ISSN 2385-1376
Testo massima
A cura dell’Avv. Daniele Peccianti del foro di Siena
Non è infrequente imbattersi, nel mondo sensoriale, in situazioni in cui la realtà fenomenica si nasconde dietro l’apparenza.
Basti pensare all’iride, che sappiamo esistere attorno a noi pur vedendola solo in certe condizioni atmosferiche o attraverso l’utilizzo di strumenti ottici.
Quello dell’anatocismo generato dal conto corrente è un meccanismo che potrebbe dimostrare l’esistenza, anche nel campo giuridico, di situazioni dissociative tra apparenza e realtà.
Vediamo brevemente perché.
L’anatocismo, disciplinato nel nostro codice civile dall’art. 1283, è un fenomeno che si verifica solo allorquando un interesse diviene esigibile: poiché per il nostro sistema ogni debito di denaro liquido ed esigibile produce interessi di pieno diritto (art. 1282 c.c.), anche quello per interessi, se non disciplinato, soggiacerebbe alla medesima regola.
Il nostro legislatore, reputando incongrua la fruttificazione degli interessi scaduti, ha ritenuto opportuno regolamentare il fenomeno, consentendolo solo a certe condizioni, previste e disciplinate appunto nel citato articolo del codice civile.
È chiaro tuttavia, per quanto illustrato, che un problema anatocismo può verificarsi soltanto quando l’interesse scaduto non venga pagato dal debitore perché, in caso contrario, l’estinzione del debito che conseguirebbe al pagamento eviterebbe in radice la sua fruttificazione.
Nessuno pone in dubbio che l’addebito di una rata di un mutuo, di una cambiale o di un effetto sul conto equivalga ad un suo pagamento, anche perché, ragionando diversamente, si vanificherebbe di fatto l’essenza stessa del contratto, facendo cadere in desuetudine il suo utilizzo.
Sappiamo però che la giurisprudenza, sin dal 1999, attraverso un ragionamento riarticolato nel 2010 con un intervento delle Sezioni Unite, è orientata pressoché univocamente a ritenere che l’addebito degli interessi generati dal conto corrente non sostanzia un pagamento, ma costituisce un fenomeno anatocistico.
Con la conseguenza che gli interessi generati da altri rapporti si pagano con l’addebito in conto e, quindi, non capitalizzano – mentre quelli generati dallo stesso rapporto comportano, se ivi addebitati, capitalizzazione.
Sul punto è di recente intervenuto il legislatore che, con un colpo di spugna, ha modificato l’art. 120 TUB, inibendo la capitalizzazione degli interessi, sia creditori che debitori, nel conto corrente.
Tra i commentatori della norma vi è chi sostiene che la stessa, sancendo la fine dell’anatocismo, abbia di fatto comportato l’inesigibilità degli interessi generati dall’apertura di credito, la cui esazione sarebbe quindi posticipata alla revoca dell’affidamento, cioè a un momento nel quale è oggettivamente a rischio lo stesso recupero del capitale (stante le difficoltà finanziarie del cliente che ne motivano di solito la decadenza dal beneficio del termine).
Non solo, ma l’interesse resterebbe di fatto inesigibile in tutte quelle occasioni in cui l’ipotesi della revoca sia di fatto relegata a scenari di catastrofe macro-economica (si pensi per esempio alle aperture di credito concesse alle grandi aziende, magari a partecipazione statale).
Già da un punto di vista logico, pertanto, parrebbe che questa interpretazione sia destinata a non trovare conferma, legata com’è alle stesse sorti dell’accesso al credito e alla notoria contingente difficoltà a reperirlo (a meno che non si consenta alle Banche di elevare le commissioni e le spese fisse connesse all’erogazione).
Anche il diritto e le regole contabili, tuttavia, sembrano confortare questa conclusione.
Si ponga mente, per esempio, alle conseguenze a cui condurrebbe la tesi esaminata.
Ipotizziamo che al momento della contabilizzazione dell’interesse il conto registri momentaneamente un saldo creditore: sappiamo che il quel caso l’addebito dell’interesse sarebbe consentito, non generando anatocismo e avendo d’altronde la giurisprudenza sanzionato di nullità la clausola anatocistica del contratto di conto corrente, non quella che prevede il diritto della Banca o del cliente a vedersi corrisposti gli interessi alla date di regolamento pattuite.
Si assisterebbe, quindi, ad una esigibilità differita a seconda del saldo del conto alla data di regolamento interessi, con buona pace delle regole di equità.
D’altronde, a quanto consta, nelle cause aventi ad oggetto indebiti su conti correnti né i Giudici né i CTU né, tantomeno, i CTP dei correntisti, pongono in discussione la legittimità l’addebito delle competenze, sanzionando soltanto l’effetto anatocistico di detto addebito (1).
Al tempo stesso, se il legislatore si è preoccupato di stabilire (art. 120 comma 2 lett. a)) l’esigenza che alla clientela sia assicurata “la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori“, pare evidente che lo stesso ha inteso assimilare periodicità ad esigibilità, restando la preoccupazione altrimenti superflua ed incomprensibile nei riguardi dell’affidato, perché incidente solo su obblighi di rendicontazione finanziariamente irrilevanti.
Ciò precisato, è interessante esaminare le implicazioni pratiche derivanti dalla lettera b) del secondo comma del novellato art. 120 TUB che vieta, appunto, l’anatocismo a fronte degli interessi periodicamente “capitalizzati” (id est “contabilizzati“).
La novella, come noto, ha demandato al CICR l’individuazione delle modalità operative del divieto, licenziate per ora sotto forma di una proposta di delibera da parte di Bankitalia.
La lettura delle motivazioni che hanno accompagnato detta proposta fornisce la misura della complessità della gestione delle conseguenze del divieto.
Mentre da un lato vi è la consapevolezza che alla scadenza pattuita (che da ora innanzi sarà annuale sia per gli interessi a debito che per quelli a credito) l’interesse è esigibile per la Banca o il correntista (decorsa una proroga di sessanta giorni o altra diversa convenzionalmente pattuita), dall’altro permane l’idea che sia l’addebito lo strumento naturale di estinzione di quella obbligazione.
Infatti, l’articolo 4 quarto comma della proposta non rinuncia alla eventualità che l’interesse, una volta esigibile, divenga capitale mediante l’addebito fruttifero sul conto a condizione però di una specifica autorizzazione del correntista. Si tratta, in pratica, di un meccanismo analogo a quello previsto dal citato articolo 1283 c.c., che consente l’anatocismo sugli interessi scaduti a condizione di accordo tra creditore e debitore successivo alla scadenza, purché però, a differenza di quanto previsto nella proposta Bankitalia, l’interesse sia esigibile da almeno sei mesi.
Per inciso, è da notare che a monte della introduzione di questa disciplina vi è la consapevolezza, esplicitata proprio da Bankitalia nel documento per la consultazione della proposta di delibera, che “il nuovo art. 120 co. 2 intenda vietare la produzione di interessi anatocistici, non consentendo mai la capitalizzazione degli interessi nelle operazioni da esso disciplinate, diversamente da quanto stabilito dal codice civile (art. 1283)“.
A prescindere dal merito della soluzione trovata, accolta con favore da alcuni interpreti e vista con perplessità da altri, sovviene una semplice riflessione.
Se nel conto corrente l’addebito (per gli interessi debitori) o l’accredito (per quelli creditori) è oggi vietato dal legislatore divieto, beninteso, riguardante, per le ragioni sin qui illustrate, l’addebito o l’accredito fruttiferi vi è da chiedersi quale tipo di obiezione potrebbe farsi al correntista depositante allorché, avvertito dalla Banca che sul conto gli sono stati resi disponibili interessi creditori non fruttiferi, lo stesso provveda a prelevarli e riversarli immediatamente.
Mutata la causale del movimento da accredito interessi a versamento contanti il rischio anatocistico verrebbe sterilizzato.
Ma allora vi è da domandarsi perché altrettanto non potrebbe fare la Banca per gli interessi a proprio credito: ciò che è vietato è l’addebito fruttifero dell’interesse sul conto, non il suo pagamento mediante utilizzo della provvista.
Si pensi allora, per esempio, ad un meccanismo in virtù del quale, alla scadenza annuale (quella prevista ora dalla proposta di delibera CICR in luogo di quella trimestrale), l’interesse venga addebitato su un partitario infruttifero e simultaneamente pagato dal correntista mediante una disposizione di giroconto (preventivamente prevista in contratto) a favore del partitario.
Per il cliente, paradossalmente, nulla cambierebbe in termine di oneri (l’addebito per giroconto genererebbe interessi) ma l’anatocismo (addebito fruttifero dell’interesse sul conto) sarebbe evitato (2).
Questo semplice esempio, con l’evidente paradosso che ne deriva, fornisce la misura del fatto che forse dal 1999 ad oggi si è discusso di un problema apparente, sembrando altrimenti privo di plausibile spiegazione il fatto che uno stesso fenomeno sia censurabile o meno a seconda della sua veste formale.
Allo stato resta da vedere se il regolamento CICR di prossima emanazione reggerà al vaglio della giurisprudenza: di certo vi è che il contesto interpretativo non sembra del tutto benevolmente orientato, stando almeno alla lettura dei commenti critici circolati anche in rete a seguito della diffusione del documento di consultazione della proposta da parte di Bankitalia.
Appare altrettanto innegabile però che l’intervento radicale del nuovo art. 120 TUB, al di là della sua compatibilità con le norme Comunitarie (tutta da dimostrare: vedi ordinanza Tribunale Siena Dott. Stefano caramellino 4/8/2015, in questa rivista), potrebbe definitivamente palesare le incongruenze sopra illustrate e rendere evidente che conto corrente e anatocismo sono istituti giuridici incompatibili tra loro.
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Note
1. Basti pensare al caso dell’addebito di interessi intercorso in occasione della prima chiusura periodica successiva all’accensione del conto che, notoriamente, non ha vizi anatocistici e che, infatti, anche nel caso in cui la vertenza abbia ad oggetto un conto corrente aperto alla data della domanda non viene espunto dai CTU in occasione dei ricalcoli finalizzati alla verifica dell’indebito: il che è come dire che quell’interesse viene ritenuto esigibile già dal momento della sua contabilizzazione.
2. Si veda a tal proposito l’approfondito articolo della Dr.ssa Antonella Stilo dal titolo “Dall’art. 120 comma 2 TUB alla proposta di delibera CICR: verso il ritorno dell’anatocismo bancario” pubblicato in “Rivista di Diritto bancario” 10/2015, che intravede nelle stesse maglie della proposta di delibera CICR la possibilità di introduzione di forme di anatocismo “mediato”, o “mimetizzato“. Il problema, come visto, è strettamente connesso a quello della esigibilità dell’interesse periodicamente contabilizzato, ammessa la quale appare oggettivamente eccessivo sanzionare di illegittimità il comportamento della Banca (o, addirittura, del cliente) solo perché comportante effetti contabili analoghi a quelli della capitalizzazione. Del resto, riguardo agli interessi contabilizzati a debito del cliente, l’unico modo per evitare effetti anatocistici “indiretti” o “mediati” sarebbe quello di onerarlo di attingere a fondi propri o, in caso di loro assenza, a finanziamenti di terzi. Infatti, qualsiasi forma di utilizzo della provvista concessa dalla Banca (anche, per assurdo, mediante prelievo in contanti del controvalore dell’interesse, che produrrebbe inevitabilmente interessi al tasso contrattuale) sarebbe passibile di sanzionamento, con conseguenze fortemente penalizzanti sulla operatività bancaria e sullo stesso accesso al credito.
Testo del provvedimento
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