ISSN 2385-1376
Testo massima
Con il termine “antiriciclaggio” si intende l’azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro, beni od altre utilità.
Riciclare vuol dire, per l’appunto, investire capitali illecitamente ottenuti. In questo modo, i beni che sono frutto di reato (si pensi, ad esempio, ai profitti derivanti dal traffico di stupefacenti o dall’evasione fiscale), sono ripuliti e reimmessi nei circuiti economici e finanziari legali.
Nell’ordinamento italiano, il riciclaggio è un reato previsto dall’art. 648 bis del codice penale, introdotto dall’art. 3 del D.L. 59/1978 n. 59 e poi sostituito, prima, dall’art. 23 della L. 55/1990, successivamente dall’art. 4 della L. 328/1993 e, da ultimo, dall’art. 3 della L. 186/2014, per effetto del quale “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da 5.000 ad euro 25.000. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a 5 anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648“.
Presupposto necessario del reato di riciclaggio, analogamente a quanto avviene per il reato di ricettazione previsto dal precedente art. 648 c.p., è l’anteriore commissione di un altro fatto delittuoso. Il reato presupposto è, dunque, condicio sine qua non ai fini della configurabilità del reato principale: la sua commissione è elemento strutturale del reato principale, ossia un vero e proprio requisito oggettivo necessario per integrare detta fattispecie.
Il testo del 1978 individuava quali reati presupposti del riciclaggio esclusivamente la rapina aggravata, l’estorsione aggravata ed il sequestro di persona a scopo di estorsione, elenco successivamente ampliato. Invero, in origine, il nomen iuris della fattispecie era quello di “sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione“. Solo in seguito, il numero dei reati presupposti è stato ampliato a tutti i delitti non colposi.
Ebbene, vertendo sui delitti di sola natura dolosa, l’art. 648 bis persegue unicamente le condotte che siano idonee ad impedire l’identificazione della provenienza del bene. Si pone, però, il problema se possa considerarsi ammissibile il così detto “riciclaggio indiretto“, che si verifica quando i beni siano stati oggetto di una precedente ricettazione o di altra operazione di riciclaggio. La tesi maggioritaria sposa un’interpretazione ampia della nozione di “provenienza“, abbracciando pertanto la soluzione positiva.
L’ordinamento italiano, coerentemente con gli standard internazionali e le direttive europee, ha dato vita ad una cornice legislativa oggi rappresentata dal D. Lgs. 21 novembre 2007 n. 231, che riordina le fonti previgenti.
Tale provvedimento ha adottato una nozione di riciclaggio che comprende anche l’attività di “autoriciclaggio“, considerata per lungo tempo come un post factum di per sé non punibile in ossequio ai principi del ne bis in idem (l’autore del reato non poteva essere punito per la condotta successiva riguardante il provento del reato, perché considerata conseguenza inevitabile dell’illecito commesso), e del nemo tenetur se detegere (poiché, altrimenti, si costringevano gli agenti ad autodenunciarsi per il reato presupposto). In data 4 dicembre 2014 il Senato della Repubblica ha, dunque, approvato il disegno di legge in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero, nonché in materia di autoriciclaggio, con il quale è stata attribuita rilevanza penale ai fatti disciplinati dal nuovo art. 648 ter .1 del Codice Penale.
Testo del provvedimento
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