La finalità di controllo dei movimenti di denaro in contanti al di sopra di un dato importo viene perseguita dalla legislazione di cui in discorso con una disciplina avente carattere general-preventivo, posta al fine di predisporre una difesa avanzata in relazione a rilevanti movimentazioni in contanti, le quali, per la spiccata attitudine ad eludere la tracciabilità dei passaggi, si prestano ad una vasta congerie di finalità illecite, senza che rilevi la circostanza che, in concreto, il fine perseguito non sia risultato illecito, potendo, per contro, costituire la illiceità del fine motivo d’ulteriori rimproveri, a seconda dei casi, di natura amministrativa, tributaria o penale.
Questo è quanto espresso nell’ordinanza n. 10147 della Corte di Cassazione, Sezione Civile VI-2, del 18 gennaio 2018, pubblicata il 26 aprile 2018.
La fattispecie in oggetto verte il trasferimento di denaro contante da un soggetto ad un altro, oltre il limite consentito, in violazione di quanto vigente all’epoca dei fatti, ossia dell’articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 143/1991, convertito poi nella legge n. 197/1991. Le fasi che l’hanno composta sono sostanzialmente tre, come i suoi protagonisti:
1. Tizio preleva dal suo conto corrente, in più tranche, oltre un miliardo di Lire e consegna l’importo in contanti a Caio;
2. Caio versa tali somme sul proprio conto corrente ed emette assegni circolari non trasferibili, di pari ammontare, in favore di Sempronia;
3. Sempronia incassa tali assegni, in quanto parte venditrice della compravendita di un immobile con Tizio, parte acquirente.
In giudizio, Tizio ricorre contro la sentenza della Corte di Appello di Firenze, depositata il primo agosto 2016, con cui viene rigettata l’impugnazione proposta da Tizio e da Caio avverso la sentenza del Tribunale di Firenze, il quale aveva, a suo tempo, respinto l’opposizione avanzata dagli stessi contro le ingiunzioni del M.E.F. (Ministero dell’Economia e delle Finanze) a loro discapito.
Secondo Tizio, che afferma la violazione o falsa applicazione del predetto articolo 1, comma 1, del decreto legge n. 143/1991, i Giudici di secondo grado avevano errato nella ricostruzione dei fatti, dovendosi invece escludere il doloso fine di dar luogo ad una operazione di riciclaggio. Di tutt’altro avviso è, tuttavia, la Corte di Cassazione, la quale rigetta il ricorso e condanna Tizio al pagamento, in favore del M.E.F. controricorrente, delle spese di giudizio, in considerazione del fatto che “la finalità di controllo dei movimenti di denaro in contanti al di sopra di un dato importo viene perseguita dalla legislazione di cui in discorso con una disciplina avente carattere general-preventivo, posta al fine di predisporre una difesa avanzata in relazione a rilevanti movimentazioni in contanti, le quali, per la spiccata attitudine ad eludere la tracciabilità dei passaggi, si prestano ad una vasta congerie di finalità illecite, senza che rilevi la circostanza che, in concreto, il fine perseguito non sia risultato illecito, potendo, per contro, costituire la illiceità del fine motivo d’ulteriori rimproveri, a seconda dei casi, di natura amministrativa, tributaria o penale”.
Il quadro normativo di riferimento è mutato nel tempo: le disposizioni attualmente vigenti sono state introdotte dalla legge n. 208/2015, secondo cui, a partire dal primo gennaio 2016, la soglia limite per il trasferimento di contante o titoli al portatore, senza il ricorso ad intermediari abilitati, è pari a 2.999,99 euro. È, dunque, vietato il trasferimento di denaro contante o di altri titoli al portatore, tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento sia complessivamente pari o superiore a 3.000 euro: ciò sia nel caso di un’unica operazione, sia nel caso di più pagamenti inferiori alla soglia limite che appaiano artificiosamente frazionati[1]. La Banca, nel caso in cui abbia notizia di infrazioni a tale obbligo, deve effettuare una comunicazione al M.E.F.[2]. Per le operazioni effettuate in violazione del divieto, i trasgressori sono passibili di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 50.000 euro; se la violazione avviene per importi superiori a 250.000 euro, la sanzione è quintuplicata nel minimo e nel massimo edittali[3].
NOTE
[1] Articolo 49, comma 1, decreto legislativo n. 231/2007 “Limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore” – in vigore dal 4 luglio 2017 a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 90/2017: “É vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche, quando il valore oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore a 3.000 euro. Il trasferimento superiore al predetto limite, quale che ne sia la causa o il titolo, è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati e può essere eseguito esclusivamente per il tramite di banche, Poste italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento, questi ultimi quando prestano servizi di pagamento diversi da quelli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11. Il trasferimento effettuato per il tramite degli intermediari bancari e finanziari avviene mediante disposizione accettata per iscritto dagli stessi, previa consegna ai medesimi intermediari della somma in contanti. A decorrere dal terzo giorno lavorativo successivo a quello dell’accettazione, il beneficiario ha diritto di ottenere il pagamento nella provincia del proprio domicilio. La comunicazione da parte del debitore al creditore della predetta accettazione produce gli effetti di cui all’articolo 1277, primo comma, del codice civile e, nei casi di mora del creditore, gli effetti di cui all’articolo 1210 del medesimo codice”.
[2] Articolo 51, comma 1, decreto legislativo n. 231/2007 “Obbligo di comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze delle infrazioni di cui al presente Titolo” – in vigore dal 4 luglio 2017 a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 90/2017: “I soggetti obbligati che nell’esercizio delle proprie funzioni o nell’espletamento della propria attività hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7 e 12, e all’articolo 50 ne riferiscono entro trenta giorni al Ministero dell’economia e delle finanze per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e per la immediata comunicazione della infrazione anche alla Guardia di finanza la quale, ove ravvisi l’utilizzabilità di elementi ai fini dell’attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all’Agenzia delle entrate. La medesima comunicazione è dovuta dai componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza, del comitato per il controllo sulla gestione presso i soggetti obbligati, quando riscontrano la violazione delle suddette disposizioni nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo e vigilanza”.
[3] Come previsto rispettivamente dai commi 1 e 6 dell’articolo 63 del decreto legislativo n. 231/2007 “Inosservanza delle disposizioni di cui al Titolo III” – in vigore dal 4 luglio 2017 a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 90/2017.
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