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Lo studio associato può essere ammesso al passivo del fallimento del cliente, con il riconoscimento del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c., per il credito al compenso professionale soltanto quando sia il corrispettivo della prestazione personalmente svolta, in via esclusiva o prevalente, da uno (o più) tra i professionisti associati (anche avvalendosi di collaboratori o sostituti) e le somme così maturate siano di rispettiva pertinenza, nel senso che risulti, in forza degli accordi distributivi tra gli associati o comunque da altra circostanza, che il detto compenso retribuisce, almeno in parte, il professionista prestatore e proprio per le prestazioni oggetto della domanda.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Ferro – Rel. Dongiacomo, con la sentenza n. 29371 del 13 novembre 2024.
Accadeva che una società di commercialisti associati proponeva opposizione allo stato passivo del Fallimento di una società, chiedendo di esservi ammesso con il privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c., per il credito al compenso maturato per le prestazioni di consulenza e assistenza eseguite in materia fiscale e societaria in ragione dell’incarico affidato dalla società poi fallita ad uno dei professionisti associati.
Il Tribunale rigettava l’opposizione, affermando che “l’associazione professionale che agisca per il credito derivante da una prestazione svolta da qualcuno degli associati, può avvalersi del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c. soltanto se quelle somme, detratte eventualmente le spese necessarie per la vita dell’associazione, competano a chi effettivamente ha svolto quella prestazione“, occorrendo, quindi, che gli accordi di studio prevedano che il compenso corrisposto da un determinato cliente spetti a chi abbia concretamente svolto la prestazione in suo favore, o almeno, che sia pattuita una distribuzione degli utili proporzionalmente alle quote di partecipazione all’associazione.
Nel caso di specie, invece, il Giudice riteneva che non fosse possibile applicare il suddetto privilegio, atteso che l’incarico, come emergeva dalle lettere di incarico prodotte in atti, era stato formalmente conferito allo Studio in persona dell’associato che concretamente aveva onorato l’incarico, con una formula che “è quella tipica del conferimento a persona giuridica con indicazione della persona cui spetta la rappresentanza legale”. L’opponente, inoltre, pur avendo dedotto che le prestazioni erano state svolte in via esclusiva dal commercialista associato, non aveva allegato il modo in cui l’associazione professionale ripartiva gli utili e le spese tra i membri.
Lo studio proponeva ricorso in Cassazione avverso il decreto, al quale resisteva il Fallimento con controricorso.
Nell’unico motivo, il ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione della legge, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto che il credito al compenso azionato dallo studio professionale opponente non meritasse il riconoscimento del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c.
Il Tribunale, infatti – affermava il ricorrente – così facendo aveva omesso di considerare che: – “ai fini del riconoscimento del privilegio, devono essere tenuti separati e ben distinti: (i) da un lato, la causa giustificatrice del credito, cioè quel particolare e specifico titolo in forza del quale sorge il credito e in virtù del quale, come disposto dall’articolo 2745 cod. civ., viene attribuito il privilegio da parte del legislatore; e, (ii) dall’altro lato, l’utilizzo (successivo e discrezionale) del credito da parte del suo titolare”; – “il credito che nasce privilegiato viene trasferito come privilegiato e la sua natura rimane – pertanto – invariata indipendentemente dalle vicende che lo riguardano“; – il credito derivante dalla prestazione effettuata personalmente dal professionista, nella misura in cui è garantito dal privilegio previsto dall’art. 2751 bis n. 2 c.c., rimane, quindi, privilegiato anche se il professionista fa parte di un’associazione professionale; – la quale, infatti, non determina la creazione di un’entità giuridicamente rilevante e distinta dai soggetti che la compongono ma rappresenta semplicemente una struttura all’interno della quale si possono stabilire liberamente i criteri per la ripartizione degli utili e delle spese, senza, tuttavia, escludere la riferibilità della prestazione al singolo professionista che l’ha personalmente eseguita e il privilegio che ne garantisce il compenso; – per ammettere o escludere la collocazione privilegiata del credito occorre, pertanto, verificare soltanto che questo rappresenti il corrispettivo di un’attività posta in essere direttamente e personalmente dal singolo associato, sicché, una volta accertata e dimostrata la titolarità del rapporto professionale, il credito che da essa ne deriva deve considerarsi automaticamente “di pertinenza” del singolo professionista, non rilevando, dunque, a tal fine che, in base agli accordi interni tra gli associati, il compenso venga poi acquisito e fatturato dall’associazione professionale.
La Suprema Corte riteneva il motivo infondato, affermando che l’associazione tra professionisti può essere ammessa al passivo del fallimento del cliente poi fallito per il credito al compenso professionale maturato nei confronti di quest’ultimo, con il riconoscimento del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 2 c.c., sia nel caso in cui il rapporto di prestazione d’opera professionale si sia instaurato direttamente tra cliente e singolo professionista il quale, come titolare del credito al relativo compenso, l’abbia poi ceduto (anche a mezzo di clausola statutaria) all’associazione cui appartiene, sia nel caso in cui il predetto rapporto contrattuale sia giuridicamente sorto (come nel caso in esame) direttamente tra il cliente poi fallito e l’associazione professionale, quale autonomo centro di imputazione di interessi e controparte contrattuale; a condizione, però, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, che l’associazione istante deduca e dimostri (in qualunque modo) in giudizio che:
– il credito al compenso sia il corrispettivo della prestazione personalmente svolta, in via esclusiva o prevalente, da uno (o più) tra i professionisti associati (anche avvalendosi di collaboratori o sostituti: art. 2232 c.c.);
– le somme così maturate siano destinate, in forza degli accordi distributivi tra gli associati, a retribuire, anche solo in parte, proprio il professionista che ha personalmente eseguito la relativa prestazione lavorativa e proprio la prestazione lavorativa che è a fondamento del compenso invocato, “soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa” (Cass. n. 7552 del 2014) e sia, dunque, di pertinenza del professionista che l’ha eseguita.
Non sussistendo tali condizioni nel caso di specie, la Corte ha rigettato il ricorso con condanna dello Studio Professionale a rimborsare al Fallimento le spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
NECESSARIA LA PROVA CHE IL RAPPORTO D’OPERA SI SIA INSTAURATO ESCLUSIVAMENTE TRA IL SINGOLO PROFESSIONISTA ED IL CLIENTE
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Cristiano – Rel. Vella | 26.04.2021 | n.10977
NEL GIUDIZIO DI VERIFICAZIONE DEL PASSIVO È PIENAMENTE EFFICACE LA REGOLA DEL GIUDICATO ENDOFALLIMENTARE L. FALL., EX ART. 96
Ordinanza | Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Di Virgilio – Rel. Federico | 17.04.2020 | n.7898
L’ACCERTAMENTO DELLA DEFINITIVITÀ DEVE ESSERE PRONUNZIATO IN DATA ANTERIORE AL FALLIMENTO
Ordinanza | Corte di Cassazione, VI -I sez. civ., Pres. Didone – Rel Vella | 30.10.2020 | n.24157
AMMISSIONE AL PASSIVO: VA RIGETTATA SE IL CREDITO DERIVA DA PRESTAZIONI CONTRARIE AL BUON COSTUME
PER LE IMPRESE IN CRISI IL FINANZIAMENTO PREDATORIO (ARTIFICIOSI ANTICIPI PER FORNITURE) VA ESCLUSO
Ordinanza | Corte di Cassazione, I sez. civ., Pres. Genovese – Rel. Dolmetta | 05.08.2020 | n.16706
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