Con il provvedimento che definisce il giudizio di divisione endoesecutiva (sentenza o ordinanza ex art. 789, comma 3, c.p.c.) va disposta la condanna del condividente debitore esecutato alla refusione delle spese sopportate in detta lite dal creditore (procedente o intervenuto titolato), da liquidarsi secondo lo scaglione tariffario corrispondente al valore della massa (con cui si identifica il valore della controversia ex art. 5 d.m. n. 55 del 2014), e la relativa statuizione costituisce titolo per la collocazione nella distribuzione dell’attivo dell’espropriazione con il privilegio ex art. 2770 c.c. e con la preferenza garantita dall’art. 2777 c.c. Infatti, se è vero che nel giudizio di scioglimento di comunioni, disciplinato dagli art. 784 ss. c.p.c., le spese di lite vengono poste a carico della massa e sopportate “pro quota” in quanto tutti i soggetti della comunione dei beni sono titolari di un’identica situazione di diritto sostanziale e sono mossi dal comune interesse a pervenire alla divisione, così non è nella divisione endoesecutiva. In tale giudizio, lo scioglimento della comunione sul bene staggito è un elemento necessario alla prosecuzione dell’espropriazione forzata: è dunque un’attività strumentale ed essenziale alla soddisfazione della pretesa creditoria azionata dai creditori procedenti o intervenuti.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. De Stefano – Rel. Rossi, con la sentenza n. 24550 del 12 settembre 2024.
La vicenda trae origine dall’espropriazione forzata promossa da un creditore in danno del debitore, avente ad oggetto la quota, pari al 50%, del diritto di proprietà su alcuni immobili.
Su istanza del comproprietario della residua quota ex art. 600 cod. proc. civ. e previa sospensione della procedura esecutiva, il Tribunale di Genova provvedeva, con sentenza, alla divisione dei cespiti, ponendo le spese della esperita consulenza tecnica di ufficio a carico della massa (ovvero, per il 50% a carico del creditore procedente e del comproprietario e per l’altro 50% a carico dell’esecutato) e condannava il debitore alla refusione delle (residue) spese di lite in favore del creditore;
A seguito del rigetto dell’appello proposto dal debitore, avente quale esclusivo oggetto la statuizione di condanna alle spese in favore del creditore; questi ricorreva per cassazione affidandosi ad un unico motivo nel quale si doleva per la sua condanna alle spese della controversia di divisione in favore del creditore procedente, che rispondeva con controricorso.
In particolare, affermava che. premesso che “il giudizio di divisione, quand’anche sia instaurato nell’ambito di un processo di esecuzione, costituisce un giudizio di cognizione ordinaria del tutto distinto ed autonomo rispetto al processo di esecuzione”, assumeva l’assenza di una propria soccombenza ” per non aver mai posto opposizione alla divisione.
La Suprema Corte riteneva il motivo infondato, affermando che la divisione c.d. endoesecutiva prevista dagli artt. 600 e 601 cod. proc. civ. – ovvero la divisione disposta dal giudice dell’esecuzione nel corso dell’espropriazione di beni indivisi onde far cessare lo stato di comunione e poter poi disporre in sede esecutiva della sola quota, in natura o in denaro, attribuita al debitore, condividente forzoso – integra un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione, soggiacente alle regole del modello processuale a cognizione piena.
Detto giudizio, come precisato dagli Ermellini, costituisce una parentesi di cognizione incidentale alla procedura espropriativa avente ad oggetto una mera quota su beni indivisi (ed anzi lo sviluppo normale di essa) che, per un verso, si pone – proprio per l’evidenziato scopo -in correlazione funzionale con il procedimento esecutivo (il quale, non a caso, resta sospeso in attesa degli esiti della divisione) ma che, per d’altro lato, è dallo stesso strutturalmente autonomo, poiché distinto soggettivamente ed oggettivamente, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase.
Atteso che al giudizio divisorio non può che applicarsi la regola generale della soccombenza, la Corte ha affermato che con il provvedimento che definisce il giudizio di divisione endoesecutiva (sentenza o ordinanza ex art. 789, terzo comma, cod. proc. civ.) va disposta la condanna del condividente debitore esecutato alla refusione delle spese sopportate in detta lite dal creditore (procedente o intervenuto titolato), da liquidarsi secondo lo scaglione tariffario corrispondente al valore della massa (con cui si identifica il valore della controversia: art. 5 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55): la relativa statuizione costituisce titolo per la collocazione nella distribuzione dell’attivo dell’espropriazione con il privilegio ex art. 2770 cod. civ. e con la preferenza garantita dall’art. 2777 cod. civ..
Sulla base di queste considerazioni, la Suprema Corte rigettava il ricorso con condanna del debitore alle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
VANNO INVECE POSTE A CARICO DEL DEBITORE QUELLE ORIGINATE DA SUE ECCESSIVE PRETESE O DA INUTILI RESISTENZE
Sentenza | Tribunale di Torino, Giudice Maria Gabriella Rigoletti | 19.07.2018 | n.3729
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