La presunzione “semplice”, per la quale il corrispettivo versato per l’acquisto dell’immobile non può essere inferiore alla entità del mutuo concesso dalla banca, è rafforzata dalle disposizioni sul limite massimo di finanziabilità stabilito con deliberazione 22 aprile 1995 del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (sul punto Cass. n. 24004/2018), secondo cui l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario non può superare l’ottanta per cento del valore dell’immobile oggetto di compravendita (potendo raggiungere il 100% soltanto in presenza di garanzie integrative) nonché dalle regole rigide poste dalla Banca d’Italia agli istituti bancari per concedere finanziamenti di credito fondiario, regole la cui violazione sarebbe lesiva degli interessi degli stessi istituti di credito, tenuti a garantire il capitale dato a prestito con beni il cui valore non può essere inferiore: in base a tali regole, il prezzo di cessione degli immobili non può essere inferiore all’80% dell’ammontare del mutuo contratto e tale elemento costituisce una presunzione grave e precisa per la determinazione del «valore normale» degli immobili.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. V civ., Pres. Campanile – Rel. Ghitti, con la sentenza n. 12111 del 08.05.2019, che di seguito si riporta.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –
Dott. GHITTI Italo Mario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. OMISSIS R.G. proposto da:
AGENZIA
-ricorrente-
CONTRO
DITTA INDIVIDUALE
-controricorrente-
Avverso la sentenza n. 74/09/12, sez.9, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana inter partes in data 8/6/2012 e depositata il 19/7/2012;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/2/2019 dal Consigliere Italo Mario Ghitti;
Udito l’Avv. OMISSIS per la ricorrente;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tommaso Basile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 15/5/2009, l’Agenzia delle Entrate di Arezzo- ufficio di Città di Castello notificava alla DITTA INDIVIDUALE l’avviso di accertamento n. OMISSIS, emesso ai sensi dell’art. 41 bis decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600, con il quale ai fini II.DD. e IVA recuperava a tassazione, per l’anno di imposta 2004, maggiori ricavi per euro 97.000,00, oltre ad interessi e sanzioni.
In particolare, nell’anno 2004, la ditta individuale come unica attività aveva realizzato e venduto 2 appartamenti posti in un complesso immobiliare in località OMISSIS: uno dei due appartamenti era allo stato grezzo e l’altro finito e venduto al prezzo dichiarato di € 80.000. L’Ufficio in data 19/3/2009 notificava al contribuente l’invito ex art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre1972 n.633; poiché dalla documentazione esibita dal contribuente, risultava uno scostamento di € 35.078,00 rispetto allo specifico studio di settore ed un’incoerenza rispetto all’indice di redditività, l’Ufficio riteneva non attendibile la contabilità procedendo quindi ad una ricostruzione induttiva del reddito del contribuente ,ai sensi dell’art. 39,comma 1, d.P.R. 600/1973.
Per l’immobile finito e venduto al prezzo di € 80.000,00 l’Agenzia ravvisava numerosi indizi di evasione fra loro coerenti e, ai sensi dall’art. 41 bis d.P.R. n. 600/1973, rideterminava i ricavi non dichiarati ai fini delle Imposte dirette e dell’IVA, accertando un corrispettivo di € 177.000,00 e recuperando a tassazione un maggior ricavo di € 97.000,00.
Avverso tale avviso di accertamento il contribuente presentava ricorso alla CTP di Arezzo , che con sentenza 204/05/2010 respingeva il ricorso, rilevando che il prezzo al mq dell’immobile, valutato pari ad € 604, era di gran lunga inferiore a quello praticato per appartamenti similari nella zona , venduti ad un prezzo oscillante fra i 1500 ed i 1800 €, che il valore dell’immobile venduto, ai fini assicurativi, era stato valutato € 130.000,00, che il perito della Banca, per la concessione del mutuo, aveva attribuito all’immobile un valore di € 177,000,00 ed infine che gli acquirenti avevano contratto un mutuo per € 140.000,00.
Contro la sentenza della CTP il contribuente proponeva appello alla CTR della Toscana che, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello.
Ad avviso della CTR, gli elementi fondanti l’accertamento dell’Ufficio erano rappresentati sostanzialmente dal mutuo superiore al valore dichiarato e dalla perizia redatta dal professionista della Banca, senza tenere in considerazione che il mutuo poteva essere finalizzato anche a finanziare spese ulteriori rispetto a quelle connesse direttamente all’acquisto dell’immobile (ristrutturazione, acquisto di mobili) e che la perizia, eseguita da persona di fiducia della Banca, ben poteva essere una stima di comodo per l’istituto bancario che concedeva il mutuo. In ogni caso poi il contribuente aveva fornito prova contraria all’evasione, adducendo una situazione finanziaria negativa tale che lo avrebbe indotto a praticare un determinato prezzo pur di vendere e di realizzare liquidità per sanare i debiti bancari e le ulteriori spese per la rifinitura dell’immobile.
Infine, la CTR rilevava come l’Ufficio non avesse in alcun modo rettificato le due vendite effettuate nel 2003, con quotazioni identiche a quelle praticate nel 2004.
Secondo la Commissione Regionale, la sentenza di primo grado, come del resto l’Ufficio, si era «pedissequamente adeguata alla perizia bancaria senza preoccuparsi di spiegare la propria scelta».
Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione deducendo un unico motivo.
Il contribuente resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’UNICO MOTIVO di ricorso proposto – Violazione e falsa applicazione degli articoli 35, commi 2 e 3 , nonché comma 23 bis del decreto legge 4 luglio 2006 n. 223 convertito nella legge 4 agosto 2006 n. 248 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. – la ricorrente Agenzia censura la decisione della CTR in quanto erroneamente non ha considerato che l’accertamento analitico-induttivo era stato basato sulla applicazione del criterio del “valore normale dei beni” di cui alla formulazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 risultante dalla modifica di cui all’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, come convertito, oggetto di successiva abrogazione ad opera della legge 7 luglio 2009 n. 88 (Legge Comunitaria 2008).
In particolare, ad avviso della ricorrente, con I’ art.35 d.l. 223/2006 sarebbero state introdotte le norme di cui ai commi 2 – 3 e 23 bis dell’art.35 d.l. 223/2006, norme successivamente abrogate solo relativamente ai commi 2 e 3 dello stesso art.35, mentre sarebbe rimasto in vigore, secondo la ricorrente, il comma 23 bis del medesimo articolo.
In realtà, va rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, anche la presunzione legale relativa di cui al comma 23 bis dell’art. 35 d.l.223/2006 , come le presunzioni legali relative di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo, non hanno mai avuto efficacia per gli anni pregressi in forza dell’art. 1, comma 265, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, che ha delimitato temporalmente l’ambito applicativo delle presunzioni legali in oggetto, stabilendo che, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006, esse non hanno valore presuntivo legale, ma valgono quali presunzioni semplici, a norma dell’art.2729 cod.civ.
Nel caso di specie è pacifico che l’atto di compravendita dell’immobile oggetto di accertamento è stato concluso nell’anno d’imposta 2004 e di conseguenza, lo scostamento del corrispettivo dichiarato rispetto al valore normale dell’immobile ceduto, non costituisce una presunzione legale (relativa) di percezione di un maggior corrispettivo, ma una presunzione semplice, da valutare unitamente ad altri elementi che ne confermino la gravità, precisione e concordanza (Cass. 28/12/2017, n. 31027).
La ricorrente censura quindi la sentenza impugnata perché la CTR nel determinare il «valore normale» dell’immobile ceduto non ha adeguatamente valorizzato, anzi ha espressamente negato valore al dato rappresentato dall’ammontare del mutuo concesso per l’acquisto dell’immobile stesso quale prova presuntiva della esistenza di un corrispettivo maggiore di quello dichiarato. In tal modo la CTR non ha tenuto conto che la presunzione “semplice” per la quale il corrispettivo versato per l’acquisto dell’immobile non può essere inferiore alla entità del mutuo concesso dalla banca, è rafforzata dalle disposizioni sul limite massimo di finanziabilità stabilito con deliberazione 22 aprile 1995 del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (sul punto Cass. n. 24004/2018), secondo cui l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario non può superare l’ottanta per cento del valore dell’immobile oggetto di compravendita (potendo raggiungere il 100% soltanto in presenza di garanzie integrative) nonché dalle regole rigide poste dalla Banca d’Italia agli istituti bancari per concedere finanziamenti di credito fondiario, regole la cui violazione sarebbe lesiva degli interessi degli stessi istituti di credito, tenuti a garantire il capitale dato a prestito con beni il cui valore non può essere inferiore: in base a tali regole, il prezzo di cessione degli immobili non può essere inferiore all’80% dell’ammontare del mutuo contratto e tale elemento costituisce una presunzione grave e precisa per la determinazione del «valore normale» degli immobili.
Oltre a ciò la CTR non ha neppure valutato, quali prove presuntive semplici e non quali prove legali relative, i dati desumibili dai prezzi correnti di mercato degli immobili venduti né della valutazione dell’immobile venduto fatta ai fini assicurativi.
Il complesso degli elementi indicati, connotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza ed in base ai quali è avvenuta la determinazione del maggior corrispettivo per la cessione dell’immobile, fanno ritenere fondato il denunciato vizio di violazione di legge.
Di conseguenza il ricorso proposto va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
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