In tema di onere della prova, vale il principio “onus probandi incumbit ei qui dicit”, nel senso che l’onere di provare un fatto ricade su colui che invoca proprio quel fatto a sostegno della propria tesi. Le disposizioni applicabili e la conseguente decisione finale del giudice dovranno dunque essere fondate su atti o fatti mostrati da attore e convenuto, con eccezione dei tassativi casi di possibilità di acquisizione della prova d’ufficio, ex lege previsti. Inoltre, la parte che contraddice un fatto provato documentalmente è tenuta, soprattutto successivamente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti a fondamento della domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica.
Il Giudice deve, quindi, porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita oltre a poter porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Giudice Elisabetta Bernardel, con la sentenza n. 3419 del 23 settembre 2024.
Nel caso di specie, il cliente conveniva innanzi al Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere la società finanziaria con la quale aveva stipulato contratto di finanziamento rimborsabile con cessione del quinto dello stipendio, deducendo che, nonostante l’estinzione anticipata del prestito, la società convenuta non aveva rimborsato le commissioni bancarie e di intermediazione nonché la quota di premio assicurativo. Chiedeva, quindi, la ripetizione delle somme indebitamente trattenute in seguito alla estinzione del rapporto negoziale di delega mediante cessione del quinto dello stipendio.
Si costituiva la società finanziaria, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva e affermando di aver corrisposto quanto richiesto dall’attore mediante bonifico bancario, di cui produceva la contabile.
A seguito dell’accoglimento della domanda attorea, la società finanziaria proponeva appello avvero la sentenza di primo grado, censurando l’erronea motivazione circa la carenza di prova dei fatti estintivi, ossia del pagamento della somma di € 1.465,87 “in funzione della totale estinzione del credito vantato dall’attore in quanto manca agli atti qualsivoglia ricevuta di accettazione a totale tacitazione di ogni diritto da parte dell’attore”, seppur fondato su contabile di bonifico non contestata, di importo per di più superiore a quello richiesto dall’attore, pari ad € 1.409,21. Reiterava, comunque, le motivazioni in ordine alla non debenza delle predette somme, ex art. 125 sexies TUB.
Il cliente si costituiva eccependo l’inammissibilità dell’appello in quanto tardivo ed ex art. 342 c.p.c. e insistendo, quindi, per la conferma integrale della sentenza impugnata.
Il Giudice riteneva il motivo fondato, affermando che, nel caso di specie, il cliente aveva posto a fondamento della domanda di ripetizione l’avvenuta estinzione anticipata del finanziamento, ed allegato l’inadempimento della controparte, affermando di non aver ricevuto la restituzione di tutte le somme, mentre la società convenuta, aveva specificamente allegato di aver corrisposto tutte le somme richieste dall’attore producendo a supporto contabile del bonifico di € 1.465,87 in favore del cliente.
A fronte di ciò, l’attore non aveva, però, specificamente contestato detta distinta allegata, né aveva indicato una diversa imputazione del pagamento. A ciò si aggiunga che neppure una generica contestazione circa la mancata ricezione delle suddette somme sarebbe stata di per sé sufficiente, atteso che il cliente, in applicazione del principio di vicinanza alla prova avrebbe potuto e dovuto allegare e provare “fatti positivi”, eventualmente producendo estratti conto del periodo risalente al bonifico, comprovanti il mancato accredito delle somme.
Inoltre, la somma corrisposta spontaneamente a mezzo bonifico dalla società finanziaria per le causali di cui alla domanda attorea era maggiore rispetto a quella liquidata dal Giudice di Prime Cure e tale quantificazione non era stata contestata dall’attore con appello incidentale, potendosi ritenere quindi coperta da giudicato.
Per tali motivi il Giudice ha accolto l’appello, con condanna del cliente a quanto indebitamente ricevuto dalla società finanziaria in virtù della riformata sentenza di primo grado.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
IN MANCANZA, IL FATTO DEVE RITENERSI PACIFICO
Sentenza | Corte d’Appello de l’Aquila, Pres. Fabrizio – Rel. Buzzelli | 02.05.2022 | n.636
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