ISSN 2385-1376
Testo massima
È il punto di partenza di tutti i ragionamenti in tema di anatocismo creditizio che è sbagliato.
Gli interessi pattuiti con e dovuti al finanziatore (banche comprese), finché il capitale non sia esigibile, non sono inclusi negli interessi indennitari di cui parla l’art. 1282 c.c., sui quali poi, in caso di mancato pagamento, non si possono calcolare altri interessi se non nei limiti di cui all’art. 1283.
Sono invece “frutti civili” ossia “corrispettivo del godimento che altri abbia” del capitale ai sensi dell’art. 820, comma 3 che, a titolo esemplificativo (“tali sono”), aggrega in questa categoria, appunto, “gli interessi sui capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni” (con elencazione aperta alle royalties della proprietà intellettuale ecc.).
E sono proprio i crediti per questi interessi che, ove non pagati, “producono interessi di pieno diritto” (interessi indennitari ex art. 1282, comma 1). Infatti, il credito per il rimborso del finanzia-mento non è (ancora) esigibile, mentre il corrispettivo per il godimento del capitale finanziato, quello sì che è esigibile.
Tutti i “frutti civili” dovuti e non pagati producono interessi. Lo prevedevano già l’art. 1155 del codice Napoleone e l’art. 1233 del codice del 1865, che furono collocati subito dopo gli art. 1154 e 1232 (corrispondenti all’odierno art. 1283 c.c.) per chiarire che questi non si applicavano alle “rendite scadute” (che erano frutti civili già allora, insieme agli interessi dei capitali: art. 584 e 444) “come fitti, pigioni” ecc.; e ne è rimasta traccia nel comma 2 dell’art. 1282, che dà per scontata la fruttuosità dei crediti impagati per fitti e pigioni, indiscussa anche per tutti gli altri frutti civili ossia per tutti gli altri “corrispettivi del godimento che altri
abbia” della cosa altrui. Perché allora quel “corrispettivo del godimento”, che l’art. 820, comma 3 chiama “gli interessi dei capitali”, equiparandolo a fitti, pigioni ecc., no?
Non sarebbe potuto accadere se non ci si fosse fischiati della lettera della legge, se la parità di trattamento non si fosse trasformata in ragionevolezza a discrezione della Corte costituzionale ecc.
Resta da vedere se questo “diritto vivente”, che così spesso si sostituisce a quello che non piace, resisterà anche al vaglio della Corte EDU sul divieto di discriminazione nel pacifico godimento dei propri beni tra (per esempio) proprietario immobiliare e proprietario di denaro.
Guardiamo comunque al futuro del “diritto vivente” (o, se si preferisce, della riscrittura della leg-ge che è stata fatta in passato). Ora c’è la terza versione dell’art. 120, comma 2 TUB. Periodicità nell’addebito di interessi non inferiore a 12 mesi, più 2 mesi di esigibilità: la giustificazione secondo cui in tal modo si aumenterebbe la comparabilità dei tassi è ridicola. Perché allora non si procede all’unificazione della periodicità anche dei canoni di locazione e magari, allargandosi, pure di ogni tipo di pane?
Gli interessi non possono produrre interessi: “salvo quelli di mora”, però; e quindi, basta che non siano pagati entro il termine (legittimamente) convenuto (art. 1219, comma 2, n. 3) perché producano interessi; e se si tratta di affidamenti in conto corrente si possono anche capitalizzare, con autorizzazione sempre revocabile.
Non c’era motivo, né era legittimo, insistere su di uno statuto speciale per le banche, lasciando fuori solo occasionali finanziatori. Ma ovviamente questi ultimi non hanno nulla a che fare con le contrapposte lobbies che agiscono in tutte le articolazioni dello Stato e quindi non hanno potuto difendersi altrettanto efficacemente quanto le banche (o almeno quanto queste sperano, oste regolatore e giudiziario permettendo, fino al prossimo intervento legislativo).
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 269/2016