ISSN 2385-1376
Testo massima
Il criterio che deve orientare il Giudice, allorquando si trovi a dover scegliere quale, tra le misure dell’interdizione e dell’amministratore di sostegno, applicare al caso concreto, deve rinvenirsi nel disposto dei primi due commi dell’art. 410 c.c., i quali, dettati con esclusivo riferimento all’amministrazione di sostegno, impongono all’amministratore, da un lato, di “tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”, dall’altro, di “tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso”, predisponendo, infine, un sistema di attivazione del contraddittorio tra i soggetti dell’amministrazione di sostegno (beneficiario e amministratore) al cospetto Giudice tutelare, al fine di dirimere i contrasti eventualmente insorti. Solo nei casi in cui il sistema tracciato da tali norme non possa funzionare, ovvero possa ritenersi controproducente nell’ottica del conseguimento del best interest del beneficiario, potrà preferirsi la misura interdittiva.
L’art. 418, comma 3, c.c., che dispone che se nel corso del giudizio di interdizione “appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio [
] dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione [
] può adottare i provvedimenti di cui al quarto comma dell’art. 405” è applicabile anche a fattispecie nelle quali, a fronte della già avvenuta apertura della misura di amministrazione di sostegno, sia comunque stato incardinato un giudizio di interdizione nei confronti del medesimo beneficiario, a ciò non ostando alcuna disposizione normativa in particolare, ed al fine di garantire la tutela massima e continuativa dei soggetti bisognosi di protezione. In tale ottica, il Collegio ben può, con il rigetto della domanda di interdizione e contestualmente alla trasmissione degli atti al Giudice tutelare, ampliare lo spettro dei poteri deferiti all’amministratore di sostegno in carica.
Questi i principi affermati dal Tribunale di Vercelli, Pres. Marozzo Est. Bianconi, nella sentenza del 31.10.2014 n. 147 relativa al complesso tema del rapporto tra interdizione ed amministrazione di sostegno.
Nel caso di specie, la ricorrente, madre ed amministratore di sostegno in carica, chiedeva che il Tribunale pronunciasse l’interdizione del proprio figlio e beneficiario attesa l’incapacità di quest’ultimo di fare uso del denaro; deduceva, altresì, il rischio che, ove lasciato solo in casa, il figlio potesse aprire la porta a chicchessia, accondiscendo a qualsiasi richiesta da parte di estranei, magari sottoscrivendo contratti e/o moduli di altro tipo; infine, segnalava il pericolo di un suo eventuale ricovero, in considerazione dell’impossibilità, per il figlio, di prestare un consenso informato alle eventuali cure e trattamenti sanitari.
Il Tribunale ha rigettato la domanda chiarendo bene i presupposti dell’amministrazione di sostegno differenziandoli da quelli che giustificano la più severa e restrittiva misura dell’interdizione.
Infatti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-07-2013, n. 18171).
L’amministrazione di sostegno – introdotta nell’ordinamento dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, art. 3 – ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 421 c.c..
Nel caso sottoposto all’attenzione del Giudicante, non vi erano stati aggravamenti delle condizioni di salute del figlio rispetto all’epoca in cui fu aperta l’amministrazione di sostegno.
Tanto premesso, il Tribunale, ha analizzato le censure sollevate dalla madre, disattendendole.
Quanto al dedotto rischio che il figlio “firmi documenti” aprendo la porta di casa a sconosciuti il Tribunale ha rilevato come, avendo l’amministratore il potere di compiere atti in nome e per conto del benificiario, tale rischio fosse del tutto scongiurato atteso che, in ipotesi del genere, lo stesso amministratore potrebbe agire per l’annullamento del contratto ex art. 412 c.c.
Inoltre, la più restrittiva misura dell’interdizione non varrebbe ad evitare il rischio della sottoscrizione imprudente di contratti poiché nel nostro ordinamento la tutela in casi di atti non autorizzati è pur sempre di tipo successiva ed invalidatoria, e non certo preventiva.
Quanto, invece, al prospettato rischio inerente la non capacità del figlio di prestare un valido consenso informato alle cure il Tribunale, rilevato che la normativa sull’amministrazione di sostegno è diretta alla cura della persona del beneficiario in ogni suo aspetto ha ritenuto, senza timore di smentita, di poter deferire all’amministratore anche poteri in ambito sanitario, ed in particolare di poter prestare il consenso, ovvero il dissenso, informato a cure o trattamenti medico-sanitari/e.
Infatti, l’art. 418, comma 3, c.c., che dispone che se nel corso del giudizio di interdizione “appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio [
] dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione [
] può adottare i provvedimenti di cui al quarto comma dell’art. 405” è stato ritenuto applicabile anche a fattispecie nelle quali, a fronte della già avvenuta apertura della misura di amministrazione di sostegno, sia comunque stato incardinato un giudizio di interdizione nei confronti del medesimo beneficiario, a ciò non ostando alcuna disposizione normativa in particolare, ed al fine di garantire la tutela massima e continuativa dei soggetti bisognosi di protezione.
In tale ottica, il Collegio ben può, con il rigetto della domanda di interdizione e contestualmente alla trasmissione degli atti al Giudice tutelare, ampliare lo spettro dei poteri deferiti all’amministratore di sostegno in carica.
Testo del provvedimento
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