ISSN 2385-1376
Testo massima
Non può essere applicata la regola processuale del divieto di mutamento della domanda in corso di causa, se nell’ambito di una procedimento civile, parte attrice prospetta una nuova tesi difensiva in diritto attraverso una differente qualificazione sotto il profilo penale del fatto illecito civile oggetto di allegazione nell’atto introduttivo, ai soli fini dell’individuazione del termine di prescrizione da applicare al caso concreto.
Deve pertanto ritenersi erronea la sentenza che, assunto il presupposto di applicazione dell’art. 2947, comma 3, cc, abbia poi omesso di esaminare la ricorrenza di tale presupposto con riguardo alla prescrizione del diverso reato.
Sono questi i principi sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 8419 del 5 aprile 2013.
La controversia ha avuto ad oggetto un’azione risarcitoria proposta dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita.
Il curatore fallimentare aveva infatti richiesto agli amministratori la restituzione di una somma corrispondente a parte dei ricavi delle attività sociali che riteneva distratti dalle casse sociali, perché confluiti su un conto corrente personale intestato a detti amministratori, anziché sul conto corrente usato normalmente dalla società.
Il giudice del primo e del secondo grado di giudizio hanno però rigettato la domanda di condanna proposta dal curatore fallimentare per intervenuta
prescrizione del diritto.
La Corte d’Appello ha infatti condiviso le conclusioni cui era già pervenuto il giudice di prime cure che aveva ritenuto applicabile, nel caso di specie, il termine prescrizionale di cinque anni previsto dall’art. 2947, comma 1, cc.
La sottrazione dei ricavi dalle casse sociali della società veniva difatti qualificata come reato di appropriazione indebita in ordine al quale è prevista una pena detentiva di tre anni e quindi un termine prescrizionale di cinque anni, in linea con quello previsto per l’esercizio dell’azione civile indicato dall’art. 2947, comma 1, cc..
A nulla sono valse le eccezioni sollevate dal curatore fallimentare che, in sede di memoria ex art. 184 cpc ed art. 189 cpc (testo anteriore alla modifiche introdotte dalla l. 26 novembre 1990, n. 353/1990), aveva configurato il fatto illecito contestato agli amministratori come reato di bancarotta fraudolenta per il quale è prevista una pena detentiva massima di dieci anni con conseguente termine prescrizionale di quindici anni.
La Corte d’Appello ha difatti dichiarato inammissibile la diversa configurazione del fatto illecito commesso dagli amministratori, così come formulata dal curatore fallimentare, avendo ritenuto tale modifica come un illegittimo mutamento della domanda.
Contro la decisione assunta dal giudice d’appello, il curatore fallimentare ha pertanto proposto ricorso per cassazione, eccependo, in via preliminare, la falsa applicazione dell’art. 2947 cc con riferimento appunto all’individuazione del termine di prescrizione applicabile al fatto illecito contestato con l’azione risarcitoria.
La curatela fallimentare ha ribadito che il termine di prescrizione non poteva essere quello quinquennale fissato dall’art. 2947, comma 1, cc, perché la condotta tenuta dagli amministratori non configurava il reato di appropriazione indebita, bensì il delitto di bancarotta fraudolenta, perché era avvenuto il fallimento della società
Il curatore fallimentare ha sostenuto che il termine di prescrizione doveva essere invece il termine più lungo di 15 anni previsto per il reato di bancarotta fraudolenta, sulla base di quanto disposto dall’art. 2947, comma 3, cc.
In forza dell’art. 2947, comma 3, cc, se il fatto illecito è considerato dalla legge come reato per il quale è prevista una prescrizione più lunga tale termine si applica difatti anche all’azione civile di risarcimento del danno.
Il curatore fallimentare ha eccepito inoltre la falsa applicazione dell’art. 184 cc ed art. 189 cpc (testo anteriore alle modifiche intervenute dalla l. 26 novembre 1990, n. 350), giacché la prospettazione del fatto illecito di distrazione dalle casse sociali consumata dagli amministratori come reato di bancarotta fraudolenta doveva essere configurata alla stregua di una mera tesi difensiva in punto di diritto che non poteva dunque costituire domanda nuova inammissibile.
Per il curatore fallimentare i fatti dedotti in giudizio posti a sostegno della domanda risarcitoria erano rimasti immutati, non essendo stati modificati né il petitum né la causa petendi.
La curatela fallimentare ha eccepito infatti che il richiamo alle norme penali si era reso necessario all’unico fine di individuare il termine di prescrizione applicabile al caso di specie, non avendo integrato la causa della domanda risarcitoria azionata in sede civile.
La Cassazione ha integralmente accolto le deduzioni difensive formulate dal curatore fallimentare.
La Cassazione ha difatti, da un lato, ritenuto applicabile, nel caso di specie, il disposto ex art. 2947 comma 3 cc, dall’altro ha dichiarato che il richiamo operato dal curatore fallimentare agli elementi propri del reato di bancarotta fraudolenta finalizzata a contrastare l’eccezione di prescrizione non poteva integrare la violazione del mutamento della domanda.
Per la Cassazione il curatore fallimentare si era difatti limitato a prospettare una nuova tesi difensiva in diritto attraverso una diversa qualificazione sotto il profilo penale del fatto illecito civile al solo fine di determinare il termine di prescrizione applicabile al caso concreto.
La condotta tenuta dagli amministratori per distrazione dalle casse sociali era stata qualificata dalla curatela fallimentare, sotto il profilo penale, come bancarotta fraudolenta per distrazione anziché di appropriazione indebita di beni della società in ragione della sopravvenuta dichiarazione di fallimento.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, tale condotta processuale non poteva integrare un inammissibile mutamento della domanda in corso di causa la cui statuizione da parte delle Corti territoriali costituiva per i giudici di legittimità falsa applicazione dell’art. 2947, comma 3, cc.
Nel momento in cui è stato ritenuto applicabile il disposto ex art. 2947, comma 3, cc ed il fatto illecito è stato considerato come reato in relazione al quale la legge penale sancisce una prescrizione più lunga rispetto a quella quinquennale prevista per il risarcimento del danno, la Cassazione ritiene che i giudici del merito hanno errato nel non aver considerato che per il reato di bancarotta fraudolenta il termine prescrizionale è di quindici anni di qui la necessità di un riesame della causa.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17986/2006 proposto da:
FALLIMENTO ALFA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;
– RICORRENTE –
contro
A.A., coamministratore della società fallita
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 671/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/04/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il FALLIMENTO ALFA S.R.L. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, depositata il 21 aprile 2005, che ha rigettato l’appello proposto dalla Curatela avverso la sentenza resa dal Tribunale di Treviso il 30.5.2001.
Con tale sentenza era stata rigettata, per intervenuta prescrizione del diritto, la domanda di condanna proposta nel dicembre 1993 dal Fallimento nei confronti di A.A. e C.F. (poi rinunciata nei confronti di quest’ultimo), già coamministratori della società fallita, al pagamento della somma complessiva di L. 185.903.565, corrispondente ad una parte cospicua dei ricavi della attività sociale, che parte attrice assumeva distratta, nel periodo 1979/1985, dalle casse sociali e confluita in un conto corrente bancario personale cointestato ai due amministratori, anzichè nel conto corrente normalmente utilizzato dalla società.
La Corte d’appello ha, in sintesi, condiviso i rilievi del Tribunale secondo cui il termine prescrizionale nella specie applicabile è quello quinquennale previsto dall’art. 2947 cc, comma 1, a decorrere dalla commissione del fatto, irrilevante essendo nella specie la ricorrenza, nel fatto illecito stesso, anche degli estremi del reato di appropriazione indebita, per il quale il codice penale (art. 646) prevede una pena massima detentiva di tre anni e quindi un termine prescrizionale di cinque anni che coincide con quello previsto per l’azione civile dal citato comma 1 dell’art. 2947.
Da tale coincidenza deriva infatti, secondo la Corte veneziana, l’inapplicabilità nella specie del comma 3, del medesimo articolo, a prescindere quindi dalla data e dal contenuto del decreto del G.I.P. competente che aveva disposto l’archiviazione del procedimento penale nei confronti dell’ A. per detto reato in quanto estinto per amnistia ai sensi del D.P.R. n. 75 del 1990.
La Corte ha altresì confermato, ancorchè correggendone in parte la motivazione, la statuizione di inammissibilità della diversa configurazione del fatto illecito de quo alla stregua del delitto di bancarotta L. Fall., ex artt. 216 e 223, formulata in memoria in corso di causa dal Fallimento, ritenendo trattarsi di mutamento della domanda in quanto avente ad oggetto uno dei presupposti di fatto assunti a fondamento della pretesa risarcitoria azionata.
Al ricorso resiste, con controricorso, l’intimato A.A..( coamministratori della società fallita)
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è basato su tre motivi.
1.1. Con il PRIMO si censura – sotto il profilo della falsa applicazione dell’art. 2947 cc, o in subordine della omessa o insufficiente motivazione – l’individuazione del termine prescrizionale applicabile al reato corrispondente al fatto illecito dedotto con l’azione civile.
Si sostiene che la Corte di merito, ritenendo il termine di prescrizione di tale reato equivalente a quello quinquennale stabilito per l’illecito civile dall’art. 2947 cc, comma 1, ha implicitamente, ma erroneamente, fatto riferimento ad un reato di appropriazione indebita semplice, laddove invece, nel corso di questo giudizio civile, la Curatela aveva sempre allegato la sussistenza di due circostanze aggravanti, previste dall’art. 61 cp, nn. 7 e 11, in considerazione delle quali la pena edittale superava i cinque anni, con conseguente prescrizione del reato – e quindi dell’illecito civile, a norma dell’art. 2947 cc, comma 3 – in dieci anni, termine non ancora decorso al momento della notifica della citazione in primo grado.
Aggiunge la Curatela ricorrente che comunque la applicabilità nel caso in esame, erroneamente esclusa dalla Corte di merito, del disposto dell’art. 2947 cc, comma 3, deriva anche dalla configurabilità del fatto illecito di distrazione, dopo la declaratoria del fallimento, come bancarotta fraudolenta L. Fall., ex artt. 216 e 223, del quale sussistono tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, previsti dalla legge.
1.2. Con il SECONDO MOTIVO viene sottoposta a censura, sotto il profilo della falsa applicazione degli artt. 184 e 189 cpc, (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n.353/1990), la ritenuta inammissibilità, in quanto domanda nuova in corso di causa, della prospettazione di una ulteriore tesi difensiva in diritto circa la configurabilità nei fatti di distrazione della ipotesi di reato prevista dalla L. Fall., artt. 216 e 223.
Assume la Curatela che i fatti dedotti sin dall’inizio sono rimasti gli stessi, che non vi è stato alcun mutamento del petitum o della causa petendi atteso che il riferimento alle norme penalistiche non ha mai integrato la causa della domanda ma si è reso necessario ai fini della individuazione del termine di prescrizione, a fronte della eccezione di prescrizione sollevata da controparte.
1.3. Con il TERZO MOTIVO, infine, viene denunciata la omessa o insufficiente motivazione sulla ritenuta superfluità delle considerazioni della Curatela appellante in ordine alla sussistenza di aggravanti del reato di appropriazione indebita, alla conseguente inapplicabilità della causa di estinzione di tale reato per amnistia, alla mancanza di prova di un provvedimento di archiviazione.
2. I primi due motivi – che, attesa la connessione, possono esaminarsi congiuntamente – sono fondati, avendo la Corte di merito errato nell’escludere l’applicabilità nella specie del disposto dell’art. 2947 cc, comma 3, e nel ritenere preclusa all’attore, per il divieto di mutamento della domanda previsto dagli artt. 184 e 189 c.p.c., (nel testo da applicare ratione temporis essendo la causa iniziata nel dicembre 1993), la nuova deduzione in corso di causa circa la ricorrenza, nell’illecito civile già allegato quale causa petendi, degli elementi propri del reato di bancarotta fraudolenta, onde contrastare l’eccezione di prescrizione sollevata ex adverso.
2.1. Su quest’ultimo punto va invero osservato che, contrariamente a quanto argomentato nella sentenza impugnata, con la suddetta condotta processuale l’attore si è limitato a prospettare una nuova tesi difensiva in diritto, con una diversa qualificazione sotto il profilo penale – ai soli fini della determinazione del termine prescrizionale da applicare nella specie – del fatto illecito civile allegato in citazione.
Se infatti si considera la originaria contestazione, da parte della Curatela, del fatto generatore della dedotta responsabilità civile (distrazione dalle casse sociali di una parte cospicua dei ricavi della attività sociale, confluita in un conto corrente bancario personale cointestato ai due amministratori, anzichè nel conto corrente normalmente utilizzato dalla società), la qualificazione giuridica di tale condotta, sotto il profilo penalistico, in termini di bancarotta fraudolenta per distrazione anzichè di (meno grave) appropriazione indebita di beni della società dipende essenzialmente dalla sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società stessa (cfr. ex multis Cass. pen. n. 37298/10; n. 37567/03; n. 1605/1966), che nella specie è evidentemente incontroversa sin dall’inizio della causa. La Corte di merito ha dunque falsamente applicato la regola processuale del divieto di mutamento della domanda in corso di causa.
2.2. Ciò ha comportato la falsa applicazione anche dell’art. 2947 cc, comma 3.
La Corte di merito, infatti, assunto rettamente il presupposto di applicazione di tale disposizione – che cioè per il fatto dannoso de quo, considerato come reato, la legge penale stabilisca una prescrizione più lunga di quella del diritto al risarcimento (cfr. Sez. 3 n. 5693/01) – ha poi omesso (per la insussistente preclusione anzidetta) di esaminare la ricorrenza nella specie di tale presupposto con riguardo alla prescrizione stabilita per il reato di bancarotta fraudolenta previsto dalla L. Fall., artt. 216 – 223, che, a norma dell’art. 157 cp., n. 2, è di quindici anni (in ragione della pena massima di dieci anni prevista dalla norma incriminatrice), ben superiore quindi alla prescrizione quinquennale stabilita per l’illecito civile dall’art. 2949 cc.
3. La sentenza è pertanto cassata, restando assorbito il TERZO MOTIVO di ricorso, e la causa deve conseguentemente essere rinviata alla Corte territoriale, che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto sopra esposti, regolando anche le spese di questo giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013
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Numero Protocolo Interno : 223/2013