ISSN 2385-1376
Testo massima
L’agevolazione fiscale prevista per l’acquisto della “prima casa” compete se l’immobile è ubicato nel comune in cui l’acquirente “ha” la propria residenza o ove la “stabilisca” entro diciotto mesi dalla data dell’acquisto ovvero se l’immobile è ubicato nel comune in cui l’acquirente “svolge” la propria attività.
È questo il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione, quinta sezione civile, con la sentenza n. 17597, pubblicata il 12 ottobre del 2012.
Il caso di specie trae origine dal ricorso per cassazione proposto da un contribuente avverso la sentenza di secondo grado che non gli riconosceva il godimento del beneficio fiscale per l’acquisto della prima casa.
In particolare, il ricorrente sosteneva che fosse sufficiente il mero stabilimento “di fatto” della residenza presso l’immobile acquistato o, alternativamente, la fissazione della propria attività lavorativa nel Comune in cui è ubicata l’abitazione, anche fino a diciotto mesi dall’acquisto.
I Giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi sul caso de quo, hanno affermato, invece, sulla base di un’attenta lettura dell’art. 1, Nota 2 Bis della Tariffa, Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, che la norma riconoscesse l’agevolazione fiscale all’acquirente che nel termine di diciotto mesi fissasse la propria residenza nel comune dell’immobile, ma non anche a chi trasferisse la propria attività lavorativa nel medesimo comune in un epoca successiva all’acquisto dello stesso.
Inoltre, la Corte ha precisato che, ai fini della fruizione dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa, ad assumere rilievo deve essere la residenza anagrafica dell’acquirente e nessuna rilevanza giuridica può essere riconosciuta alla realtà fattuale.
Per tutti questi motivi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’acquirente, con condanna alle spese di giudizio.
Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si rinvia ai seguenti articoli:
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
K.P.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
– controricorrente –
Svolgimento del processo
Per la cassazione della sentenza della Commissione trasferimento della residenza, nel comune dell’immobile acquistato, nel prescritto termine di diciotto mesi.
A fondamento del ricorso, il contribuente, evocò lungaggini burocratiche, connesse al cambio della residenza anche in funzione del suo status di cittadino extracomunitario, e fece, comunque, presente che, nell’immobile in questione, abitava e svolgeva la propria attività professionale di consulente teatrale.
L’adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all’appello del contribuente, dalla commissione regionale.
In particolare, i giudici di appello affermarono la legittimità del provvedimento impugnato, il base al rilievo che, al momento dell’acquisto, il contribuente non svolgeva la propria attività professionale nel comune dell’immobile acquistato ed alla considerazione che il trasferimento di fatto nell’immobile nel termine di diciotto mesi, in assenza del trasferimento della residenza anagrafica, non integra condizione idonea ad impedire la decadenza dal beneficio e la sua revoca.
Avverso la decisione di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.
L’Agenzia intimata ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il PRIMO MOTIVO di ricorso, il contribuente – deducendo “violazione o falsa applicazione dell’art. 1, Nota 11 Bis della Tariffa, Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 43 c.c.” – censura la decisione impugnata per non aver considerato che, ai fini del beneficio, è sufficiente anche lo stabilimento della mera residenza di fatto nell’immobile acquistato.
Con il SECONDO MOTIVO di ricorso, il contribuente – deducendo “violazione o falsa applicazione dell’art. 1, Nota 2 Bis della Tariffa, Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986″ – censura la decisione impugnata per non aver considerato che, … ai fini dell’art. 1, nota 2 Bis, Tariffa Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, l’agevolazione prima casa spetta anche a coloro che stabiliscono, entro diciotto mesi dall’acquisto, la sede della propria attività nel Comune in cui è ubicata l’abitazione”.
Il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 1, Nota 2 Bis della Tariffa, Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, l’agevolazione fiscale prevista per l’acquisto della “prima casa” compete se l’immobile è ubicato nel comune in cui l’acquirente “ha” la propria residenza o ve la “stabilisca” entro diciotto mesi dalla data dell’acquisto ovvero se l’immobile è ubicato nel comune in cui l’acquirente “svolge” la propria attività. Il trasferimento dell’attività lavorativa dell’acquirente nel comune in cui è ubicato l’immobile acquistato in un momento successivo all’acquisto, non costituisce, dunque, requisito per il godimento dell’agevolazione, in forza dello stesso tenore del dato normativo (che è di stretta interpretazione: v. Cass. 6905/11, 5570/11).
Ciò posto, deve, peraltro, considerarsi che, nella giurisprudenza di questa Corte, è consolidato il principio secondo cui – in tema di imposta di registro e ai sensi del comma 2 bis della nota all’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 – ai fini della fruizione dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa assume rilievo la residenza anagrafica dell’acquirente (già stabilita o da trasferire, nel termine prescritto, nel comune dell’immobile acquistato), mentre nessuna rilevanza giuridica può essere riconosciuta alla realtà fattuale, ove questa contrasti con il dato anagrafico (cfr Cass. 1530/12, 14399/10, 4628/08, 1173/08, 22528/07, 18077/02, 8377/01); ciò anche in rapporto alle ineludibili esigenze di celerità e certezza nell’applicazione dell’agevolazione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono ed atteso che dall’accertamento in fatto operato dal giudice del merito emerge che, all’atto dell’acquisto, il contribuente non svolgeva la propria attività lavorativa nel Comune dell’immobile, s’impone il rigetto del ricorso.
Per la soccombenza, il contribuente va condannato al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte: rigetta il ricorso; condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge
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