Il D.Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, emanato in attuazione della direttiva 97/67/CE che ha liberalizzato i servizi postali, da un lato, consente alle imprese private che abbiano ottenuto apposita licenza dall’Amministrazione, di svolgere l’attività di fornitore di un servizio postale e, dall’altro, ha previsto che per esigenze di ordine pubblico siano affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale, id est all’organismo che fornisce l’intero servizio postale su tutto il territorio nazionale, soltanto i servizi inerenti le notificazioni o le comunicazioni di atti a mezzo posta, connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni (art. 4, lett. a) D. Lgs. cit.).
Ne consegue che tutti i fornitori di servizi postali autorizzati possono certamente eseguire invii postali, cioè curare la trasmissione della corrispondenza, fatta eccezione per gli atti giudiziari, ma l’eventuale timbro datario apposto sul plico consegnato dal mittente non può valere a rendere certa la data di ricezione, trattandosi qui di una attività d’impresa resa da un soggetto privato, il cui personale dipendente non risulta munito di poteri pubblicistici di certificazione della data di ricezione della corrispondenza trattata.
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. prima, Pres. Rel. Bernabai, con la sentenza n. 26778 del 22.12.2016.
Nel caso di specie, una Compagnia di Assicurazione impugnava il decreto emesso dal Tribunale di Catania, che aveva respinto la sua opposizione allo stato passivo del Fallimento di una società, dal quale era stato escluso un suo ingente credito, vantato in ragione di una polizza fideiussoria sottoscritta dalla società, poi fallita.
La ricorrente, in particolare, denunciava la violazione dell’art. 2704 c.c. e del D. Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto il timbro postale apposto dal gestore di un servizio di posta privata non idoneo a conferire data certa alle missive sulle quali risultava apposto.
La Suprema Corte, preliminarmente, osservava che quando il servizio postale era espletato in via esclusiva dallo Stato tramite sue aziende (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 3 -Codice Postale) e le persone addette ai servizi postali erano considerate pubblici ufficiali, ovvero incaricati di pubblico servizio, secondo le funzioni loro affidate (art. 12 Codice postale), se la scrittura privata non autenticata formava un unico corpo con il foglio sul quale era stato impresso un timbro postale, la data risultante da quest’ultimo doveva ritenersi come data certa della scrittura, perchè la timbratura eseguita in un pubblico ufficio doveva considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento era stato inviato nel medesimo giorno in cui essa era stata eseguita.
Tanto premesso, gli ermellini rilevavano che la disciplina attuale, introdotta dal D. Lgs. 22 luglio 1999, n. 261, emanato in attuazione della direttiva 97/67/CE che ha liberalizzato i servizi postali, da un lato, consente alle imprese private che abbiano ottenuto apposita licenza dall’Amministrazione di svolgere l’attività di “fornitore di un servizio postale” e, dall’altro, ha previsto che per esigenze di ordine pubblico siano affidati in via esclusiva al “fornitore del servizio universale”, all’organismo che fornisce l’intero servizio postale su tutto il territorio nazionale, soltanto i servizi inerenti le notificazioni o le comunicazioni di atti a mezzo posta, connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni (art. 4, lett. a) D. Lgs. cit.).
Ad avviso della Corte, pertanto, tutti i fornitori di servizi postali possono certamente eseguire “invii postali”, cioè curare la trasmissione della corrispondenza, ma non anche degli atti giudiziari; in altri termini, dunque, l’eventuale timbro datario apposto sul plico consegnato dal mittente non può valere a rendere certa la data di ricezione, trattandosi di una attività d’impresa resa da un soggetto privato, il cui personale dipendente non risulta munito dei poteri pubblicistici di certificazione della data di ricezione della corrispondenza, richiesti dalla legge.
Sulla base di quanto esposto, il Giudice di legittimità, esclusa l’idoneità del timbro apposto sull’atto da parte della società postale privata a dimostrare, con certezza, la data di formazione del documento, respingeva il ricorso.
Per altri precedenti si veda:
AMMISSIONE AL PASSIVO: IL CERTIFICATO DI MANCATA OPPOSIZIONE DEL DECRETO INGIUNTIVO È SUFFICIENTE
L’ACCERTAMENTO DEL PASSIVO VA SVOLTO CONIUGANDO RIGORE E OPPORTUNA DUTTILITÀ LOGICA
Tribunale di Nola, sez. prima, Pres. – Rel. Eduardo Savarese | 17.06.2016 | n.796
L’ANTERIORITÀ DEL CONTRATTO È DIMOSTRATA ANCHE DALL’AZIONE DI INEFFICACIA DELLE RIMESSE PROPOSTA DALLA CURATELA
Decreto | Tribunale Salerno, Pres. Russo – Rel. Brancaccio | 18.12.2015 | n.4154
FALLIMENTO: LA MANCANZA DI DATA CERTA DEL CONTRATTO DI C/C NON È MOTIVO SUFFICIENTE PER L’ESCLUSIONE
LA PRODUZIONE DEGLI ESTRATTI CONTO FIN DALL’INIZIO DEL RAPPORTO È IDONEA A CONSENTIRE L’AMMISSIONE AL PASSIVO
Decreto | Tribunale di Pavia, Pres. Rel. Andrea Balba | 12.05.2015 |
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