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La clausola di rinuncia preventiva alla decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria ai sensi dell’art. 1957 c.c., inserita nel contratto di fideiussione, non è considerata vessatoria e non richiede una specifica approvazione scritta ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., purché risulti specificamente sottoscritta; essa è pertanto valida se la rinuncia è espressamente e distintamente richiamata in calce all’atto fideiussorio.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Rel. Valentino, con l’ordinanza n. 2683 del 4 febbraio 2025.
Una Banca otteneva dal Tribunale di Cosenza un decreto ingiuntivo in danno dei garanti di un rapporto di apertura credito in conto corrente, con il quale si ingiungeva agli stessi il pagamento di euro 108.911,84, oltre interessi.
A seguito dell’opposizione proposta dai fideiussori, il Giudice revocava il decreto, con condanna, però, degli opponenti in solido tra loro, al pagamento, in favore della Banca opposta, della somma di euro 78.679,62, oltre interessi fino al soddisfo, con compensazione per metà delle spese del giudizio e della consulenza tecnica di ufficio e con condanna, in favore della Banca, della restante metà di dette spese.
La Corte di merito rigettava il gravame. precisando che:
“1. la decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria ai sensi dell’articolo 1957 c.c. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore.
- la clausola relativa a detta rinuncia non rientra, peraltro, tra quelle particolarmente onerose per le quali l’art. 1341, comma 2, c.c. esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente. Peraltro, la clausola derogatoria in esame risulta specificatamente sottoscritta, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., e, validamente, in quanto richiamata “espressamente e distintamente in calce all’atto fideiussorio”;
I garanti proponevano ricorso in Cassazione, nel quale esponevano una pluralità di doglianze, giudicate complessivamente inammissibili dalla Suprema Corte, tra cui la violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 1957 e 1469 bis c.c. (art. 360, n.3, c.p.c.) per la non corretta sottoscrizione della clausola derogatoria dell’art. 1957 cc.
Gli Ermellini ritenevano la censura inammissibile, atteso che la statuizione del Giudice del gravame correttamente recepiva il consolidato orientamento della Suprema Corte, che ha più volte statuito che la clausola in esame non è considerata vessatoria.
Sulla base ti tali considerazioni, la Corte dichiarava il ricorso inammissibile, con condanna dei ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
LA GARANZIA NON HA UN TERMINE DI DECADENZA
Sentenza | Corte di Appello di Ancona, Pres. Gianfelice – Rel. Damiani | 03.07.2024 | n.1039
FIDEIUSSIONI-ANTITRUST: VALIDA LA DEROGA ALLE DISPOSIZIONI EX ART. 1957 CC
TALE CLAUSOLA È DA SEMPRE CONSIDERATA UN VEICOLO PER IL MIGLIORE FUNZIONAMENTO DEL CREDITO IN QUANTO CONSENTE UNA MAGGIORE TOLLERANZA
Sentenza | Tribunale di Napoli, Pres. Graziano – Rel. Fucito | 17.10.2023 | n.9489
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