ISSN 2385-1376
Testo massima
Nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, è possibile proporre reclamo avanti alla Corte di appello contro il decreto con cui sia stata ritenuta inammissibile, per mancanza dei requisiti previsti dall’art. 2, lett. a) e b), del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, la domanda di dichiarazione dello stato di insolvenza senza la contestuale dichiarazione di fallimento della stessa impresa, così come disposto dall’art. 12 del citato decreto. Deve inoltre essere riconosciuta all’impresa che ha chiesto di essere ammessa all’amministrazione straordinaria la legittimazione ad impugnare il decreto di dichiarazione d’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza o di rigetto della domanda di amministrazione straordinaria. Il requisito occupazionale indicato nell’art. 2, lettera a), del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 deve essere però accertato con riferimento alla singola impresa richiedente e non con riguardo al gruppo del quale essa eventualmente faccia parte, escludendosi, inoltre, dal calcolo dei dipendenti occupati nell’ultimo anno quelli che lavorano nelle aziende cedute in affitto a terzi.
Sono questi i principi recentemente sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 6648 del 15 marzo 2013.
L’art. 1 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 definisce l’amministrazione straordinaria come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante la prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali.
Per poter essere ammessi all’amministrazione straordinaria, le imprese debbono tuttavia possedere alcuni specifici requisiti, così come previsti dall’art. 2 del D.lgs. 8 luglio 1999, n 270 ovverosia: a) un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione guadagni, non inferiore a 200 da almeno un anno; b) debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai 2/3 tanto del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell’ultimo esercizio.
Ai sensi dell’art. 3 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, il Tribunale del luogo ove ha la sede principale dichiara con sentenza lo stato d’insolvenza su istanza presentata dall’imprenditore o di uno o più creditori o del pubblico ministero ovvero anche d’ufficio.
Il Tribunale può però anche respingere con decreto motivato il ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza.
L’impresa può, a questo punto, proporre reclamo alla Corte d’Appello, entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione, in conformità a quanto previsto dall’art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270
Cosa accade però quando la Corte d’Appello ha accolto il reclamo contro il rigetto del ricorso per la dichiarazione dello stato d’insolvenza, rimettendo al Tribunale gli atti per la prosecuzione della procedura e quello stesso giudice ha già dichiarato fallito l’imprenditore.
E’ questa la questione posta all’esame della Suprema Corte di Cassazione che vede coinvolte in un procedimento per la dichiarazione di fallimento più società a responsabilità limitata tra loro collegate.
Le debitrici depositarono, in un primo momento, domanda di ammissione al concordato preventivo, ma successivamente le società riunitesi in gruppo presentarono congiuntamente una domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza ex art. 3 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese.
A fronte della domanda depositata ai sensi art. 3 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 dal gruppo di società, il Tribunale di Teramo dichiarò chiuse le procedure di concordato preventivo e si riservò sulle istanze di fallimento.
Con successivo decreto il Tribunale di Teramo dichiarò tuttavia l’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato di insolvenza ex art. 3 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 sulla base del fatto che nessuna delle società del gruppo aveva occupato un numero di lavoratori subordinati non inferiore a 200 da almeno un anno, non potendo tenersi conto della somma dei lavoratori occupati in tutte le società del gruppo.
Il Tribunale di Teramo dichiarò il fallimento delle società del gruppo.
Le società del gruppo proposero a questo punto reclamo avanti alla Corte d’Appello dell’Aquila contro il decreto di inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza ex art. 3 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 pronunciato dal Tribunale di Teramo.
La Corte d’Appello dell’Aquila accolse il reclamo, ritenendo che la procedura prevista dall’art. 3 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 potesse essere estesa anche alle imprese costituite da un gruppo di società in cui il requisito occupazionale debba ritenersi soddisfatto con riferimento alla somma delle imprese facenti parte del gruppo.
Per tale ragione la Corte d’Appello dell’Aquila rinviò gli atti al Tribunale di Teramo per la prosecuzione della procedura ex art. 3 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270.
Nel frattempo però il Tribunale di Teramo aveva però già pronunciato il fallimento delle società del gruppo.
I fallimenti delle società del gruppo d’impresa hanno pertanto proposto ricorso per cassazione contro il decreto di accoglimento del reclamo emesso dalla Corte d’Appello dell’Aquila.
I ricorrenti hanno innanzitutto censurato il modus operandi tenuto dai giudici per violazione dell’art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, in quanto la Corte d’Appello dell’Aquila avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il reclamo proposto dalle società del gruppo.
Il reclamo non doveva ritenersi ammesso perché la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza era stata dichiarata inammissibile per mancanza di uno dei requisiti dimensionali dell’impresa ex art. 2, lett. a) del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270.
Per tale ragione i ricorrenti ritenevano che il Tribunale di Teramo avrebbe dovuto dichiarare il fallimento delle società del gruppo in stato d’insolvenza senza attendere l’esito del reclamo.
I ricorrenti hanno pertanto eccepito che il decreto d’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza, emesso senza la contestuale dichiarazione di fallimento, non poteva essere impugnato giacché le questioni riguardanti la sussistenza dei presupposti per l’ammissione alla procedura concorsuale straordinaria avrebbero dovuto essere valutate in sede di opposizione alla dichiarazione di fallimento.
Ai fini della risoluzione della questione posta all’attenzione dei giudici di legittimità, la Cassazione ritiene indispensabile il coordinamento dei procedimenti concorsuali quando viene contemporaneamente proposta sia l’istanza di fallimento da parte di uno o più creditori sia il ricorso per la dichiarazione d’insolvenza da parte dell’imprenditore ex art. 3 del D.lgs.8 luglio 1999, n. 270,
Per la Cassazione il coordinamento delle procedure concorsuali può innanzitutto attuarsi attraverso la riunione dei procedimenti pendenti davanti ad un unico tribunale affinché venga assunto un unico provvedimento in considerazione del fatto che la competenza territoriale per la dichiarazione di fallimento è la medesima rispetto a quella dell’ammissione all’amministrazione straordinaria.
Può tuttavia accadere che non abbia luogo la riunione dei procedimenti oppure il giudice può aver adottato il decreto d’inammissibilità del ricorso all’amministrazione straordinaria per difetto dei requisiti ex art. 2, lett. a) e b), del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 per poi dichiarare con un successivo provvedimento il fallimento della società.
In questo caso però la Cassazione ritiene che l’impresa non possa essere privata della possibilità di proporre il reclamo contro il decreto che respinge il ricorso per la dichiarazione dello stato d’insolvenza ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 necessario ai fini dell’ammissione all’amministrazione straordinaria.
Per la Cassazione l’impresa interessata a beneficiare della disciplina dell’amministrazione straordinaria non può difatti essere lasciata in uno stato di incertezza sulla possibilità di discutere della dichiarazione di insolvenza necessaria per poter beneficiare della procedura concorsuale alternativa nella fase di opposizione alla dichiarazione di fallimento laddove i termini per la proposizione del reclamo ex art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 fossero frattanto già maturati.
La Cassazione ritiene, per tali motivi, che la questione della contemporanea presenza tra reclamo proposto ex art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 contro il decreto di diniego del ricorso per la dichiarazione dello stato d’insolvenza e procedimento per la dichiarazione di fallimento debba essere risolta sotto il profilo dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità tra le procedure concorsuali.
La Cassazione evidenzia tuttavia che, nel caso di specie, non sussistano le condizioni per poter invocare l’applicazione del disposto ex art. 295 cpc dettato in materia di sospensione necessaria del processo con riferimento al rapporto tra il procedimento per la dichiarazione di fallimento ed il procedimento sulla dichiarazione dello stato d’insolvenza ex art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270
L’art. 295 cpc trova la sua ragione fondante nella necessità di evitare la possibile formazione di conflitti tra giudicati e si riferisce all’ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico giuridico e non in senso meramente logico.
Nel caso della contemporanea presenza davanti a due giudici diversi di giudizi fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, la Cassazione ritiene invece applicabile il disposto ex art. 337, comma 2, cpc.
La Cassazione afferma pertanto che sussista la possibilità di una sospensione facoltativa nel caso di reclamo contro il decreto che respinge il per la dichiarazione dello stato d’insolvenza ex art. 12 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, il cui esito sia stato invocato nel procedimento per la dichiarazione di fallimento.
A ciò si deve aggiungere il fatto che, ai sensi dell’art. 336, comma 2, cpc, la riforma o la cassazione di una sentenza, o come in questo caso del decreto emesso ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, determina la caducazione automatica della sentenza successiva anche se su quest’ultima si è formato un giudicato apparente, con esclusione del conflitto tra giudicati.
La Suprema Corte di Cassazione ha dunque osservato che se la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza è dichiarata inammissibile con autonomo decreto per difetto dei requisiti previsti dall’art. 2, lettere a) e b) del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 , e senza la contestuale dichiarazione di fallimento, il provvedimento è soggetto al medesimo rimedio del reclamo alla Corte d’appello previsto per il rigetto della domanda di amministrazione straordinaria secondo quanto disposto dall’art. 12 del riferito decreto.
I ricorrenti hanno poi contestato la violazione dell’art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, eccependo la carenza di legittimazione attiva delle società del gruppo a proporre reclamo avanti alla Corte d’Appello contro il decreto che ha respinto il ricorso per la dichiarazione dello stato d’insolvenza.
La Cassazione ha ritenuto infondata tale doglianza, riconoscendo la piena legittimazione al reclamo ex art. 12 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 all’impresa che ha proposto la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza.
Ciò in quanto la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza è funzionale alla partecipazione alla procedura di amministrazione straordinaria, donde l’impresa agisce per evitare la liquidazione del proprio patrimonio.
La Cassazione afferma pertanto che l’imprenditore che chiede di essere ammesso all’amministrazione delle grandi imprese in crisi è titolare di un diritto soggettivo all’ammissione alla procedura concorsuale a condizione che ricorrano tutti i requisiti previsti dalla legge.
Per la Cassazione l’imprenditore che ha depositato la domanda di ammissione all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese è dunque legittimata a norma dell’art. 12 D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, ad impugnare il decreto di dichiarazione d’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza o di rigetto della domanda di amministrazione controllata.
I ricorrenti hanno altresì eccepito la violazione degli artt. 2, 80 ed 81 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, in quanto la Corte d’Appello aveva ammesso la possibilità per un gruppo d’imprese, unitariamente considerato, di richiedere la dichiarazione dello stato d’insolvenza.
Non solo, i ricorrenti hanno lamentato il fatto che la Corte d’Appello aveva ritenuto ammissibile l’amministrazione straordinaria per un gruppo d’imprese nel quale nessuna impresa era però in grado di soddisfare il requisito dimensionale previsto dall’art. 2 del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, avendo giudicato sufficiente la somma dei dipendenti di tutte le società del gruppo.
La Cassazione ha ritenuto fondato tale motivo di doglianza sulla base dell’assunto in forza del quale il gruppo d’imprese non è soggetto a fallimento e pertanto neppure all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Secondo quanto osservato dalla Cassazione, il requisito dimensionale previsto dall’art. 2, lett. a) del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 deve essere pertanto accertato con riferimento alla singola impresa che ha depositato la domanda, essendo irrilevante il numero dei dipendenti presenti all’interno del gruppo d’imprese.
La Cassazione ha inoltre precisato che, ai fini del calcolo del requisito dimensionale, possono considerarsi lavoratori dipendenti solamente coloro che prestano lavoro subordinato all’interno dell’impresa alla data di ammissione all’amministrazione straordinaria.
Non possono pertanto essere computati i lavoratori trasferiti ai sensi dell’art. 2112 cc che regola il caso del trasferimento d’azienda.
Per la Cassazione non possono in definitiva computarsi tra i dipendenti occupati nell’ultimo anno quelli che lavorano nelle aziende cedute in affitto a terzi ciò ai fini della verifica del requisito dimensionale dell’impresa in stato d’insolvenza a norma dell’art. 2, lett. a), del D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5518/2009 proposto da:
FALLIMENTO N. /08 A.T.R. S.R.L. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona dei Curatori avv. D.E.L. e Dott. D.S.M., FALLIMENTO N. /08 A.T.R. COMPOSITES S.P.A. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona dei Curatori avv. D.D.M. e Dott. M.G., FALLIMENTO N. /08 AEROSPACE SRL (C.F./P.I. 01630210670), in persona del Curatore Dott. P. A., FALLIMENTO N. /08 A.T.R. MATERIALS S.R.L. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona del Curatore Dott. M.R., FALLIMENTO N. /08 A.T.R. TOOLS S.P.A. (C.F./P.I. (OMISSIS)), in persona del Curatore Dott. M.M., elettivamente domiciliati in ROMA, presso l’avvocato M. T., che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– RICORRENTI –
contro
ATR S.R.L. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’avvocato I. G., rappresentata e difesa dall’avvocato F. F., giusta procura a margine del controricorso;
ATR AEROSPACE S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona dell’Amministratore Unico pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ., presso l’avvocato F.F., che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
PI.UM. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di amministratore unico di SLC S.R.L., ATR SERVIZI S.R.L., ATR ENGINEERING S.R.L., ATR METERIALS S.R.L., ATR R&D S.R.L. Unipersonale, e di Presidente del Consiglio di Amministrazione di ATR AEROSPACE S.R.L., nonchè di (già) Amministratore Unico delle fallite ATR S.R.L., ATR COMPOSITES S.P.A. e ATR TOOLS S.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’avvocato F. F., che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– CONTRORICORRENTI –
contro
ATR S.R.L., ATR MATERIALS S.R.L., ATR R&D S.R.L. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, ATR ENGINEERING S.R.L., ATR AEROSPACE S.R.L., ATR SERVIZI S.R.L., SLC S.R.L., ATR TOOLS S.P.A., ATR COMPOSITES S.P.A., in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, presso l’avvocato I. G., che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati F.F., I. L., giusta procura a margine dell’atto di intervento;
– RESISTENTI –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato il 20/01/2009;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nei procedimento per la dichiarazione di fallimento di A.T.R. s.r.l., iniziato con ricorso 23 novembre 2007 di BANCA, il legale rappresentante della società debitrice, in occasione della sua convocazione davanti al Tribunale di Teramo, si riservò di depositare domanda di ammissione al concordato preventivo. Il 3 gennaio 2008, sia l’A.T.R. s.r.l., e sia le società A.T.R. Composites e A.T.R. Tools s.p.a., contro le quali pure erano state proposte istanze di fallimento, seguite dalla comparizione L. Fall., ex art.15, depositarono domande di ammissione al concordato preventivo. Il tribunale, con decreti 22 gennaio e 27 febbraio 2008, dichiarò aperte le procedure, e adottò i provvedimenti necessari.
2. Nelle more di tali procedure, e prima dell’adunanza di cui alla L. Fall., art.174, il “Gruppo ATR”, così denominatosi, e costituito dall’A.T.R. s.r.l. e dalle società controllate al 100% A.T.R. Composites s.p.a., A.T.R. Materials s.r.l., A.T.R. Tools s.p.a., A.T.R Aerospace s.r.l., S.L.C, s.r.l., A.T.R. Servizi s.r.l., A.T.R. Engeneering s.r.l. A.T.R. R&D s.r.l. depositò il 27 maggio 2008 una domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art.3 sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, sostenendo che le singole società appartenenti al gruppo non integrano entità imprenditoriali autonome in senso verticale e orizzontale dell’azienda, con la capogruppo, bensì una struttura imprenditoriale essenzialmente unitaria che, così intesa, soddisfa i requisiti dimensionali di cui al D.Lgs. n.270 del 1999, art.2.
Nella stessa circostanza le tre società che avevano chiesto l’apertura della procedura di concordato preventivo vi rinunciarono.
In conseguenza di ciò, il tribunale, con decreti in data 12 giugno 2008, dichiarò chiuse le procedure di concordato preventivo, riservò la decisione sulle istanze di fallimento presentate e convocò il legale rappresentante della società e il Ministero dell’Industria per gli adempimenti del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 7. Il ministero trasmise un parere, nel quale erano riportati i dati acquisiti in ordine al requisito occupazionale di cui al D.Lgs. n.270 del 1999, art.2, lett. B).
3. Basandosi su tali elementi, il tribunale, con decreto 30 ottobre 2008 emesso D.Lgs. n.270 del 1999, ex art. 3 rilevato che nessuna della società del gruppo occupava un numero di lavoratori subordinati non inferiore a 200 da almeno un anno, e che non poteva tenersi conto della somma di tutte le società del gruppo, essendo desumibile dal D.Lgs. n.270 del 1999, artt.80 e 81 la possibilità di estendere la procedura di amministrazione straordinaria alle altre imprese del gruppo solo nel caso che almeno una di esse possedesse i requisiti di legge, dichiarò l’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza. Con distinte sentenze in data 31 ottobre 2008, poi, il Tribunale di Teramo, decidendo sulle distanze di fallimento presentate, dichiarò il fallimento delle società A.T.R. s.r.l, A.T.R. Composites s.p.a., A.T.R. Materials s.r.l., A.T.R. Tools s.p.a., e A.T.R Aerospace s.r.l..
4. Contro il decreto D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 3 tutte le società del gruppo proposero reclamo. Con decreto 20 gennaio 2009 la Corte d’appello dell’Aquila, accolse il reclamo, ritenendo che l’art. 2 del decreto n. 270 del 1999 debba essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere tra le imprese che possono essere ammesse alla procedura anche quelle costituite da un gruppo d’imprese tale, che il requisito occupazionale di legge sia soddisfatto con riguardo alla somma delle imprese componenti del gruppo, accolse i reclami e rimise gli atti al tribunale per la prosecuzione della procedura.
5. Per la cassazione di questo decreto, notificato il 24 gennaio 2009 i fallimenti delle società A.T.R. s.r.l, A.T.R. Composites s.p.a., A.T.R. Materials s.r.l., A.T.R. Tools s.p.a., e A.T.R Aerospace s.r.l. hanno proposto ricorso, notificato il 25 febbraio 2009, per 5 motivi.
Le nove società del gruppo resistono con controricorso notificato il 2 aprile 2009.
Le medesime società sono inoltre intervenute in persona del commissario straordinario, nel frattempo nominato dal Tribunale di Teramo, con atto notificato il 18 maggio 2009.
I fallimenti ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. Deve dichiararsi in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’intervento proposto dalle nove società del gruppo, in persona del Commissario straordinario. Secondo l’insegnamento tradizionale di questa corte, anche a sezioni unite, non è consentito nel giudizio di legittimità l’intervento volontario del terzo, mancando un’espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l’art.105 cpc esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado (Cass. Sez. un. 23 gennaio 2004 n.1245).
7. Sull’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento impugnato, va qui richiamato quanto in altra occasione già affermato da questa corte, con riferimento al provvedimento con cui la corte di appello provvede, ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n.270, art. 33 sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, sul reclamo avverso il decreto motivato del tribunale che, ai sensi dell’art. 30 del medesimo D.Lgs., dispone l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria o, in alternativa, dichiara il fallimento: quel provvedimento, pur non avendo forma di sentenza, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art.111 Cost., comma 7, avendo carattere decisorio, in quanto incide sul diritto soggettivo dell’imprenditore all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, e definitivo, in quanto non è altrimenti impugnabile (Cass. 15 luglio 2004 n. 13120).
A soluzione non diversa deve pervenirsi per il decreto pronunciato sul reclamo avverso il provvedimento che, come nel caso qui esaminato, abbia dichiarato inammissibile la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza per difetto dei requisiti del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2. Questo decreto, infatti, possiede le stesse caratteristiche di definitività e decisorietà, perchè accerta con attitudine al giudicato l’esistenza o inesistenza di requisiti di legge per l’ammissione alla procedura concorsuale, questione che non potrebbe essere rimessa in discussione nella fase successiva davanti al tribunale.
8) La legittimazione processuale degli organi dei fallimenti ricorrenti è stata contestata sotto un duplice profilo:
– a) il fallimento non poteva essere dichiarato in pendenza del termine per il reclamo avverso il decreto d’inammissibilità della domanda di amministrazione straordinaria, dovendosi attendere la definizione nei gradi d’impugnazione di quella procedura;
– b) la legittimazione degli organi fallimentari sarebbe venuta meno per effetto della sentenza in data 27 gennaio 2009, con la quale il Tribunale di Teramo, dando seguito al decreto con il quale la Corte d’appello dell’Aquila ha accolto i reclami delle società del gruppo, ha dichiarato lo stato d’insolvenza delle società medesime e ha nominato gli organi dell’amministrazione straordinaria.
I temi toccati dai resistenti, in punto di legittimazione processuale al ricorso per cassazione, sono strettamente connessi a quelli trattati nel primo motivo di ricorso, sebbene con finalità diametralmente opposte.
9. Con il PRIMO motivo del ricorso, infatti, si censura per falsa applicazione del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art.12 – sotto il profilo dell’art.360 cpc, n.4 – il modus procedendi della Corte d’appello dell’Aquila, che si è pronunciata sul merito del reclamo, invece di dichiararlo inammissibile.
Si sostiene che il reclamo non è ammesso, quando la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza sia dichiarata inammissibile per difetto del requisito dimensionale dell’impresa. Richiamandosi anche alla dottrina prevalente, i ricorrenti sostengono che, con il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza per difetto dei requisiti espressamente indicati, quali condizioni di ammissione alla procedura, nell’art.2, lett. a) (requisito occupazionale) e lett. b) (rapporto debito – attivo patrimoniale), il tribunale, lungi dall’attendere l’esito delle eventuali impugnazioni avverso quella statuizione, come sostengono le imprese resistenti, dovrebbe dichiarare contestualmente il fallimento della società commerciale in stato d’insolvenza.
Da ciò si trae la conseguenza che solo nell’ipotesi in cui la domanda sia – non già dichiarata inammissibile per difetto dei requisiti sopra indicati, bensì – respinta, perchè la parte richiedente non riveste la qualità d’imprenditore commerciale o non versa in stato d’insolvenza (e dunque non è fallibile), il decreto, in quanto conclusivo dell’intera procedura, sarebbe reclamabile D.Lgs. n.270 del 1999, ex art.12; con il corollario che il decreto d’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza, erroneamente emesso senza la contestuale dichiarazione di fallimento, non sarebbe neppure impugnabile, dovendo le relative questioni attinenti ai presupposti della procedura concorsuale straordinaria essere valutate in via incidentale in sede di opposizione alla dichiarazione di fallimento.
10. In sintesi, alla tesi dei resistenti, secondo i quali il decreto della corte d’appello, impugnato in questa sede, avrebbe avuto l’effetto di travolgere il fallimento in precedenza dichiarato, privando i relativi organi concorsuali della loro legittimazione processuale, si contrappone in modo speculare quella dei fallimenti ricorrenti, secondo cui il reclamo, sul quale fu pronunciato quel decreto, era in radice inammissibile. Tali questioni devono essere pertanto trattate congiuntamente.
11. La tesi dei ricorrenti, che trova conferma, oltre che nei dati testuali ricordati – ai quali potrebbe aggiungersi il parallelismo offerto dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 30 circa la dichiarazione di fallimento adottata con il provvedimento che accerta la mancanza delle condizioni di ammissibilità all’amministrazione straordinaria indicate nell’art. 27 dec. cit. (concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali) – nell’intero sistema dei rapporti tra le diverse procedure concorsuali, come delineato nel R.D. 16 marzo 1942, n.267, deve oggi essere riesaminata alla luce delle novelle intervenute nel 2006-2007.
11.1. La riforma del diritto fallimentare, attuata in quegli anni, infatti, ha profondamente modificato la struttura dei procedimenti introduttivi delle procedure concorsuali, in particolare facendo venir meno la possibilità che la dichiarazione di fallimento sia pronunciata d’ufficio. In tal modo è stato soppresso l’automatismo per cui, ad esempio, al rigetto della domanda di omologazione del concordato preventivo si accompagnava la dichiarazione di fallimento dell’impresa insolvente: la necessità che il fallimento sia dichiarato solo in accoglimento della domanda proposta da una parte (il debitore, o uno dei creditori o il pubblico ministero) comporta oggi che il rigetto dell’omologazione del concordato preventivo concluda la procedura relativa, senza che l’impresa – pur insolvente – sia dichiarata fallita.
Allo stesso modo, deve oggi ammettersi la possibilità che il tribunale rigetti il ricorso per la dichiarazione dello stato d’insolvenza a norma del D.Lgs. n.270 del 1999, art.12 senza tuttavia dichiarare il fallimento dell’impresa, se domanda di fallimento non vi sia, sebbene nel disegno originale del decreto n.270 del 1999 questa ipotesi fosse certamente esclusa.
In tal modo è enfatizzata l’autonomia dei procedimenti introduttivi delle diverse procedure concorsuali, in contrasto con la ricostruzione teorica del rapporto tra amministrazione straordinaria e fallimento offerta – pur, come s’è detto, in conformità con una solida tradizione esegetica – dalla difesa dei ricorrenti fallimenti.
11.2. Quando siano state proposte distinte domande dirette ad attivare l’una e l’altra procedura, com’è avvenuto nel caso oggi all’esame della corte, l’autonomia dei diversi procedimenti concorsuali, seppure ormai innegabile, ne rende necessario il coordinamento, stante la reciproca incompatibilità delle domande, per cui l’universalità (con riguardo al patrimonio dell’impresa insolvente) dell’una procedura esclude necessariamente ogni altra.
Questo coordinamento può essere attuato, nella normalità dei casi, mediante formale riunione dei procedimenti pendenti davanti allo stesso tribunale, perchè siano decisi con un unico provvedimento, considerato che la competenza territoriale alla dichiarazione di fallimento non è diversa da quella all’ammissione all’amministrazione straordinaria. Se, però, questa riunione non abbia luogo, o se, pur essendo i procedimenti pendenti davanti allo stesso magistrato, sia adottato un provvedimento d’inammissibilità della domanda di amministrazione straordinaria per difetto dei requisiti di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n.27, art.2, lett. a e b e solo con separato e successivo provvedimento sia dichiarato il fallimento, non per questo può escludersi per la parte interessata (l’impresa insolvente, in questo caso) il rimedio del reclamo previsto dall’art.12 dello stesso decreto, sol perchè nel disegno originario in tal caso ogni questione fosse rimessa alla sede dell’opposizione alla dichiarazione di fallimento. La ragione della diversa soluzione, oggi, deve essere ricercata in quella stessa esigenza che è tutelata dal principio dell’apparenza, o dell’affidamento, in virtù del quale il mezzo di impugnazione va individuato con riguardo alla qualificazione attribuita al provvedimento impugnato dal giudice che lo ha emesso, a prescindere dall’esattezza di tale qualificazione (giurisprudenza consolidata; le pi- recenti, Cass. sez. un. 9 maggio 2011 n. 10073).
La parte interessata a ottenere la dichiarazione dello stato d’insolvenza non può essere lasciata nell’incertezza sulla successiva eventuale dichiarazione di fallimento, e sulla possibilità che in quella sede sia ammessa a ridiscutere dei requisiti per la dichiarazione alternativa dello stato d’insolvenza nonostante l’eventuale consumazione dei termini per la proposizione del reclamo nel frattempo maturatasi.
11.3. La contemporanea pendenza, allora, tra reclamo proposto a norma del D.Lgs. n.270 del 1999, art.12 e procedimento per la dichiarazione di fallimento pone il quesito circa l’eventuale rapporto di pregiudizialità esistente tra di essi: l’art.3, comma 2 del citato decreto, infatti, stabilisce che si possa dichiarare il fallimento soltanto se non vi siano i presupposti per dichiarare lo stato d’insolvenza. La difesa delle società resistenti sostiene a questo riguardo, in conformità del decreto impugnato, che il procedimento per la dichiarazione di fallimento doveva essere sospeso in attesa della definizione del procedimento sulla dichiarazione dello stato d’insolvenza, nei gradi d’impugnazione, con provvedimento passato in cosa giudicata.
11.4. Il collegio ritiene che la pregiudizialità tra i due procedimenti, nel senso postulato dall’art.295 cpc, debba essere esclusa. Una sospensione pregiudiziale, nel caso in esame, non è prevista da alcuna norma di legge, ed è anzi contrastante con la disciplina generale della sospensione necessaria, nella configurazione che questo istituto ha nella giurisprudenza di legittimità. Il principio di diritto applicabile in questi casi si rinviene, infatti, nell’insegnamento delle sezioni unite di questa corte, secondo il quale, poichè l’art.295 cpc, la cui ragione fondante è quella di evitare rischio di un conflitto tra giudicati, si riferisce esclusivamente all’ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico – giuridico, e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta nell’ipotesi di contemporanea pendenza, davanti a due giudici diversi, di giudizi fra i quali esista un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, essendo in tal caso applicabile l’art.337 cpc, comma 2, il quale, in caso d’impugnazione di una sentenza (o, come nel caso in esame, di un decreto con contenuto decisorio) la cui autorità sia stata invocata in un separato processo (in questo caso, quello per la dichiarazione di fallimento), prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo, e tenuto conto altresì del fatto che, a norma dell’art.336 cpc, comma 2, la riforma o la cassazione della sentenza (o decreto decisorio) pregiudicante adottata nello stesso procedimento (quale deve considerarsi sostanzialmente quello per il regolamento dell’insolvenza dell’impresa, ancorchè introdotto formalmente da domande contrapposte) determina l’automatica caducazione della sentenza successiva, anche se su quest’ultima si sia formato un giudicato apparente, con conseguente esclusione del conflitto di giudicati (Cass. sez. un. 26 luglio 2004 n. 14060).
Il convincimento sull’esattezza di questa conclusione è inoltre confortato dalla conclusione analoga alla quale sono pervenute le Sezioni unite della Corte, con riguardo al rapporto tra il procedimento, nei gradi d’impugnazione, del concordato preventivo, la cui omologazione sia stata negata, e quello per la dichiarazione di fallimento (Cass. sez. un. 23 gennaio 2013 n.1521).
11.5. Discende da tali premesse, innanzi tutto, che il tribunale di Teramo, avendo dichiarato inammissibile la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza, era tenuto a provvedere sui ricorsi per la dichiarazione di fallimento delle singole società. In secondo luogo deve ammettersi che gli organi conseguentemente nominati nelle procedure fallimentari, giustamente convenuti nel giudizio di reclamo avverso il primo provvedimento, possiedano la legittimazione processuale all’impugnazione del decreto emesso sul medesimo reclamo, a tutela del diritto dei creditori di agire in concorso per la soddisfazione delle loro ragioni, diritto che è stato negato dall’accoglimento del reclamo. Le eccezioni di difetto di legittimazione processuale mosse dai resistenti sono pertanto da respingere.
11.6. Dalle stesse premesse deriva peraltro l’infondatezza del primo motivo di ricorso. Tenuto conto delle osservazioni di cui al punto 10.2., il principio di diritto applicabile in questo caso è il seguente:
qualora la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza sia dichiarata inammissibile, per difetto dei requisiti indicati dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 2, lett. a) e b) con autonomo decreto, e senza la contestuale dichiarazione di fallimento della stessa impresa, il provvedimento è soggetto allo stesso rimedio del reclamo alla corte d’appello, che è previsto per il rigetto della domanda di amministrazione straordinaria a norma dell’art. 12 del citato decreto.
12. Con il SECONDO motivo si censura, per violazione della medesima norma e sotto lo stesso profilo indicato nel motivo precedente, la statuizione di merito adottata sul reclamo proposto dallo stesso imprenditore, non tuttavia per la supposta non impugnabilità del provvedimento, bensì perchè il debitore non sarebbe legittimato al reclamo. Si deduce a questo riguardo che, di là dalla letterale formulazione del D.Lgs. n.270 del 1999, art.12 l’imprenditore non ha un diritto soggettivo alla dichiarazione dello stato d’insolvenza, così come non l’ha alla dichiarazione di fallimento, come è confermato dalla L. Fall., art.22, che non consente all’imprenditore insolvente il reclamo contro il provvedimento che respinge la sua domanda di fallimento.
13. Anche questo motivo è infondato. Se nel D.Lgs. n.270 del 1999, art.12 la legittimazione al reclamo è riconosciuta a favore del ricorrente, cioè di colui che ha proposto la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza, è perchè la posizione di questi è sostanzialmente diversa da quella di colui che chiede il proprio fallimento. Questo istituto, infatti, è funzionale alla soddisfazione concorsuale delle ragioni dei creditori, e il debitore che si vede respingere la domanda è salvaguardato dal rischio di incorrere in responsabilità per aver ritardato la dichiarazione di fallimento, e non ha altre pretese tutelate da far valere. Al contrario, l’impresa che chiede di essere ammessa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi agisce per evitare la liquidazione del suo patrimonio, e ha un diritto soggettivo all’ammissione alla procedura, sempre che ne ricorrano tutti i requisiti di legge.
13.1. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto:
a norma del D.Lgs. 8 luglio 1999, n.270, art.12 l’impresa che ha chiesto di essere ammessa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è legittimata a impugnare il decreto di dichiarazione d’inammissibilità della domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza, o di rigetto della domanda di amministrazione straordinaria.
14. Con il TERZO motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n.270 del 1999, artt.2, 80 e 81 per avere la corte territoriale affermato che la dichiarazione di stato d’insolvenza, prodromica all’amministrazione straordinaria, possa essere richiesta da un gruppo d’imprese unitariamente considerato, e per aver ritenuto ammissibile l’amministrazione straordinaria per un gruppo d’imprese nel quale nessun’impresa soddisfi il requisito dimensionale di cui all’art.2 del decreto citato, giudicando sufficiente a tal fine la somma dei dipendenti di tutte le imprese del gruppo.
15. Con il QUARTO motivo (da esaminare insieme al precedente, per la sua stretta connessione con esso), si censura per violazione del D.Lgs. n.270 del 1999, art.2 l’affermazione del giudice di merito, che “l’unico e totalitario controllo a condizione unitaria da parte della società ATR soc. Holding nonchè lo svolgimento della stessa attività produttiva” farebbe ravvisare un’unica impresa, ai fini della valutazione del requisito occupazionale di cui all’art.2 del decreto citato.
16. I motivi sono fondati. Il gruppo d’imprese non è soggetto a fallimento e perciò neppure all’amministrazione straordinaria regolata del D.Lgs. n.270 del 1999 (fatta salva l’estensione prevista dall’art. 81 del decreto medesimo).
Non è applicabile in questo caso la speciale disciplina introdotta dal D.Lgs. n.349 del 2003 per alcune imprese, delle quali è autonomamente regolato il requisito dimensionale, con riferimento bensì al gruppo d’imprese ma con corrispondente innalzamento della soglia occupazionale (essendo peraltro regolato in modo completamente diverso anche il requisito dell’indebitamento). Non v’è in ciò alcuna disparità di trattamento ingiustificata, perchè non esiste nell’ordinamento una nozione generale di grande impresa, che possa trovare applicazione in ogni caso, e il legislatore può adottare definizioni diverse in relazione alle diverse finalità per le quali attribuisce di volta in volta rilevanza al gruppo d’imprese.
La tesi in esame, che si potrebbe estendere alla procedura concorsuale del D.Lgs. n. 270 del 1999 la considerazione unitaria dell’impresa di gruppo introdotta dal D.Lgs. n.349 del 2003, mantenendo al tempo stesso ferma per il gruppo la soglia occupazionale stabilita per la singola impresa, costituirebbe una soluzione ancor più irrazionale dell’articolato assetto normativo risultante dalla coesistenza delle due procedure di amministrazione straordinaria, e comunque incontra ostacoli letterali ed ermeneutici insormontabili.
17. Non v’è, d’altra parte, neppure la possibilità di superare l’autonomia giuridica delle diverse società del gruppo, facendo leva sulla composizione degli organi amministrativi o su altri elementi, che, se idonei a integrare il controllo diritto o indiretto o la direzione da parte dell’impresa madre, possono assumere rilievo esclusivamente ai fini dell’estensione della procedura a norma del D.Lgs. n.270 del 1999, art.81.
18. I due motivi devono essere pertanto accolti in forza del seguente principio di diritto:
in tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, regolata dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n.270, il requisito dimensionale indicato nell’art. 2, lett. a) del decreto medesimo deve essere accertato con riguardo alla singola impresa richiedente, e non con riguardo al gruppo del quale la medesima impresa faccia parte.
19. Con l’ULTIMO motivo si censura ancora per violazione del D.Lgs. n.270 del 1999, art.2 l’affermazione del giudice di merito che una delle società del gruppo, e precisamente l’ATR Composites s.p.a., integri il requisito occupazionale di cui alla norma citata, perchè “dal punto di vista giuridico, anche se non proprio dal punto di vista operativo, ha alle sue dipendenze oltre 500 dipendenti, ivi compresi n. 212 dipendenti assegnati al ramo di azienda affittato a MML, e n. 317 dipendenti assegnati al ramo d’azienda affittato al gruppo F. s.p.a., con due contratti d’affitto a tempo determinato;
cosicchè, salvo ulteriori proroghe, alla scadenza dell’affitto i dipendenti dovranno rientrare nella forza lavoro della sua locatrice”.
20. Il motivo è fondato. Anche ai fini del calcolo del requisito dimensionale, che qui interessa, sono considerati dipendenti solo coloro che prestano lavoro subordinato all’interno dell’impresa alla data dell’ammissione all’amministrazione straordinaria, e tali non sono quelli dell’azienda trasferita ex 2112 cc. A ciò non può opporsi utilmente che i lavoratori, pur dopo il trasferimento, conservano le loro ragioni di credito nei confronti dell’impresa di provenienza, per il lavoro prestato in precedenza, perchè la norma ha riguardo all’organizzazione e alle dimensioni dell’impresa, e non alle ragioni di debito dell’imprenditore nei confronti dei lavoratori, che confluiscono poi nello stato passivo dell’impresa insolvente.
21. Il motivo deve essere pertanto accolto in forza del seguente principio di diritto:
ai fini della verifica del requisito dimensionale dell’impresa in stato d’insolvenza, a norma del D.Lgs. 8 luglio 1999, n.270, art.2, lett. a) non possono computarsi, tra i dipendenti occupati nell’ultimo anno, quelli che lavorano nelle aziende cedute in affitto a terzi.
22. In conclusione, l’accoglimento dei motivi terzo, quarto e quinto comporta la cassazione del decreto impugnato.
La controversia, inoltre, può essere decisa nel merito, non richiedendo ulteriori indagini in fatto, con la dichiarazione d’inammissibilità della domanda proposta dalle società del gruppo A.T.R., di dichiarazione dello stato d’insolvenza a norma delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, per difetto del requisito dimensionale di cui all’art. 2 del citato decreto.
23. L’assenza di precedenti in termini sulle questioni dibattute giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio tra le parti.
PQM
La Corte accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, e respinge nel resto il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda di dichiarazione dello stato d’insolvenza. Compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2013
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