Testo massima
Con la sentenza n. 13458
depositata il 13 giugno 2014 la Suprema Corte
si è occupata di decidere in merito ad un ricorso proposto dalla
curatela di un fallimento avverso la cartella di pagamento portante l’iscrizione
a ruolo di “interessi di sospensione”. La curatela contestava la pretesa
tributaria ritenendo si trattasse di duplicazione di interessi, poiché
l’Agenzia delle Entrate aveva già presentato istanza di ammissione al passivo
del fallimento in ordine al credito per sorte capitale sul quale, con il
medesimo grado di privilegio, maturavano automaticamente gli interessi al tasso
legale.
La richiesta della curatela
veniva accolta sia in primo che in secondo grado e avverso la sentenza
d’appello proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia
delle Entrate.
Decidendo sul primo motivo di
ricorso gli Ermellini hanno ritenuto che, ai sensi dell’art. 55 L.F., la
dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o
legali agli effetti del concorso, sino alla dichiarazione di fallimento.
A tale regola fanno eccezione
però i crediti tributari poiché assistiti da privilegio.
L’art. 54, comma 3, L.F.
stabilisce che “l’esistenza del diritto di prelazione agli interessi è regolato
dagli artt. 2788 e 2855 c.c., commi 2 e 3, intendendosi equiparata la
dichiarazione di fallimento all’atto di pignoramento, e dopo l’intervento
correttivo della Corte Costituzionale con la sentenza n. 162/01, che ha
evidenziato l’unitarietà della disciplina sostanziale delle cause legittime di prelazione,
riferibile tanto all’esecuzione individuale quanto a quella concorsuale, anche
dall’art. 2749 c.c..
Pertanto, l’estensione del
privilegio accordato al credito si trasferisce anche agli interessi dovuti per
l’anno in corso e per quelli dell’anno precedente e, gli interessi maturati
successivamente, hanno privilegio nei limiti della misura legale sino alla data
della vendita.
Dal combinato disposto delle su
citate norme discende che il credito tributario, essendo assistito da
privilegio, non subisce la sospensione del corso legale degli interessi durante
la procedura fallimentare.
Nel caso de quo, non avendo
l’Agenzia delle Entrate contestato l’intervenuta ammissione al passivo la
cartella porta effettivamente come è stato affermato nella sentenza impugnata
un duplicazione del credito.
Per ciò che attiene invece il secondo motivo di
ricorso spiega il massimo consesso
nomofilattico, uniformandosi all’orientamento della Suprema Corte in materia, che “in tema di ammissione al passivo
fallimentare del credito per imposta sul valore aggiunto, la misura legale,
alla quale rinvia l’art. 2749 c.c., comma 2, ai fini dell’individuazione dei
limiti della collocazione privilegiata del credito per interessi, deve
intendersi riferita, al pari di quella prevista dagli artt. 2788 e 2855 cod.
civ. per i crediti pignoratizi ed ipotecari, non già al saggio d’interesse
stabilito dalla legge che disciplina il singolo credito, ma a quello previsto
in via generale dall’art. 1284 cod. civ.; quest’ultimo è infatti destinato a
trovare applicazione nella situazione di concorso con altri creditori derivante
dall’apertura di una procedura concorsuale, avuto riguardo alla natura speciale
della legge fallimentare, che disciplina in via generale gli effetti derivanti
dall’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza, ed alla conseguente
prevalenza del richiamo in essa contenuto alla disciplina dettata dal codice
civile sul riferimento ad altri tassi eventualmente previsti da leggi
speciali”.
Sulla base di tali prospettazioni la Corte di Cassazione
ha rigettato il ricorso.
Testo del provvedimento
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA delle ENTRATE, in persona
del Direttore generale pro tempore,
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO della alfa s.p.a., in persona dei curatori pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza della
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 47/13/10 depositata in data
11.3.2010;
udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 26.2.2014 dal Consigliere Roberta Crucitti;
udito il P.M., in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo di ricorso e l’inammissibilità del secondo.
La curatela del fallimento della
alfa s.p.a. propose ricorso avverso la cartella di pagamento
portante iscrizione a ruolo di “interessi da sospensione” maturati
tra il 30.7.2003 ed il 2.3.2006, in conseguenza delle revoche delle sospensioni
già concesse in pendenza di giudizio tributario su cartelle, ed in attesa della
definizione dell’istanza di condono L.
n. 289 del 2002, ex art. 16.
Con il ricorso la curatela
contestava la pretesa tributaria trattandosi di quanto duplicazione di
interessi in quanto l’Ufficio aveva già presentato istanza di ammissione al
passivo del fallimento in ordine al credito per sorte capitale sul quale, con
il medesimo grado di privilegio, maturavano automaticamente gli interessi al
tasso legale.
La Commissione di prima istanza
accoglieva il ricorso e la sentenza, appellata dall’Agenzia delle Entrate,
veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con la
sentenza indicata in epigrafe. In particolare, il Giudice di appello riteneva
la pretesa portata dalla cartella mera duplicazione degli interessi già
insinuati al passivo fallimentare ed illegittima la pretesa
dell’amministrazione finanziaria di pretendere anche gli interessi di cui
al D.P.R.
n. 600 del 1973, art. 15 bis per un credito sul quale, alla luce della
disciplina concorsuale, gli interessi, con il medesimo grado di privilegio
riconosciuto per il credito erariale, decorrevano già dal momento dell’apertura
del fallimento.
Nel caso in esame, secondo il
Giudice territoriale, si verificava non solo una duplicazione di interessi ma
si applicava anche un saggio “fiscale” D.P.R.
n. 602 del 1973, ex art. 20 diverso e maggiore di quello legale stabilito
dalla normativa fallimentare ed al quale dovevano soggiacere tutti i creditori
concorsuali compresa l’Amministrazione Finanziaria.
Avverso la sentenza ha proposto
ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate.
Il Fallimento della alfa s.p.a. non ha svolto attività difensiva.
1. Con il primo motivo di ricorso
– rubricato violazione e falsa applicazione D.P.R.
n. 602 del 1973, artt. 15
bis e20 dei
principi generali in materia di iscrizione a ruolo, di cartella esattoriale, di
interessi fiscali, L.
Fall., artt. 54e 55,
art. 2749 c.c. – l’Agenzia delle Entrate premesso che l’iscrizione a ruolo
straordinario di tributi comporta anche l’iscrizione degli interessi deduce la
legittimità della cartella, notificata alla procedura fallimentare, portante
quegli interessi, essendo irrilevanti la L.
Fall., artt. 54 e 55 nonchè l’art.
2749 c.c..
Secondo la prospettazione
difensiva la C.T.R. aveva errato confondendo la questione relativa alla
legittimità della cartella esattoriale con quella relativa al soddisfacimento
in sede fallimentare e l’erroneità della sentenza risultava evidente laddove,
alla sua stregua, l’erario per il periodo dal 30/2003 al 2/3/2006 (periodo
successivo alla dichiarazione di fallimento) non ne avrebbe diritto se non al
minor saggio legale ex art.
1284 c.c..
2. Con il secondo motivo –
afferente violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al primo
motivo – l’Agenzia deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la CTR nel ritenere
che sul credito tributario decorrono gli interessi ex art.
1284 c.c. e non secondo il saggio fiscale. Secondo la prospettazione
difensiva l’art.
2749 c.c. fa riferimento alla misura legale dell’interesse e per
crediti tributari tale misura legale corrisponde, siccome fissata per legge, in
quella prevista dall’art. 20 cit..
3. E’ pacifico in atti, perchè
incontestato e riconosciuto dalla stessa ricorrente che per il credito
tributario (sul quale sono decorsi gli interessi portati in cartella ed oggetto
di contenzioso) l’Agenzia delle Entrate ha già avanzato istanza di ammissione
allo stato passivo. E’, altresì, incontestato che gli interessi portati dalla
cartella oggetto di controversia sono maturati in data successiva all’apertura
della procedura fallimentare. Questi i termini fattuali incontestati della
vicenda processuale, il ricorso non appare meritevole di accoglimento.
Come noto, ai sensi della L.
Fall., art. 55 la
dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o
legali, agli effetti del concorso, sino alla dichiarazione di fallimento. A
tale regola fanno eccezione, tra gli altri, i crediti tributari siccome
assistiti da privilegio. La L.
Fall., art. 54,
comma 3 poi stabilisce che “l’estensione del diritto di
prelazione agli interessi è regolata dall’art.
2788 c.c. e art.
2855 c.c., commi 2 e 3, intendendosi equiparata la dichiarazione di
fallimento all’atto di pignoramento, ed a seguito dell’intervento correttivo
della C.Cost. con sentenza n. 162/2001,
anche dall’art.
2749 c.c..
Per quanto, qui interessa, detta
ultima norma stabilisce che l’estensione del privilegio accordato al credito si
estende anche agli interessi dovuti per l’anno in corso e per quelli dell’anno
precedente e che gli interessi maturati successivamente hanno privilegio nei
limiti della misura legale sino alla data della vendita.
Dal combinato disposto di tali
norme consegue che il credito tributario, siccome assistito da privilegio, non
subisce la sospensione del corso degli interessi nel corso della procedura
fallimentare.
Ne consegue, l’infondatezza del
primo motivo, laddove, pur essendo corretta la doglianza in ordine
all’irrilevanza nella specie della natura privilegiata o meno del credito per
interessi (di esclusiva competenza degli organi fallimentari in sede di
ammissione al passivo), non si contesta (anzi, nel quesito posto a conclusione
del motivo, si ammette) l’intervenuta ammissione al passivo con la conseguenza
che, come correttamente rilevato, la cartella porta effettivamente come
affermato nella sentenza impugnata, una duplicazione di credito.
Nè può accedersi alla tesi, pure
sostenuta dalla ricorrente, secondo cui – ferma restando ogni questione in
ordine al riconoscimento in sede fallimentare del credito da interessi e della
sua collocazione in via privilegiata o chirografaria di esclusiva competenza
degli organi fallimentari – la notificazione del predetto atto impositivo, con
conseguente sua legittimità era necessaria per la precostituzione di titolo nei
confronti del fallito, allorquando tornato in bonis, e ciò perchè, in tal caso,
la pretesa andava avanzata nei confronti della fallita e non della curatela
fallimentare (cui per come è incontestato, è stata notificata la cartella e
che, in detta particolare ipotesi, non è qualificabile, come, invece, ritenuto
dalla ricorrente “rappresentante” del soggetto fallito).
2. Il secondo motivo è infondato.
L’orientamento di questa Corte,
in materia è, infatti, fermo nel ritenere che “In tema di ammissione al
passivo fallimentare del credito per imposta sul valore aggiunto, la misura
legale, alla quale rinvia l’art.
2749 c.c., comma 2, ai fini dell’individuazione dei limiti della
collocazione privilegiata del credito per interessi, deve intendersi riferita,
al pari di quella prevista dagli artt.
2788 e 2855 cod. civ. per i crediti pignoratizi ed ipotecari, non già
al saggio d’interesse stabilito dalla legge che disciplina il singolo credito,
ma a quello previsto in via generale dall’art.
1284 cod. civ.; quest’ultimo è infatti destinato a trovare applicazione
nella situazione di concorso con altri creditori derivante dall’apertura di una
procedura concorsuale, avuto riguardo alla natura speciale della legge
fallimentare, che disciplina in via generale gli effetti derivanti
dall’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza, ed alla conseguente
prevalenza del richiamo in essa contenuto alla disciplina dettata dal codice
civile sul riferimento ad altri tassi eventualmente previsti da leggi speciali
(Sentenza n. 16084 del 21/09/2012; id. Sentenza n. 22766 del 2012). Il ricorso
va, pertanto, rigettato.
Non vi è pronuncia sulle spese
per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio, il 26 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 13
giugno 2014
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