L’ammissione, in via definitiva, del socio al passivo del fallimento di una società non impedisce l’estensione della procedura fallimentare a quest’ultimo, ex art. 147 L.F., qualora ne venga accertata la qualità di socio occulto illimitatamente responsabile.
La situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice non è idonea, anche qualora la società sia irregolare, a far presumere la qualità di accomandatario, occorrendo, viceversa, accertare di volta in volta, la posizione in concreto assunta dal socio.
Il socio occulto accomandante assume una responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione o di trattare o concludere affari in nome della società.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, sez. prima, Pres. Bernabai – Rel. Terrusi, con la sentenza n. 26944 del 23 dicembre 2016.
Nel caso in esame, il socio occulto illimitatamente responsabile di una società proponeva ricorso per Cassazione, avverso la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Milano, aveva respinto il suo reclamo nei riguardi della declaratoria di fallimento in estensione della società fallita, in ragione della posizione concretamente rivestita all’interno della compagine sociale.
La curatela del fallimento resisteva con controricorso.
La Corte d’Appello di Milano, a sostegno della sua decisione, aveva rilevato che il socio era intervenuto sistematicamente, nel corso degli anni dal 2009 al 2012, con attività di sostegno finanziario in favore della società, mediante operazioni quali pagamento di salari e stipendi dei dipendenti, pagamento di contributi previdenziali, di fornitori, bollette, imposte e rate di mutuo bancario.
Il ricorrente denunciava la nullità della sentenza in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè, per omessa motivazione, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, avendo la Corte d’Appello omesso di valutare e di motivare compiutamente le informazioni assunte dal curatore circa gli atti gestori, essendosi trattato invece di atti meramente esecutivi compiuti in forza di regolare procura.
Al riguardo, la Suprema Corte osservava che la situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice, anche ove irregolare, non è idonea, a far presumere la qualità di accomandatario, essendo all’uopo necessario accertare, di volta in volta, la posizione in concreto assunta dal socio.
Nella specie, tuttavia, il Giudice di legittimità, accertato che il ricorrente aveva posto in essere, attività di amministrazione per conto della società, nei rapporti coi dipendenti, coi fornitori e con le banche e che in tal senso gli era stata conferita apposita procura anche dall’accomandatario, rigettava il motivo di ricorso, in quanto inammissibile, traducendosi in un sindacato di fatto in ordine alle risultanze di causa.
In aggiunta, il ricorrente denunziava la violazione della L.F., art. 96 in relazione agli artt. 147 cit. Legge e art. 1253 c.c., osservando di essere stato ammesso in via definitiva al passivo del fallimento per crediti verso la società.
Secondo la tesi prospettata, infatti, il fallimento del socio occulto, già creditore ammesso in via definitiva al passivo, determinando l’estinzione per confusione tra creditore e debitore, avrebbe comportato l’effetto di eludere la natura esecutiva e immutabile dello stato passivo.
Gli ermellini, tuttavia, osservato che il fallimento dipende dall’accertata veste di socio occulto illimitatamente responsabile di una società insolvente, non potendo essere impedito da una semplice ammissione al passivo, anteriore alla scoperta della qualità di socio, per crediti vantati nei confronti della società, rigettavano il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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