A prescindere dalle valutazioni in ordine alla qualità della tecnica normativa, ad avviso del giudice la interpretazione che il legislatore ha adottato nel primo comma primo comma dell’art. 2935 cc è ammissibile, perché non si pone in contrasto con le norme positive previgenti, né con un consolidato diritto vivente, e neppure infrange valori costituzionali, purché si consideri non tanto l’annotazione in conto delle singole operazioni, come operazione unilaterale della banca, quanto la comunicazione dell’estratto conto periodico, che rende avvertito il correntista delle poste annotate, e consente di valorizzare la “approvazione” ex art. 1832 cc e 119 T.U.B. delle poste non contestate, di cui il legislatore, con la norma interpretativa, indirettamente sottolinea e richiama la importanza, laddove fa leva sulla disposizione sostanziale contenuta all’art. 2935 cc che correla la decorrenza della prescrizione al momento in cui un diritto può farsi valere.
Si precisa che la seconda parte dell’art. 2 comma 61 del decreto convertito, che esclude comunque, in modo apodittico, le restituzioni di “importi già versati”, senza specificare se intenda fare riferimento a versamenti effettuati dalle banche o dai clienti, non rileva ad avviso del giudice nel caso in esame, in cui nulla è stato versato, dalle parti oggi in causa, a titolo di ripetizione, a seguito della chiusura del conto, ed in attesa dell’esito della controversia. Questa parte della norma, senz’altro oscura, deve essere infatti interpretata restrittivamente, proprio nel rispetto del principio per cui il giudice è tenuto a scegliere, tra le varie letture possibili, quella compatibile con i principi costituzionali; in questa ottica il disposto deve ragionevolmente essere considerato come diretto semplicemente a dare stabilità a quelle restituzioni che le banche abbiano già operato in favore dei clienti, medio tempore, a seguito delle molteplici azioni proposte dai risparmiatori, ed in via di definizione nei vari gradi del giudizio, con la conseguenza già riferita, che non è rilevante nel caso in esame.
La capitalizzazione annuale degli interessi è in linea con la cadenza temporale stabilita dalla legge (art. 1284 cc 1^ comma) e con la clausola generale di chiusura del conto corrente al 31 dicembre di ogni anno, prevista nei contratti bancari. Inoltre, tale forma di capitalizzazione pone le parti in posizione di sostanziale parità, in aderenza al principio di simmetria, che ha trovato anche recente avallo delle determinazioni del CICR, poiché viene applicata non solo a favore della banca, per gli interessi passivi, ma anche a favore del correntista, per gli interessi attivi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BOLOGNA
SECONDA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Maria Rossi ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo Grado iscritta al n.r.g. 17275/2005 promossa da:
Pa.Br., in proprio e con il patrocinio dell’avv. Ma.Ca., via (…), elettivamente domiciliata presso il difensore
Ma.Ca., in proprio e con il patrocinio dell’avv. Pa.Br., via (…) Bologna, elettivamente domiciliato presso il difensore
Attori
contro
xxxxx S.p.A., con il patrocinio dell’avv. Ci.Au., elettivamente domiciliato in via (…) 40124 Bologna presso il difensore
Convenuta
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Con citazione notificata nel novembre del 2005, gli avvocati Pat.Br. e Ma.Ca., in proprio e quali soci dello Studio legale, hanno citato la Ba.Na. S.p.A. esponendo di avere aperto dal 1991 un conto corrente, il n. 4876 presso l’agenzia di Funo di Argelato, sul quale era stato concesso un affidamento di Euro 50.000,00; il conto corrente era stato movimentato fino alla chiusura in data 15.10.2001, in cui presentava saldo zero; dopo la chiusura i clienti avevano chiesto alla banca copia di tutti i documenti sottoscritti, avvalendosi del disposto dell’art. 119 T.U.385 del 1993, ricevendo solo copia della richiesta di fido, e delle dichiarazioni prestampate del 25.1.1991, prive di riferimento alle condizioni economiche del rapporto.
Gli attori assumevano che in difetto di specifica pattuizione non erano dovuti né interessi ultralegali, né commissione di massimo scoperto o spese; allegavano una perizia di parte, che aveva ricostruito sulla base degli estratti conto lo sviluppo del rapporto, escludendo sia tutte le competenze e spese che non fossero state espressamente pattuite, ivi compresi gli effetti della posticipazione degli accrediti ed anticipazione degli addebiti operati, sia gli effetti dell’anatocismo.
Assumevano che gli interessi applicati superavano in concreto la soglia usuraria fissata dalla legge del 1996, ed erano anche per questa ragione, indebiti, e concludevano chiedendo la condanna della banca al pagamento della somma di Euro 60.237,61, che risultava dovuta in forza della perizia di parte, ovvero ad altra maggiore o minore che risultasse provata all’esito del giudizio, e al risarcimento del danno, consistente nell’esborso di Euro 1.500,00 sopportato per acquisire la perizia di parte.
Si costituiva la banca, eccependo in via preliminare la intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione di importi addebitati anteriormente al 29.11.1995, in aderenza alla disciplina della ripetizione di indebito; contestava poi che mancasse, nel contratto, la previsione delle condizioni economiche applicate al rapporto, che invece erano riportate in parte a tergo del contratto ed in parte nelle condizioni d’uso richiamate, e comunque risultavano negli estratti conto scalari comunicati al correntista.
Contestava che la capitalizzazione trimestrale degli interessi fosse illegittima, richiamando sul punto l’orientamento consolidato della Suprema Corte, che prima della sentenza 3096 del 1999 riteneva detta clausola corrispondente ad un uso normativo.
Infine, negava che vi fosse prova di un danno da esborso, rilevando che lo Studio Associato Br. e Ca. era Partner per la Emilia Romagna della Ki. S.a.s. che aveva redatto la perizia, cosicché verosimilmente la Ki. non aveva preteso il pagamento della fattura prodotta. Concludeva quindi per il rigetto della domanda.
La causa veniva istruita con la acquisizione di documenti e l’espletamento di una ctu, per essere trattenuta in decisione sulle conclusioni precisate come in epigrafe alla udienza del 16.9.2010.
Dedotta nullità per indeterminatezza della clausola circa la misura degli interessi, della commissione massimo scoperto e delle altre spese.
Il contratto prodotto, stipulato dalle parti nel 1991, prevede all’art.7 l’applicazione di due diversi criteri di capitalizzazione degli interessi: trimestrale, per quanto dovuto dal cliente, annuale, per quanto dovuto dalla banca. L’articolo dispone poi che gli interessi dovuti dal correntista sono determinati nella misura che l’azienda di credito porta a sua conoscenza con apposita comunicazione, o mediante comunicazione nell’estratto conto, che deve intendersi accettato in difetto di recesso da parte del cliente, da esercitare nel termine di 15 giorni. In difetto delle determinazioni di cui sopra, gli interessi sono dovuti in misura di 5 punti e mezzo superiore al Tasso Ufficiale di Sconto. Deve aggiungersi che la banca nelle sue difese invoca comunque il primo criterio, assumendo che nel corso del rapporto sono stati applicati gli interessi determinati nella misura via via comunicata negli estratti conto.
Ora, l’art. 1284, terzo comma c.c., dispone che: “Gli interessi superiori a quelli legali devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale”; la forma scritta della pattuizione circa la misura degli interessi è quindi necessaria “ad substantiam”, e la mancanza della forma comporta la nullità della clausola stessa, con automatica sostituzione della misura convenzionale con quella legale.
Va chiarito, per inciso, che l’art. 1284 cc è l’unica norma applicabile al rapporto in esame, per quanto attiene alla determinazione del saggio degli interessi, e alle conseguenze della nullità della clausola contrattuale sul punto, atteso che la disciplina contenuta nella legge 154/92, e nel testo unico bancario approvato con decreto legislativo n. 385 del 1993 (d’ora in poi T.U.B.) è irretroattiva, per espressa previsione in tal senso degli artt. 55 della legge 154 e 161 del T.U.B., secondo cui i contratti anteriori restano disciplinati dalla normativa previgente.
Anche la previsione sostitutiva della clausola nulla contenuta all’art. 117 T.U.B., derogatoria rispetto a quella dettata dal codice civile, non trova quindi spazio applicativo, e non può regolare gli effetti dei contratti già in corso, come appunto quello oggetto della lite (vedi in tal senso, il suggerimento interpretativo in Corte Cost.338 del 2009; vedi anche Cass. 4853 del 2007, 28302 del 2005).
Ora, il disposto letterale dell’art. 1284 cc, come sopra riportato, deve essere letto ed armonizzato con il principio generale dettato in materia contrattuale del’art. 1346 cc per cui è valido il contratto che presenta oggetto non determinato, purché determinabile: è quindi efficace la pattuizione stipulata in forma scritta, che individua l’oggetto “per relationem”, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obbiettivamente individuabili.
La giurisprudenza formatasi sul punto ha calato nel concreto il principio, precisando che, affinché la convenzione relativa agli interessi possa intendersi validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284, 3 co. c.c., che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto univoco e consentire la puntuale specificazione del tasso di interesse, con la conseguenza che, ove il tasso convenuto sia variabile, non sono sufficienti generici riferimenti dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare (Cass. nn. 12276/2010, 2317/2007, 266/2006). E’ stata ritenuta quindi insufficiente a tale scopo la clausola che si limiti ad un mero riferimento “alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”, o espressioni analoghe, poiché, data l’esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi.
Alla luce di questi principi, la clausola inserita nel contratto in esame, che rimette la determinazione delle spese agli usi, e degli interessi alle comunicazioni che l’azienda di credito porta in seguito a conoscenza del correntista, è senz’altro nulla, per il vizio descritto, ossia la carenza del requisito della determinabilità, necessaria ex art. 1346 cc come dato oggettivo esistente a priori, rispetto alla formazione del contratto.
Il fatto che la banca abbia inviato al cliente gli estratti conto, o comunicazioni specifiche circa i tassi di interesse, le altre condizioni economiche, e le loro variazioni, (circostanza fattuale comunque contestato, nel rapporto concretamente dedotto in causa) non sana l’originario vizio di nullità per indeterminatezza del regolamento contrattuale, attesa la natura unilaterale della comunicazione e l’inammissibilità di un comportamento concludente o di una sorta di tacita accettazione dell’altra parte, laddove è richiesta la forma scritta ad substantiam ex art. 1284 cc (cfr. Cass. n. 4400 di 1996).
Né può ritenersi efficace, una volta caducato il criterio di determinazione principale; indicato in contratto, il criterio subordinato (che prevede la debenza degli interessi nella misura del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 5 punti e mezzo), atteso che le parti ne avevano previsto la applicazione nella sola ipotesi di mancata determinazione da parte della banca, che invece nel caso in esame è intervenuta, seppure nelle forme qui ritenute invalide.
Anche la commissione di massimo scoperto, e le altre spese e commissioni applicate dalla banca non sono dovute, per nullità delle relative clausole, in difetto di specifica determinazione contrattuale; non è quindi in questa sede necessario soffermarsi sulla natura della commissione di massimo scoperto, e la legittimità o meno delle modalità di calcolo e di applicazione.
La capitalizzazione degli interessi, ed il divieto di anatocismo.
L’art. 1283 cc, testualmente recita: “In mancanza di usi contrari gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi”.
È noto il complesso dibattito giurisprudenziale e dottrinale che ha accompagnato il rèvirement della Cassazione che ha escluso l’esistenza di un uso normativo in deroga al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 cc stabilendo il principio per cui: “la previsione contrattuale della capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale, ma non su una vera e propria norma consuetudinaria è nulla, in quanto anteriore alla scadenza degli interessi” (così Cass. 16 marzo 1999, n. 2374, a cui molte altre sono seguite).
Inoltre, a seguito dell’emissione da parte dei giudici del merito di numerose ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, con le quali si sono evidenziati la carenza di delega da parte dello stesso legislatore, la violazione dei principi di ragionevolezza e di parità di trattamento, la Consulta con sentenza n. 425/00 ha dichiarato la incostituzionalità della disposizione del terzo comma, dell’art.25 D.Lgs. 342/99 nella parte in cui stabiliva la validità ed efficacia delle clausole relative alla capitalizzazione degli interessi passivi contenute nei contratti anteriori al d.lgs. 432/99 e fino all’entrata in vigore della delibera del CICR (avvenuta in data 22/04/00), che ha stabilito le modalità ed i criteri per la produzione di interessi su interessi.
Infine, questo mutato orientamento è stato condiviso dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la decisione del 7 ottobre – 4 novembre 2004, n. 21095, che – dopo aver riconosciuto per decenni la ricorrenza di un uso normativo bancario che legittimava la capitalizzazione trimestrale degli interessi sui conti debitori – ha definitivamente cambiato indirizzo, ribadendo che gli usi normativi contrari, cui espressamente fa riferimento il citato art. 1283 cc sono soltanto quelli formatisi anteriormente all’entrata in vigore del codice civile; che non sia dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l’anatocismo oltre i limiti poi previsti dall’art. 1283 cc; che infine usi contrari non avrebbero potuto formarsi in epoca successiva, atteso il carattere imperativo della norma “de qua” – impeditivi del riconoscimento di pattuizioni e comportamenti non conformi alla disciplina positiva esistente, e, come, nello specifico campo del mutuo bancario ordinario e del conto corrente.Una volta ritenuta la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale ex art. 1419 cc, nella sostituzione di tale clausola appare convincente la soluzione interpretativa mediana, secondo l’indirizzo espresso da una parte della giurisprudenza di merito, cui si è attenuto il sottoscritto giudice nella formulazione del quesito al ctu (cfr. tra le ultime pubblicate sulle riviste giuridiche: Trib. Chieti 11 ottobre 2010, in (…); Trib. Bologna 31.3.2009 e 9.12.2004 in (…); Trib. Cassino 29.10.2004 in (…)), la capitalizzazione annuale degli interessi è in linea con la cadenza temporale stabilita dalla legge (art. 1284 cc 1^ comma) e con la clausola generale di chiusura del conto corrente al 31 dicembre di ogni anno, prevista nei contratti bancari. Inoltre, tale forma di capitalizzazione pone le parti in posizione di sostanziale parità, in aderenza al principio di simmetria, che ha trovato anche recente avallo delle determinazioni del CICR, poiché viene applicata non solo a favore della banca, per gli interessi passivi, ma anche a favore del correntista, per gli interessi attivi.Termine di prescrizione e decorrenza.
1) La giurisprudenza formatasi sul punto
Allo stato, l’aspetto più problematico e controverso della causa è posto dalla eccezione di prescrizione che la banca ha sollevato.Secondo la ricorrente affermazione giurisprudenziale, una volta acclarato che nel corso di un rapporto bancario regolato in conto corrente sono stati conteggiati interessi, competenze o spese in ragione di clausola contrattuale nulla, ovvero in difetto di qualsiasi causa, si accerta la esistenza di un “indebito”, con conseguente diritto del cliente ad ottenere la rideterminazione del saldo, e l’eventuale restituzione di quanto versato in più, rispetto al dovuto.
L’affermazione cosiffatta, sia nelle massime che nelle motivazioni delle pronunce, spesso non opera distinzioni che attengano al tipo di rapporto sottostante, che può essere, un semplice deposito, attivo quindi per il cliente, che non si vede gravato da interessi, ma solo da commissioni e spese, ovvero una apertura di credito, in cui invece la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una certa somma, che questi utilizza (o non utilizza) a suo piacimento, obbligandosi al pagamento di interessi corrispettivi; generalmente il contenzioso sorge da affidamenti, di cui la banca chiede il rientro al cliente, ma non sono rare le azioni di accertamento proposte dal cliente, a seguito di chiusura del rapporto, per ottenere la rideterminazione del saldo e la condanna della banca al pagamento di una somma, di cui quella all’esame rappresenta un esempio.
Vista la eccezione di prescrizione occorre verificare in primo luogo quale sia il termine di prescrizione da applicare, e, soprattutto, quale sia la sua decorrenza: l’azione con cui si fa valere la nullità del contratto o delle sue clausole è infatti imprescrittibile, ma la norma contenuta all’art. 1422 cc fa salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.
Ora, quanto alla individuazione del termine, poiché l’accertamento del diritto alla ripetizione consegue alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali che prevedevano le diverse causali degli addebiti, quelle diverse causali non hanno più rilevanza alcuna, e alla azione di ripetizione del pagamento indebito, da ricondurre alla fattispecie di cui all’art. 2033 cc si applica per ogni ipotesi di addebito (spese, interessi commissioni) il termine di prescrizione ordinario decennale.
Circa, poi, la decorrenza del termine di prescrizione, è ricorrente la affermazione secondo cui, trattandosi di operazioni regolate in conto corrente, e quindi di “una pluralità di atti esecutivi di un unico rapporto derivante da un contratto unitario”, la prescrizione decorre solo dal momento di chiusura del conto, per recesso dell’una o dell’altra parte: così c. 2005/10127, c. 2004/5720, c. 1998/3783, c. 1984/2262.
Leggendo le sentenze sopra citate per esteso, tuttavia, si verifica che il problema è affrontato con gradi di approfondimento assai differenti, e che anche l’oggetto immediato delle pronunce è diverso: in particolare, la pronuncia del 2005 ha rinviato ai precedenti arresti, dando sostanzialmente per acquisito il principio, mentre le sentenze del 2004 e del 1998 non si occupano in realtà del rapporto tra la Banca ed il correntista, ma stabiliscono che il termine di prescrizione della azione della Banca creditrice nei confronti del fideiussore decorre dal momento del recesso, atteso che solo allora diviene esigibile, (ovviamente), la prestazione del fideiussore.
In buona sostanza, delle molte pronunce usualmente citate solo la risalente sentenza del 1984 affronta in modo approfondito il tema specifico, stabilendo al termine del suo percorso motivazionale che nel corso del rapporto tra la banca ed il cliente non decorre la prescrizione, perché, “i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi; perciò la serie successiva di versamenti, prelievi ed accreditamenti non da luogo a singoli rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto costituito tra banca e cliente”.
2) La pronuncia Cass. SU. 24418 del 2010
La recente pronuncia della Cassazione a Sezioni unite, n. 24418 del 2010 (intervenuta a venticinque anni di distanza dalla sentenza del 1984, ed in un contesto in cui il contenzioso tra le banche e la clientela si è enormemente sviluppato, per una serie di fattori convergenti, tra cui il revirement operato dalla cassazione nel 1999 circa la sussistenza di un uso normativo che giustificasse l’anatocismo bancario) ha preso posizione sul tema, modificando le precedenti conclusioni; partendo infatti dalle considerazioni già tradizionalmente svolte, e quindi dalla natura unitaria del contratto di apertura di credito in conto corrente, unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, ed esaminando le critiche portate alla sua attenzione dalla difesa della banca, ha riconosciuto che la ricorrente argomentazione fondata sic et simpliciter sul carattere unitario del rapporto, non è decisiva, al fine di escludere che vi siano, in corso di rapporto, pagamenti indebiti, atteso che questa ipotesi si verifica in varie tipologie di contratti di durata, come ad esempio contratti di locazione, in cui un pagamento non dovuto può effettivamente intervenire, con la conseguente possibilità di immediata ripetizione, e contestuale decorrenza del termine prescrizionale.
La Corte quindi approfondisce l’esame, analizzando il concetto di “pagamento indebito” nel contesto dei rapporti bancari in conto corrente ed affermando che per aversi pagamento, passibile di restituzione mediante l’azione ex art. 2033 cc, deve aversi un effettivo spostamento patrimoniale, dal cliente a favore della banca; esclude, quindi, in primo luogo, nel suo ragionare, che vi sia equivalenza tra “pagamento” ed “addebito”, affermando che la mera annotazione da parte della banca di una posta negativa in conto non corrisponde ad una attività solutoria del cliente.
La Corte riconosce che sin dal momento dell’addebito in conto, il correntista potrà agire, per fare dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, e fare rettificare il conto, con tutte le conseguenza, ma esclude che vi sia in quel momento la giuridica possibilità di esercitare l’azione di ripetizione, intesa in senso proprio, in difetto di una prestazione eseguita, e di un atto di natura solutoria, operato dal cliente.
In coerenza con questa linea, ancorata alla natura giuridico del pagamento, atto solutorio, opera una successiva selezione, tra i vari tipi di versamenti operati dal cliente, per individuare quelli che abbiano natura estintiva di un debito, riprendendo in proposito la distinzione, elaborata in sede fallimentare, tra rimesse che abbiano per effetto il rientro dallo sconfinamento, e rimesse di carattere ripristinatorio, volte a ricostituire la provvista.
Giunge alla conclusione che la prescrizione dell’azione di ripetizione, prima della chiusura del conto, e quindi in pendenza del rapporto, decorre solo nel momento, e limitatamente alle somme per cui il correntista opera dei pagamenti in senso stretto, versando nel conto importi diretti a sanare uno scoperto, e/o rientrare nei limiti dell’originario affidamento, cui quindi si riconosca natura estintiva di una obbligazione immediatamente esigibile da parte della banca, mentre non decorre nei casi in cui o è la banca ad addebitare sul conto somme, per interessi, commissioni o qualsiasi altro titolo, non dovute, ovvero il cliente effettua versamenti che tuttavia ripristinano semplicemente la provvista a sua disposizione, e sono come tali privi di carattere estintivo.
3) L’intervento del legislatore, e la legittimità della interpretazione autentica imposta.
E’ quindi intervenuto il legislatore che all’articolo 2, comma 61 del decreto legge 225 del 2010, (cosiddetto “milleproroghe”), convertito dalla legge 10 del 2011, entrata in vigore a seguito della pubblicazione nel supplemento ordinario 53 della Gazzetta Ufficiale n. 47 del 27 febbraio 2011, ha introdotto una norma di interpretazione autentica dell’art. 2935 cc, disponendo che “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 cc si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.
La norma è stata rimessa alla Corte Costituzionale, per sospetta illegittimità, dal Tribunale di Benevento, con ordinanza del 10 marzo 2011, ed è stata ritenuta norma innovativa, non applicabile retroattivamente, dalla Corte di Appello di Ancona, con ordinanza del 3 marzo 2011; entrambi i provvedimenti sono pubblicati sulla rivista “il (…)”.
Ora, a prescindere dalle valutazioni in ordine alla qualità della tecnica normativa, ad avviso del giudice la interpretazione che il legislatore ha adottato nel primo comma della i norma è ammissibile, perché non si pone in contrasto con le norme positive previgenti, né con un consolidato diritto vivente, e neppure infrange valori costituzionali, purché si consideri non tanto l’annotazione in conto delle singole operazioni, come operazione unilaterale della banca, quanto la comunicazione dell’estratto conto periodico, che rende avvertito il correntista delle poste annotate, e consente di valorizzare la “approvazione” ex art. 1832 cc e 119 T.U.B. delle poste non contestate, di cui il legislatore, con la norma interpretativa, indirettamente sottolinea e richiama la importanza, laddove fa leva sulla disposizione sostanziale contenuta all’art. 2935 cc, che correla la decorrenza della prescrizione al momento in cui un diritto può farsi valere.
Si precisa che la seconda parte dell’art. 2 comma 61 del decreto convertito, che esclude comunque, in modo apodittico, le restituzioni di “importi già versati”, senza specificare se intenda fare riferimento a versamenti effettuati dalle banche o dai clienti, non rileva ad avviso del giudice nel caso in esame, in cui nulla è stato versato, dalle parti oggi in causa, a titolo di ripetizione, a seguito della chiusura del conto, ed in attesa dell’esito della controversia.
Questa parte della norma, senz’altro oscura, deve essere infatti interpretata restrittivamente, proprio nel rispetto del principio per cui il giudice è tenuto a scegliere, tra le varie letture possibili, quella compatibile con i principi costituzionali; in questa ottica il disposto deve ragionevolmente essere considerato come diretto semplicemente a dare stabilità a quelle restituzioni che le banche abbiano già operato in favore dei clienti, medio tempore, a seguito delle molteplici azioni proposte dai risparmiatori, ed in via di definizione nei vari gradi del giudizio, con la conseguenza già riferita, che non è rilevante nel caso in esame.
Per quanto attiene al primo comma, che invece è pertinente al caso in esame, il Giudice non ravvisa dubbi di costituzionalità dell’intervento, visto il preesistente tessuto normativo, che ammetteva comunque plurime interpretazioni, dal momento che la natura dell’estratto conto bancario ed i suoi effetti in ordine all’esercizio della azione di ripetizione non era positivamente disciplinata, la giurisprudenza formatasi, letta per esteso, conteneva differenti soluzioni ed era comunque in via di evoluzione, e alle sentenze tradizionalmente citate, altre se ne accompagnavano, di diverso indirizzo e più convincenti (vedi, in particolare Trib. Mantova sez. II, 20 gennaio 2009 – Est. Ve., ne Il.), che pervenivano alla medesima interpretazione oggi dettata dal legislatore, e condivisa dal giudice che scrive.
La sentenza resa dalla Corte a Sezioni Unite, di cui al precedente paragrafo, non pare infatti imposta dal dato normativo, ossia dalla disciplina positiva del conto corrente bancario, ma piuttosto frutto di una apollinea ricostruzione del rapporto, di carattere dogmatico, che conduce a differenziare la disciplina delle contestazioni in relazione alla natura giuridica delle annotazioni, e del carattere propriamente solutorio e meno dei singoli versamenti, introducendo gravi elementi di incertezza, nella ricostruzione del saldo effettivo, e sul piano della prova, il che ad avviso del giudice tradisce la volontà del legislatore, e comporta indubbie criticità.
Ripercorrendo infatti le norme dettate per i contratti in conto corrente si rileva che l’art. 1832 cc (applicabile anche al rapporto bancario, in virtù del richiamo contenuto all’art. 1857 cc) prevede che l’estratto conto “si intende approvato”, se non è contestato nel termine pattuito, salva la facoltà di impugnazione per errori di scritturazione o di calcolo, per omissione o duplicazione, nel termine di sei mesi dalla chiusura; l’art. 119 del TUB specifica poi che “nei contratti di durata le banche e gli intermediari finanziari forniscono per iscritto al cliente, alla scadenza del contratto, e comunque almeno una volta all’anno, una comunicazione completa e chiara in ordine allo svolgimento del rapporto”, e al terzo comma precisa, in aderenza alla logica già contenuta all’art. 1832 cc, che in mancanza di opposizione scritta da parte del cliente gli estratti conto e le altre comunicazioni della clientela si intendono approvate trascorsi 60 gg. dal ricevimento; infine prevede il diritto del cliente di ottenere, a proprie spese, dalla banca, copia della documentazione inerente le singole operazioni compiute negli ultimi dieci anni, periodo che coincide in modo quanto meno suggestivo con il termine ordinario di prescrizione dei diritti stabilito dall’art. 2946 cc, e fa piuttosto ritenere che nelle intenzioni del legislatore il termine di prescrizione del diritto di contestare in concreto la annotazione e chiederne la rettifica debba decorrere dall’addebito in conto.
E’ noto il principio, da tempo consolidato, (per cui vedi di recente, tra le altre, Cass. 6514 del 2007) secondo cui la mancata tempestiva contestazione dell’estratto di conto corrente da parte del correntista nei termini previsti dall’art. 1832 cc e 119 testo unico bancario, decorrente dal ricevimento del conto medesimo, rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile ma non impedisce la contestazione della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivino, e le conseguenti ripetizioni.
Si tratta di affermazione condivisibile, perché la inclusione di un credito nel conto non muta la natura e l’origine del credito, e non fa venire meno la possibilità di esperire le ordinarie azioni ed eccezioni relative all’atto da cui il credito deriva.
Tuttavia i termini di 60 gg. o sei mesi per la contestazione di cui sopra sono chiaramente termini di decadenza, sia perché così si esprime esplicitamente l’art. 1832, comma 2 c.c., sia perché la loro brevità depone in tal senso; quindi le norme richiamate, e la interpretazione datane dalla giurisprudenza, che consente al cliente di rilevare le eccezioni sul rapporto anche dopo i 60 gg. dalla comunicazione dell’estratto, non comporta necessariamente che la comunicazione dell’estratto debba ritenersi totalmente ininfluente anche ai diversi fini della decorrenza della prescrizione decennale, e non intersecano la disciplina di questo diverso istituto.
E’ infatti pacifico che il cliente può, al momento della comunicazione dell’estratto conto, verificare la correttezza, sotto ogni profilo, delle annotazioni, contestandole, ove riscontri accrediti o addebiti non dovuti o inesatti nella misura: l’estratto è stato previsto e disciplinato a questi fini, sia dalla norma codicistica che dalla norma speciale, e proprio in ragione del carattere del rapporto, di durata, destinato quindi a svolgersi nel tempo, sovente per lustri e decenni, ha un indubbio valore nello stabilire, nell’interesse di entrambe le parti, una trasparente, chiara e completa rappresentazione dei reciproci diritti, rendendo edotto il cliente del costo dei servizi e degli eventuali affidamenti, e comunque delle somme di cui può immediatamente disporre, e questo a prescindere dal fatto che si tratti di somme proprie o affidategli dalla banca.
In linea con la oggettiva rilevanza dell’estratto periodico la Corte Suprema ha d’altro canto sempre affermato che questo è assistito da una presunzione di veridicità, cosicché l’onere di dimostrare che le poste iscritte sono da rettificare grava su colui che agisce (vedi tra le altre, Cass. 1233 del 2002).
Non è quindi affatto irragionevole in considerazione dei principi generali, di buona fede ed affidamento, diligenza, responsabilità e certezza nei rapporti giuridici, richiedere al cliente di attivarsi, nel corso del rapporto, sollevando, nel termine certamente non breve di dieci anni dalla comunicazione dell’estratto conto, le contestazioni relative alle annotazioni, siano esse relative a spese, commissioni, interessi, e questo indipendentemente dalla natura del contratto (di deposito o di credito) in essere con la banca, e dalla natura solutoria o meno del versamento, ma in ragione del regolamento in conto corrente, caratterizzato dalla periodicità delle comunicazioni rappresentative della situazione; piuttosto una diversa interpretazione appare contraria alla stessa ratio dell’istituto della prescrizione e in diretto contrasto con la disposizione di cui all’art. 2935 cc
Pare d’altro canto arduo richiamare, per sostenere la illegittimità costituzionale dell’intervento del legislatore, il principio di tutela dell’affidamento sorto nelle parti del rapporto per l’effetto nomofilattico delle pronunce della Suprema Corte, dal momento che una delle cause di questa, e di molte altre controversie in materia, si ravvisa nel cambio di orientamento della Suprema Corte, che dopo avere affermato, per decenni, che l’anatocismo applicato dagli istituti di credito era pratica legittimata da un uso normativo ha mutato opinione, nel 1999, consolidando il nuovo corso con una serie di pronunce successive, cosicché i risparmiatori in ragione di questo “revirement” hanno agito nei confronti degli istituti di credito richiedendo ex post la ricostruzione dell’intero rapporto, in molti casi dalla sua remota origine.
Conclusioni di merito.
Agli attori deve quindi riconoscersi il diritto a ripetere gli importi relativi ad addebiti illegittimi eseguiti dalla banca a decorrere dall’aprile del 1994 (ossia dieci anni prima della data di ricevimento, da parte della convenuta, delle intimazioni stragiudiziali di pagamento), essendo il diritto della stessa alla ripetizione di somme versate in precedenza ormai prescritto.
Non è in contestazione che gli estratti siano sempre stati portati a conoscenza dei correntisti; la circostanza risulta d’altro canto dimostrata per tabulas, atteso che la perizia di parte prodotta dagli attori è stata elaborata in forza degli estratti conto che erano nella loro disponibilità.
La quantificazione delle somme ripetibili si rinviene nell’accurata relazione del Ctu, che ha operato la ricostruzione del: conto scalare depurandolo degli addebiti per, commissioni spese ed interessi indebiti indicando il “nuovo” saldo del conto corrente così ricostruito in Euro 31.021,91, alla data di chiusura del conto, il giorno 15.10.2001.
Detta somma, che costituisce per i correntisti un credito di valuta, deve essere f incrementata degli interessi al tasso legale, in aderenza alla domanda, dal 17.6.2004 al saldo effettivo. Spetta anche il rimborso della spesa sostenuta per la consulenza svolta stragiudizialmente, cui si aggiungono, in aderenza alla domanda, gli interessi, dal pagamento (fatto in data 5.8.2004 come risulta dal bonifico prodotto a doc. 11) alla restituzione.
Spetta, vista la soccombenza, la rifusione delle spese legali, e di ctu; le prime si liquidano in conformità al valore effettivo per cui vi è condanna, e tenendo conto degli onorari minimi, vista la difesa in proprio.
PQM
Il Tribunale di Bologna, decidendo definitivamente,
– dichiara la nullità delle clausole contrattuali relative alla applicazione di interessi, spese e commissione di massimo scoperto, e quindi, depurato il conto delle somme illegittimamente calcolate successivamente all’aprile del 1994, accerta un saldo attivo per gli attori di Euro 31.021,91 in data 15.10.2001;
– dichiara tenuta e condanna la Ba.Na. S.p.A. al pagamento in favore degli attori, Pa.Br. e Ma.Ca. della somma di Euro 31.021,91, oltre interessi legali successivi al 17.6.2004, fino al saldo;
– condanna la banca convenuta a rifondere agli attori le spese della lite che liquida nella somma di Euro 4.000,00 per diritti ed onorari, oltre spese generali, iva e cpa, e spese vive per Euro 2.849,15.
Così deciso in Bologna il 28 marzo 2011.
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno