ISSN 2385-1376
Testo massima
La Corte di Appello di Milano, con la sentenza in commento, ha riformato la decisione di primo grado che aveva respinto una domanda di restituzione dell’indebito originato dall’applicazione, nell’ambito di un contratto di conto corrente bancario, della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Il ragionamento della Corte di secondo grado si incardina sulla nullità della clausola anatocistica, per contrasto con il divieto espresso portato dall’art. 1283 c.c., dichiarata a far data dalla sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 21095 del 04.11.2004, e poi ribadita più volte dai pronunciamenti delle Sezioni semplici, nel 2005 e nel 2006.
Riprendendo i profili essenziali del dibattito sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza su natura ed effetti della clausola in esame, il Giudice distingue, in linea con la Cassazione, tra uso normativo ed uso meramente negoziale contra legem, nel cui contesto viene inquadrata la prassi volta all’inserimento della capitalizzazione trimestrale nei contratti bancari.
Poiché la giurisprudenza non può avere funzione creatrice della norma bensì ricognitiva, si sostiene, l’uso invalso nei decenni scorsi nell’ordinamento bancario non può giustificare la validità di clausole in contrasto con norme positive, di tipo imperativo.
In forza dei principi dettati dalla Corte di legittimità e fatti propri dal giudice di merito, sussiste quindi il diritto alla restituzione di quanto indebitamente versato dal correntista in adempimento di una obbligazione in realtà contraria alla legge.
E il diritto in parola non può ritenersi colpito da prescrizione, poiché solo con la chiusura del conto si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti, divenendo certi, liquidi ed esigibili, non essendo qualificabili i singoli atti di accreditamento o versamento in conto corrente come autonomi negozi, ma solo come atti di utilizzazione riferiti ad un unico contratto ad esecuzione ripetuta.
Né il diritto potrà ritenersi colpito da decadenza ai sensi dell’art. 1832 c.c., poiché la mancata contestazione da parte del correntista delle risultanze contabili contenute negli estratti conto rende inoppugnabili gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano, giuridicamente, le partite di conto inserite.
La Corte non ritiene poi valide due argomentazioni suggestive, proposte dalla Banca nelle proprie difese: l’applicazione del principio di buona fede ai rapporti in corso, e l’irripetibilità delle somme, in forza della norma in tema di obbligazioni naturali (art. 2034 c.c.).
Da un lato, non viene ritenuto apprezzabile il richiamo alla buona fede contrattuale, non essendo state mai le clausole in parola sostenute, quanto a validità ed efficacia, da una opinio iuris ac necessitatis effettiva da parte della clientela, la quale, piuttosto aveva subito, nel tempo, le decisioni del sistema bancario.
D’altro lato, e per le stesse ragioni, il giudice dell’impugnazione non ha ravvisato né la spontaneità dei pagamenti eseguiti, né l’esecuzione di doveri morali o sociali ai sensi dell’art. 2034 c.c., “per la cui identificazione ci si deve riferire alle concezioni correnti e alla morale media della collettività”.
Non privo di interesse l’iter argomentativo sviluppato in punto di onere della prova, nella sentenza in commento.
Posto che la sentenza di primo grado aveva accertato l’inadempimento di parte attrice al proprio onere della prova ex art. 2697 c.c., la Corte analizza nel merito il contenuto della documentazione in atti, proveniente dall’Istituto Bancario convenuto, e vi scorge molteplici elementi di natura confessoria ai sensi dell’art. 2730 c.c..
Pronunciandosi poi sull’eccezione per cui l’attrice non aveva provveduto al deposito dell’originario contratto da cui la propria pretesa, in definitiva, traeva origine, la Corte definiva il limite temporale decennale (ex art. 2220 c.c.) applicabile alla conservazione della documentazione contabile assolutamente inapplicabile al caso del contratto di c/c, costituente prova scritta richiesta ad substantiam a pena di nullità dell’intero rapporto bancario, ai sensi dell’art. 117 del T.u.b..
Non reggono al vaglio della Corte neppure i due argomenti che da ultimo vengono trattati in sentenza.
In primo luogo, la nota Delibera CICR del 09.02.2000, con la quale, a fronte della riforma dell’art. 120 del T.u.b., in sede regolamentare è stata introdotta la possibilità, per i contratti stipulati successivamente alla sua entrata in vigore, di concordare la capitalizzazione con identica periodicità per gli interessi attivi e passivi.
Poiché il contratto di c/c sub iudice era in corso al momento dell’entrata in vigore della Delibera, eventuali modificazioni pattuite dalle parti in senso peggiorativo per il cliente avrebbero dovuto essere espressamente approvate da quest’ultimo, il che, nota il Giudice, nel caso di specie non è stato.
In assenza di approvazione scritta, e stante la sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000 (declaratoria di incostituzionalità dell’art. 25 comma 3 del Dlgs. n. 342/99, norma primaria e presupposto dell’art. 7 della stessa Delibera CICR), la modifica alle condizioni contrattuali introdotta dalla Banca ex post “risulta priva di qualsivoglia effetto obbligatorio”.
In secondo luogo, viene respinto il tentativo, estremo, di dare applicazione ad una pretesa clausola di capitalizzazione annuale, in sostituzione del patto illecito dichiarato nullo.
La Corte chiarisce bene come non possa configurarsi nel nostro Ordinamento, nel caso di specie, (e, precisiamo, al di là dei diversi meccanismi di cui agli artt. 1339 e 1419 comma secondo c.c.) una forma di sostituzione automatica della clausola dichiarata nulla, con altra recante capitalizzazione con diversa periodicità.
Il Giudice di appello, sulla scorta di solidi precedenti giurisprudenziali e con argomentazioni condivisibili nel solco dei più recenti indirizzi di legittimità, accoglie dunque la domanda dell’attrice, condannando l’Istituto alle restituzioni sulla base della perizia contabile di parte, ritenuta non contestata e pertanto non bisognosa di altre conferme peritali, essendosi la Banca difesa soltanto in diritto, senza nulla dedurre sull’elaborato contabile in atti.
Testo del provvedimento
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 170/2012