L’opzione per l’ammortamento alla francese non comporta alcun fenomeno di anatocismo vietato in quanto gli interessi che vanno a comporre la rata da pagare sono calcolati sulla sola quota di capitale; pertanto, a fronte di un capitale preso a prestito all’epoca iniziale, il debitore deve corrispondere rate di importo costante costituite da una quota-interessi decrescente e da una quota-capitale crescente, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato.
Non è corretta la tesi della sommatoria del tasso di mora al tasso convenzionale e neanche sostenere che tale somma vada confrontata con il tasso soglia antiusura previsto per gli interessi convenzionali dalla legge n. 108 del 1996, in quanto qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse di mora non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (art. 1815 cod.civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod.civ.).
Tribunale di Roma, Dott. Giuseppe Russo sentenza n. 19123 dell’11.10.2017.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE: NON È UN METODO DI CALCOLO DI INTERESSI ANATOCISTICO O USURARIO
ECCO LE DIFFERENZE TRA IL PIANO ALLA FRANCESE CON QUELLO ITALIANO
Sentenza | Tribunale di Larino, Dott.ssa Tiziana Di Nino | 18.01.2016 |
AMMORTAMENTO “ALLA FRANCESE”: NON VIOLA IL DIVIETO DI ANATOCISMO EX ART.1283 CC
GLI INTERESSI VENGONO CALCOLATI SULLA SOLO QUOTA DI CAPITALE VIA VIA DECRESCENTE
Sentenza | Tribunale di Modena, dott.ssa Antonella Rimondini | 11.11.2014 | n.2040
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
XVII (già IX) SEZIONE CIVILE
in persona del giudice unico Dott. Giuseppe Russo ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. OMISSIS del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2015, vertente
tra
MUTUATARI
attori
e
BANCA SPA
convenuta
oggetto: mutuo bancario
conclusioni: come in atti e verbali di causa
FATTO E DIRITTO
I sigg.ri MUTUATARI hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma la BANCA SPA.
Premesso di aver stipulato con il BANCA BETA SPA (ora BANCA SPA) in data 25/03/2002 un contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile per l’importo di euro 105.873,00 da restituire in 240 rate mensili, gli attori hanno chiesto: in via preliminare di ordinare alla banca convenuta di effettuare la corretta segnalazione del mutuo in oggetto alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia provvedendo alla cancellazione della eventuale segnalazione a sofferenza; in via principale, di accertare e dichiarare la gratuità del contratto di mutuo ex art. 1815 secondo comma c.c., stante la natura usuraria degli interessi pattuiti ed applicati, con conseguente condanna della banca mutuataria a restituire tutte le somme indebitamente percepite da compensare, eventualmente, con il debito residuo, oltre al risarcimento dei danni – da quantificarsi in via equitativa – patiti dagli attori per la mancata disponibilità delle somme imputate ad interessi usurari.
Si è costituita in giudizio BANCA SPA contestando tutte le domande avversarie e chiedendone il rigetto.
La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti e all’udienza del 23/03/2017 è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.
Le domande proposte dagli attori sono infondate.
E’ pacifica tra le parti, e comunque documentalmente provata, la stipulazione, in data 25/03/2002, del contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile dell’importo di euro 105.873,00 (doc. 1 del fascicolo di parte attrice).
Parte attrice ha inteso affermare il carattere usurario degli interessi pattuiti nel contratto di mutuo sulla base di una nota pronuncia della Suprema Corte (Cass. 9/1/2013 n. 350) interpretata nel senso che quest’ultima avrebbe ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia usurario, si debbano sommare gli interessi moratori a quelli corrispettivi, interpretazione alla quale si ricollega un vasto contenzioso.
Infatti la perizia stragiudiziale depositata in atti dagli attori (cfr. doc. 4), oltre ad analizzare la presunta capitalizzazione occulta insita nel sistema di ammortamento alla francese, si limita ad affermare l’usurarietà del tasso contrattuale sulla base della tesi della sommatoria fra tasso di interesse corrispettivo e tasso moratorio.
Ora, la sentenza n. 350/2013 non contiene alcuna affermazione nel senso della necessità di cumulare il tasso moratorio al tasso corrispettivo, avendo invece semplicemente affermato che sono soggetti al tasso soglia anche gli interessi moratori; in tal senso si è espressa la più recente e maggioritaria giurisprudenza di merito.
In particolare, non è corretta la tesi attrice che l’interesse di mora vada sommato a quello convenzionale e tale somma vada confrontata con il tasso soglia antiusura previsto per gli interessi convenzionali dalla legge n. 108 del 1996. Infatti, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse di mora non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (art. 1815 cod.civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod.civ.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.
Una volta acclarata l’inconsistenza giuridica della tesi della sommatoria tra interessi corrispettivi ed interessi di mora, tornando alla fattispecie in esame, deve escludersi che siano stati pattuiti interessi usurari. Ed infatti nel mutuo stipulato in data 25/03/2002 tanto l’interesse corrispettivo quanto l’interesse di mora pari, al momento della conclusione del contratto, rispettivamente al 4,69% e al 6,69%, singolarmente considerati, non superano il tasso soglia anti-usura del 8,27% rilevato con riferimento all’epoca della stipulazione.
Le contestazioni che fanno riferimento al sistema di ammortamento a rate costanti (c.d. ammortamento alla francese) sono basate sull’assunto, fatto proprio da qualche isolato precedente della giurisprudenza di merito, secondo cui tale sistema, basato sulla restituzione del capitale, unitamente agli interessi, in un numero di rate predefinite e costanti, implicherebbe per sé stesso l’applicazione di interessi anatocistici e l’applicazione di un interesse effettivo superiore al tasso indicato nel contratto.
La tesi di partenza non è condivisibile, perché l’opzione per l’ammortamento alla francese non comporta l’applicazione di interessi anatocistici se gli interessi che vanno a comporre la rata da pagare sono calcolati sulla sola quota di capitale.
Infatti nel caso di ammortamento alla francese come quello previsto nel caso di specie, a fronte di un capitale preso a prestito all’epoca iniziale, il debitore deve corrispondere rate di importo costante costituite da una quota-interessi decrescente e da una quota-capitale crescente.
Ne consegue che anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché non vi è alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello applicato, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti.
Peraltro, il piano di ammortamento alla francese risulta più rispettoso del principio di cui all’art. 1194 c.c., in quanto prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia, sotto il profilo cronologico, l’imputazione ad interessi rispetto a quella al capitale.
Pertanto, allo stato non emerge la pattuizione né tanto meno l’applicazione di interessi contra legem.
La genericità delle allegazioni e la carenza probatoria fin qui evidenziate non possono essere supplite con una consulenza tecnica d’ufficio sollecitata da parte attrice.
Ed infatti è appena il caso di osservare che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso stretto ma rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità ai fini della decisione, nonché l’ambito di estensione. Essa può essere disposta solo per valutare fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione e non può essere funzionale a soddisfare finalità esclusivamente esplorative: essa non può valere a eludere l’onere di allegazione e di prova incombente sulle parti processuali per la dimostrazione dei fatti posti a base delle pretese azionate, specie in un sistema processuale, come è il nostro, caratterizzato da preclusioni istruttorie.
Quindi, alla luce dei principi sopra compendiati, va disattesa la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio che, allo stato degli atti, appare meramente esplorativa e tesa a supplire l’onere di allegazione e della prova gravante sugli attori.
Ne consegue il rigetto della domanda di nullità contrattuale proposta dagli attori e delle conseguenti richieste volte alla rideterminazione del saldo e alla ripetizione di somme di cui non è stata in alcun modo provata la natura indebita.
Una volta esclusa l’usurarietà degli interessi percepiti dalla banca mutuante, va disattesa anche la richiesta risarcitoria avanzata dagli attori, non essendo configurabile alcuna responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta.
Stessa sorte spetta alla domanda finalizzata alla “corretta segnalazione … del presente procedimento in Centrale dei Rischi”, non essendo stata supportata dalla prova documentale di eventuali segnalazioni pregiudizievoli a carico dei due mutuatari e tantomeno della illegittimità di tali segnalazioni.
In conclusione vanno respinte tutte le domande proposte dalla parte attrice.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da MUTUATARI nei confronti di BANCA SPA, ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:
– respinge le domande tutte proposte dagli attori;
– condanna MUTUATARI, in solido tra loro, a rifondere a BANCA SPA le spese di lite liquidate in complessivi euro 7.254,00 per compensi professionali, oltre agli accessori nella misura di legge.
Roma, lì 11/09/2017
Il Giudice
Dott. Giuseppe Russo
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