ISSN 2385-1376
Testo massima
ANTIRICICLAGGIO ED ISTITUTI A CONFRONTO: CURATELA SPECIALE, FONDO PATRIMONIALE E TRUST FAMILIARE
Pillola informativa: contributo n. 13
Per quanto riguarda i diritti patrimoniali dei minori, il nostro ordinamento contempla un istituto con funzione analoga al trust, che, tuttavia, ha avuto scarsissima applicazione negoziale: trattasi del curatore speciale. In base all’art. 356 del Codice Civile, il donante od il testatore possono affidare l’amministrazione dei beni donati o lasciati per testamento ad un minore soggetto alla potestà dei genitori. Il disponente può, da un lato, investire il curatore di poteri vastissimi, fino all’attività di straordinaria amministrazione senza alcun controllo giudiziario, privando completamente i genitori stessi dei loro consueti poteri d’amministrazione; dall’altro, può escludere l’applicazione di tutte quelle norme che richiedono l’autorizzazione del Giudice tutelare o del Tribunale. In questo modo, il bene donato od oggetto di lascito testamentario rimane segregato come se fosse in trust. Le differenze fra i due istituti non sono di poco conto: 1. nel trust i beni non vengono trasferiti direttamente al minore, ma al trustee; 2. nel trust il potere del trustee non incontra il limite della minore età del beneficiario: il trustee continua ad esercitare il suo potere anche dopo che il beneficiario ha raggiunto la maggiore età; 3. nella curatela speciale la morte del beneficato produce necessariamente un fenomeno di successione, mentre nel caso del trust potranno essere indicati beneficiari successivi.
Per regolare i propri rapporti, i coniugi possono scegliere di ricorrere al fondo patrimoniale, ovvero al trasferimento da parte di uno solo di essi o di entrambi di determinati beni ad un fondo, per soddisfare i bisogni della famiglia ex artt. 167-171 del Codice Civile. La costituzione avviene con atto pubblico e l’amministrazione del fondo è in comunione legale nel rispetto dei vincoli preposti. Le uguaglianze fra il trust ed il fondo attengono all’effetto segregativo tipico di entrambi, alla tipologia dell’istituto (trattasi di negozi giuridici unilaterali) ed all’oggetto (ovvero non i beni, ma il vincolo di destinazione sui diritti). Le differenze, invece, toccano diversi aspetti: 1. i soggetti del trust non sono necessariamente coniugi fra loro; 2. il trust è possibile anche per beni per i quali non è prevista pubblicità; 3. la durata del trust non è limitata al matrimonio od all’età dei figli; 4. la segregazione tipica del trust può avere come scopo anche bisogni diversi da quelli familiari; 5. per il trust vi sono minori oneri di forma e pubblicità e vi è una maggiore flessibilità amministrativa.
Il ricorso al trust può avvenire anche in un contesto familiare, ovvero nei casi di: a. separazione personale consensuale o divorzio a domanda congiunta: sono le parti stesse a determinare le condizioni della separazione o del divorzio, stabilendo, tra l’altro, la costituzione di un trust. Il tribunale omologherà, dunque, l’accordo di separazione o riporterà le condizioni nella sentenza di divorzio; b. convivenza more uxorio: si ipotizzi il caso in cui Tizio, separato da Mevia, voglia provvedere alle necessità economiche della compagna Caia. L’istituto del trust è sicuramente da preferire rispetto alla donazione, all’usufrutto ed al legato testamentario, anche in considerazione delle disposizioni a tutela dei legittimari e delle quote di riserva loro spettanti. Nel così detto “trust di famiglia”, ovvero quello a favore di soggetti “deboli”, di rilevante importanza è il dettato dell’art. 320 del Codice Civile, così come sostituito dall’art. 143 della Legge 19 maggio 1975 n. 151: “i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell’art. 316. I genitori non possono alienare, ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni, procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni ultranovennali o compiere altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare. I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l’impiego. L’esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l’autorizzazione del Tribunale su parere del Giudice tutelare. Questi può consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa, fino a quando il Tribunale abbia deliberato sulla istanza. Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa potestà, o tra essi ed i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la potestà, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all’altro genitore”.
Come affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7546/2003, in tema di amministrazione ex art. 320 del Codice Civile, vanno considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1. siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio in questione; 2. abbiano un valore economico non particolarmente elevato in senso assoluto e soprattutto in relazione al valore totale del patrimonio medesimo; 3. comportino un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio predetto. Vanno, invece, considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino queste tre caratteristiche. In questo contesto, il ruolo del Giudice non si limita a dare soluzione ad una controversia, ma interviene nella stessa fase di formazione del trust, per concedere le autorizzazioni e compiere le verifiche di volta in volta previste dalla legge per la validità e l’efficacia degli atti di (straordinaria) amministrazione compiuti dai legale rappresentanti di minori, interdetti, incapaci e beneficiari di un’amministrazione di sostegno. E’ evidente, infatti, che ogni volta in cui si voglia conferire in trust beni di un soggetto (totalmente o parzialmente) incapace di disporre dei propri diritti, sarà doveroso ottenere l’autorizzazione del giudice competente. In rilievo verranno tanto il citato art. 320, quanto gli artt. 374 e 375 del Codice Civile in merito ai tutori di minori. In base all’art. 374, il tutore non può compiere un’articolata serie di operazioni senza l’autorizzazione del giudice tutelare, tra cui acquistare beni, riscuotere capitali, assumere obbligazioni, accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni. Ai sensi dell’art. 375, invece, è richiesta l’autorizzazione del tribunale (previo parere del giudice tutelare) per alienare beni e fare compromessi e transazioni od accettare concordati. Come precisa M. A. Lupoi, fra i maggiori esperti in materia di trust, “sussistono viceversa dubbi, alla luce del disposto dell’art. 15 della convenzione dell’Aja, se le autorizzazioni – di cui agli artt. 320, 374 del Codice Civile e 747 del Codice di Procedura Civile – siano richieste anche per gli atti di disposizione del trustee che siano idonei ad incidere sulle posizioni beneficiarie di soggetti interdetti o beneficiari di un’amministrazione di sostegno. Al riguardo, alcuni ritengono che, qualora il trustee sia il genitore di un beneficiario minorenne, l’atto istitutivo possa contenere una clausola di esonero dalla necessità di tali autorizzazioni, in applicazione analogica delle norme sul fondo patrimoniale (artt. 167 ss. ovvero dell’art. 356 del Codice Civile), alla cui stregua chi fa una donazione o dispone con testamento a favore di un minore, anche se questi è soggetto alla genitoriale potestà, può nominargli un curatore speciale per l’amministrazione dei beni donati o lasciati, prevedendo che tale curatore non sia tenuto ad osservare le forme stabilite dagli artt. 374 e 375 per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Il trust a protezione di incapaci, d’altro canto, ai sensi dell’art. 15 della convenzione dell’Aja, può contenere una clausola destinata ad esonerare il trustee dalla richiesta delle autorizzazioni giudiziali per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione su beni del fondo. Tali autorizzazioni servirebbero solo per la straordinaria amministrazione dei diritti del beneficiario incapace, aventi fonte nel trust”.
Con riferimento al trust familiare occorre prendere nota dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 20254/2012, che ha accolto il ricorso di un contribuente cui era stata contestata un’elusione fiscale per aver costituito un trust su un immobile di famiglia: “il trust costituito per ragioni familiari non è elusione fiscale. Infatti, è contestabile dal fisco solo nel caso in cui l’unico scopo della sua creazione sia l’indebito risparmio di imposta”. La Corte di Cassazione ha, dunque, sancito che l’abuso del diritto si verifica in presenza di concorso dei seguenti due fattori: il contribuente deve aver conseguito una “vantaggiosa ricaduta fiscale dal suo operato” ed occorre che “tale vantaggio fiscale costituisca la ragione determinante dell’operazione, cioè che non concorrano ragioni e giustificazioni economico-sociali di altra natura, od almeno che esse siano di minimo rilievo. Di guisa, che si possa affermare che l’operazione è stata determinata da considerazioni fiscali”.
In tema di antiriciclaggio, è fondamentale analizzare l’istituto del trust tanto sotto un profilo soggettivo, quanto sotto quello oggettivo. Nel primo caso, è opportuno rilevare eventuali situazioni di difficoltà economica o di prossima insolvenza dei soggetti coinvolti, accertare se vi siano state indagini bancarie o della magistratura sui medesimi, nonché valutare la coerenza o meno del profilo dei clienti con la complessiva finalità del trust. Occorre, altresì, stimare la mancata collaborazione o reticenza del trustee nel fornire la documentazione richiesta, con conseguente ostacolo nell’individuazione del titolare effettivo. Particolare attenzione va, poi, riservata a quei casi in cui ci sia coincidenza tra disponente e trustee (così detto “trust autodichiarato”) o laddove ci sia fra i beneficiari lo stesso disponente. Infine, non può non tenersi conto del rilascio da parte del trustee di deleghe ad operare, specie se a favore del disponente. Da un punto di vista oggettivo, invece, merita rilievo il fatto che l’atto istitutivo di trust sia stato modificato nel breve periodo o che la sua istituzione sia avvenuta in paesi o territori a rischio (rif. art. 73 comma 3 del D.P.R. 917/1986). Occorre, successivamente, considerare la presenza di particolari clausole (es. l’attività del trustee è subordinata sistematicamente al consenso delle altre parti, specie se vi sono rapporti di parentela; l’ingiustificato e continuo utilizzo da parte del disponente dei beni conferiti in trust; la consistenza o la natura dei beni è incoerente con le finalità dell’istituto; la dazione al guardiano – a titolo di remunerazione per l’incarico svolto – di cespiti oggetto del trust).
Testo del provvedimento
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