Nell’ambito degli accordi tra avvocato e cliente, è nullo il patto con il quale il compenso dell’avvocato non è parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma al risultato raggiunto all’esito del giudizio, avente ad oggetto non solo la reintegra della cliente nel posto di lavoro, ma anche la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non versate.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Manna – Rel. Giannaccari con la sentenza n. 23738 del 04 settembre 2024.
Nel caso di specie, il cliente proponeva ricorso in Cassazione avverso il decreto emesso dal Tribunale di Trieste che aveva riconosciuto, all’avvocato che lo aveva assistito in primo e secondo grado in una controversia in materia di lavoro, una percentuale sulle somme che il cliente avrebbe percepito in virtù di sentenza favorevole.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 3 e 4 della L. 247/2012 e dell’art.25 del codice deontologico forense approvato dal CNF nella seduta del 31.1.2014, dell’art.1261 c.c., la nullità dell’accordo del 13.10.2015, la violazione dell’art.1362 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto valido l’accordo con cui si stabiliva il patto di quota lite, poiché il compenso era commisurato ad una percentuale delle somme che la ricorrente avrebbe percepito a titolo di retribuzioni intermedie dalla data dell’illegittimo licenziamento e fino alla data di reintegra.
La Suprema Corte riteneva tale motivo fondato, affermando che, nel caso di specie, si configurava una ipotesi di patto di quota lite, in quanto il compenso non era stato parametrato al valore presunto della controversia, determinabile in via approssimativa già al momento del conferimento dell’incarico, ma al risultato raggiunto all’esito del giudizio, avente ad oggetto non solo la reintegra nel posto di lavoro, ma anche la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni non versate.
Infatti, il patto di quota lite va ravvisato non soltanto nell’ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell’attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione.
Per tali motivi, la Corte ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata in relazione al primo motivo accolto con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Trieste in diversa composizione.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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Sentenza | Tribunale di Verona, Giudice Monica Attanasio | 23.02.2022 |
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COMPENSI AVVOCATI: COMMETTE ILLECITO DISCIPLINARE L’AVVOCATO CHE CHIEDE UN ONORARIO SPROPOSITATO
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