e così come anche in precedenza ritenuto possibile dalla stessa Suprema Corte a Sezioni Unite (cfr. Cass. Sez. Un. n. 13899/2013), equitativamente indicando l’importo di tale condanna in una somma pari a quella relativa alle spese di lite”.
La CGT ha ritenuto di non dovere procedere invece all’irrogazione dell’ulteriore sanzione alla cassa delle ammende ex art. 96 comma 4 c.p.c., in quanto pur essendo vero che “tale sanzione nella previsione processual civilistica accede automaticamente ed ex lege all’avvenuta condanna ai sensi del terzo comma” (…) “il Legislatore, con l’articolo 15 comma 2 bis D.Lgs. n. 546/1992, ha espressamente esteso al processo tributario le previsioni dei (soli) commi primo e terzo dell’articolo 96 c.p.c.”, mancando “l’estensione relativamente al secondo ed al quarto comma; in particolare, allorquando il quarto comma è stato aggiunto all’articolo 96 c.p.c. a seguito della cd. riforma Cartabia mediante il D.Lgs. n. 149/2022, il Legislatore ha ritenuto di non integrare la previsione del citato articolo 15 comma 2 bis.”.
Ne conseguiva, dunque, secondo il Collegio, che il Legislatore aveva inteso disciplinare diversamente la materia delle spese per lite temeraria tra processo civile e processo tributario, dal momento che aveva introdotto la previsione della condanna al pagamento di una somma alla cassa delle ammende inserendo l’articolo 96 comma 4 c.p.c. con riferimento al rito processuale civilistico, non modificando contestualmente l’articolo 15 comma 2 bis del D.Lgs. n. 546/1992 che estende al processo tributario altri commi dell’articolo 96.
Per questi motivi, la CGT ha ritenuto di non procedere, in aggiunta alla condanna ex articolo 96 comma 3 c.p.c., anche alla condanna ex articolo 96 comma 4 c.p.c.
Per tutte le ragioni esposte, il ricorso è stato rigettato, con condanna del contribuente a rifondere alla parte convenuta le spese di lite del giudizio e a pagare ex articolo 96 comma 3 c.p.c. la somma prevista per lite temeraria.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LA MANIFESTA PRETESTUOSITÀ DELL’OPPOSIZIONE GIUSTIFICA LA CONDANNA AI SENSI DELL’ART. 96, 3° COMMA C.P.C.
Sentenza | Tribunale di Torino, Giudice Marco Ciccarelli | 24.07.2019 | n.3703
LITE TEMERARIA: VA SANZIONATO IL RICORSO PER CASSAZIONE CHE CENSURA UN TIPICO APPREZZAMENTO DI FATTO
OCCORRE UNA QUALIFICATA PRESTAZIONE PROFESSIONALE DELL’AVVOCATO CASSAZIONISTA
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Travaglino – Rel Rossetti | 06.10.2022 | n.29102
LITE TEMERARIA: L’ABUSO DEL DIRITTO DI IMPUGNAZIONE NEL RICORSO PER CASSAZIONE
L’INSOSTENIBILITÀ IN PUNTO DI DIRITTO DEGLI ARGOMENTI ALLA BASE DEL GRAVAME VA CENSURATA EX ART. 96 CPC
Sentenza | Corte di Cassazione, Pres. De Stefano – Rel Saija | 06.10.2022 | n.29102
LITE TEMERARIA: L’AGENTE DELLA RISCOSSIONE RISPONDE PER RESPONSABILITÀ AGGRAVATA
CONDANNA AL PAGAMENTO DELLA SANZIONE RISARCITORIA IN CASO DI COLPA GRAVE
Ordinanza | Cassazione civile, Sezione Sesta, Pres. Ragonesi Rel. Cristiano | 22.12.2015 | n.25852
LITE TEMERARIA: L’ART.96 CPC È APPLICABILE AL PROCESSO TRIBUTARIO
IL GIUDICE TRIBUTARIO PUÒ CONDANNARE LAMMINISTRAZIONE FINANZIARIA AL RISARCIMENTO DEL DANNO PER LITE TEMERARIA EX ART.96 CPC
Ordinanza | Cassazione civile, sezioni unite | 03.06.2013 | n.13899
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