L’erogazione del credito che sia qualificabile come “abusiva”, in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa.
Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi.
In caso di fallimento, per il ristoro del danno da concessione abusiva del credito è legittimato ad agire lo stesso curatore fallimentare, anzitutto al medesimo titolo per il quale avrebbe potuto agire l’imprenditore danneggiato.
Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c..
Questi sono i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sez. I, Pres. Genovese – Rel. Nazzicone, con l’ordinanza n. 18610 del 30 giugno 2021.
E’ accaduto che un Fallimento adiva l’Autorità giudiziaria al fine di ottenere l’accertamento della nullità dei contratti stipulati con diversi enti finanziatori e il conseguente risarcimento del danno cagionato al patrimonio sociale.
La Corte d’Appello rigettava il gravame proposto dal Fallimento avverso la decisione di primo grado che aveva giudicato inammissibile la domanda, sul presupposto che il curatore era privo della legittimazione attiva necessaria per avanzare domanda di risarcimento danni e di reintegrazione del patrimonio della società fallita.
In particolare la Corte argomentava la carenza di legittimazione attiva in capo al curatore affermando che lo stesso avrebbe potuto agire in giudizio solo se avesse allegato il concorso degli amministratori della società fallita con gli Enti finanziatori nella causazione del danno, dovendo altresì provare che proprio il concorso avesse determinato un significativo depauperamento della massa attiva in danno del ceto creditorio.
Al contrario sarebbe preclusa al curatore la possibilità di agire direttamente in danno delle Banche, ponendosi una tale azione al di fuori della art. 146 della L.F. (Gli amministratori e i liquidatori della società sono tenuti agli obblighi imposti al fallito dall’articolo 49. Essi devono essere sentiti in tutti i casi in cui la legge richiede che sia sentito il fallito; sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall’articolo 2476, comma settimo, del codice civile).
La Corte di Cassazione, attraverso un’approfondita disamina della questione di cui è causa, ha ribaltato la decisione del Giudice dell’impugnazione, riconoscendo al curatore fallimentare la titolarità ad agire nei confronti degli Enti finanziatori per l’accertamento di un’ipotesi di abusiva concessione del credito.
La Corte, in primo luogo, richiama la normativa generale e di settore che impone agli Enti finanziatori comportamenti in parte tipizzati, tutti accomunati dalla previsione che pone in capo al soggetto finanziatore l’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione e la verifica del merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate, in particolare ove questo versi in condizioni di difficoltà economica.
Tali obblighi sono imposti dal diritto positivo al fine di poter tutelare:
- a) l’intero sistema economico dai rischi che una concessione imprudente o indiscriminata del credito bancario comporta;
- b) lo stesso soggetto impropriamente finanziato, ove al patrimonio di quest’ultimo sia derivato un danno, ai sensi dell’art. 1173 c.c.;
- c) i terzi che a vario titolo instaurano rapporti economici e giuridici col soggetto finanziato.
La Corte ha definito il perimetro entro il quale può sussistere una condotta illecita della Banca nella concessione di nuovo credito a società. Si tratta della condotta dolosa o colposa, diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore in stato di dissesto, in tal modo cagionando al patrimonio del medesimo un danno, pari all’aggravamento del dissesto, in forza degli stessi interessi passivi del finanziamento non compensati dagli utili da questo propiziati, nonché delle perdite generate dalle nuove operazioni così favorite.
Tale perimetrazione è resa ancor più necessaria in quanto va bilanciata col favor che il legislatore mostra nei confronti di finanziamenti concessi a soggetti in crisi a determinate condizioni, fondate su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità aziendale, e non, piuttosto, a fattori di mero aumento del dissesto.
Tale possibilità è riconosciuta alle Banche non solo nell’ambito dei rigorosi limiti fissati dal legislatore, ma anche al di fuori degli stessi, a condizione che sia stata compiuta un’attenta valutazione ex ante sulla situazione finanziaria e contabile del soggetto in crisi.
Da un lato, quindi, viene in rilievo un’analisi discrezionale dell’Ente finanziatore, il quale, al fine di evitare di incorrere nell’ipotesi di illecita concessione di credito, dovrà procedere ad una diligente e prudente valutazione circa la concedibilità di nuova finanza a soggetto in crisi, verificando che sussistano in concreto le condizioni di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi.
Dall’altro spetterà al giudice di merito, in caso di controversia, compiere un accertamento rigoroso che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agito con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l’evento e quindi se il finanziamento sia suscettibile di essere inquadrato nel perimetro della meritevolezza.
In caso di accertamento di abusiva concessione del credito, la Corte di Cassazione diversifica la responsabilità in cui incorrerà la Banca finanziatrice, a seconda che il danno prodotto sia stato cagionato contro:
- a) il soggetto fallito;
- b) il ceto creditorio;
- c) entrambi.
Nei confronti del soggetto fallito, la responsabilità è a titolo precontrattuale ex art. 1337 c.c., in quanto la banca avrà contrattato senza il rispetto delle prescrizioni speciali e generali che ne presidiano l’agire, dolosamente o colpevolmente disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale ed acconsentendo alla concessione di credito in favore di un soggetto destinato, in caso contrario, ad uscire dal mercato; mentre si tratterà, più propriamente, di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., ove sia imputata alla banca la prosecuzione di un finanziamento in corso. In entrambi i casi, vuoi che la condotta abusiva pregiudizievole si esprima nella violazione di obblighi specifici, vuoi che si realizzi nella violazione del generale obbligo di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., si tratta di responsabilità da inadempimento di un’obbligazione preesistente.
Più propriamente, secondo gli Ermellini, si configura un’ipotesi di responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c.
Verso il ceto creditorio, invece, si pone in capo alla banca erogatrice dell’illecito finanziamento, una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (se del caso in concorso con quella degli organi sociali).
Non può discorrersi di un danno cagionato al singolo creditore in quanto il curatore fallimentare non ha la titolarità per agire a tutela del singolo, ma in funzione di preservare o ricostituire la massa attiva depauperata dalla illecita condotta dell’Ente finanziatore.
Infine, come chiarito dal Giudice di legittimità, nulla esclude l’ammissibilità non solo del concorso fra responsabili a vario titolo, ma anche del possibile concorso in capo allo stesso soggetto di varie tipologie di responsabilità, come quando sia attribuita al medesimo una condotta colposa sia sul piano extracontrattuale, che sul piano contrattuale.
Ciò chiarito, la Corte ha ritenuto di poter inquadrare la domanda avanzata dalla curatela nella legittima richiesta di accertare l’avvenuta causazione del danno verso il patrimonio societario e quindi in danno dell’intero ceto creditorio, concludendo per la configurazione di un errore in capo alla Corte d’Appello che ha sentenziato in ordine all’esclusione della legittimazione attiva in capo al curatore ex art. 146 L.F.
Per tali motivi, la Cassazione ha accolto il ricorso e rinviato alla Corte d’Appello per una diversa definizione della controversia sulla base dei principi di diritto elaborati in sede di legittimità.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
ABUSIVA CONCESSIONE DEL CREDITO: LA CURATELA NON PUÒ PROPORRE L’ACTIO AQUILIANA VERSO UNA BANCA
LA LEGITTIMAZIONE DEL CURATORE AD AGIRE È LIMITATA ALLE AZIONI DI MASSA FINALIZZATE ALLA RICOSTITUZIONE DEL PATRIMONIO DEL DEBITORE
Sentenza | Corte d’Appello di Perugia, Pres. Rel. Ligori | 22.11.2019 | n.733
ABUSIVA CONCESSIONE CREDITO: NON È ESERCITABILE DAL CURATORE L’AZIONE RISARCITORIA
NON PUÒ SOSTITUIRSI AI SINGOLI CREDITORI EX ART. 81 C.P.C.
Sentenza | Tribunale di Lecce, Dott. Pietro Errede | 16.06.2017 | n.2541
ABUSIVA CONCESSIONE DEL CREDITO: ACTIO PAULIANA NON ESPERIBILE DAL CURATORE
NON È UN’AZIONE DI MASSA MA STRUMENTO DI REINTEGRAZIONE PATRIMONIALE DEL SINGOLO CREDITORE
Sentenza | Cassazione civile, sez. terza, Pres. Spirito – Rel. Scoditti. | 12.05.2017 | n.11798
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