Provvedimento segnalato da Donato Giovenzana – Legale d’impresa
(…) Essendo evidente che a fronte di una norma chiaramente volta ad optare per l’applicazione del principio dell’applicazione dello ius superveniens più favorevole al trasgressore, la ratio legis è evidentemente improntata all’introduzione di norme destinate ad operare anche per il passato, sebbene nei limiti segnati dal principio del favor rei.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. seconda, Pres. Petitti, Rel. Criscuolo, nella sentenza n. 20647 del 9 maggio 2018, pubblicata in data 8 agosto 2018.
Nel caso di specie, Tizia propone ricorso contro la sentenza della Corte di Appello di Milano, con la quale era stata confermata la condanna in primo grado: nei suoi confronti, in solido con la Società fiduciaria appartenente ad un Gruppo bancario, era stato ingiunto dal MEF-Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento di una sanzione amministrativa pari a 6.711.183 euro, in quanto la stessa era stata ritenuta responsabile, unitamente ai Presidenti del Consiglio di amministrazione ed all’altro Amministratore delegato della Società, dell’illecito di cui all’articolo 3 della Lg. 197/1991 (1), in materia di segnalazioni di operazioni sospette. L’articolo 3 prevede un duplice obbligo di segnalazione, parimenti sanzionato: il primo livello è rappresentato dal responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo, il quale è tenuto ad effettuare la predetta segnalazione al titolare dell’attività, al legale rappresentante o ad un suo delegato, di ogni operazione che possa far ritenere la provenienza illecita delle sostanze coinvolte; il secondo livello è, invece, rappresentato dal titolare dell’attività, il quale valuta se trasmettere o meno la segnalazione all’UIC-Ufficio Italiano Cambi (oggi, UIF-Unità di informazione finanziaria per l’Italia).
I Giudici di secondo grado avevano esaminato parimenti tutti i mandati fiduciari sottoscritti, riscontrando sia la presenza, per ognuno, di operazioni anomale e sospette, sia il fatto che molte delle operazioni erano state rilevate come affette da anomalia, già dalla Società di revisione chiamata dalla Capogruppo ad effettuare controlli, e che, nonostante ciò, Tizia avesse continuato a ribadire l’irrilevanza di tali anomalie. Si sostiene, quindi, che di fronte a numerose anomalie formali Tizia avesse l’onere procedere alle dovute segnalazioni, senza dover invece indagare sulla precisa qualificazione del delitto – reato tributario o meno – a monte della sospetta attività di riciclaggio (leggasi Cass. sent. n. 9089/2007 e Cass. sent. n. 8699/2007). Difatti, l’illecito contestato dalla Corte di Appello è un illecito di pericolo, finalizzato a reprimere quelle condotte che per caratteristiche, entità, natura o per qualsivoglia altra circostanza inducano a ritenere la possibile provenienza del denaro, beni o utilità oggetto delle operazioni, come provenienti da taluno dei reati contemplati dagli articoli 648 bis (2) e 648 ter (3) del codice penale. Lo scopo, cui tende la normativa in esame, è quello di contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenendo l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio (leggasi Cass. Sent. n. 6647/2007). Inoltre, sempre i Giudici di secondo grado hanno ritenuto, considerate la struttura così esigua della Società fiduciaria e la mancanza di un soggetto qualificato come Responsabile antiriciclaggio, di poter valutare corretta l’attribuzione alla stessa Tizia della qualifica di responsabile di primo livello e, di qui, la relativa condanna. Quanto, infine, all’entità della sanzione irrogata, la sentenza della Corte di Appello rileva che “era corretta la sua determinazione nella percentuale del 25 per cento dell’importo delle operazioni sospette non segnalate, trattandosi di una commisurazione rispettosa dei limiti edittali, e che appariva congrua alla luce del numero e del valore delle operazioni sospette, del ruolo di rilievo dell’opponente, ed infine del suo comportamento, atteso che, benché fosse stata notiziata dapprima nel 2005 dall’Audit interno del Gruppo e poi nel 2006 dal rapporto della Società di revisione del carattere anomalo delle operazioni, non aveva effettuato alcun accertamento o segnalazione”.
Gli Ermellini, chiamati a pronunciarsi, rigettano tutti i motivi del ricorso, ad eccezione di quello sulla concreta determinazione della sanzione irrogata, e rinviano ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per la sua rideterminazione.
Infatti, la Corte di Cassazione rileva che, nelle more del presente giudizio, è intervenuto il D.Lgs. 90/2017, il cui articolo 5 ha riscritto l’articolo 58 del D.Lgs. 231/2007 (4). L’articolo 69 dello stesso D.Lgs. 90/2017, in materia di successione di leggi nel tempo, recita come segue: “Nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole, ivi compresa l’applicabilità dell’istituto del pagamento in misura ridotta”. Deve essere pertanto affermato, anche nella fattispecie in oggetto, il principio dell’immediata applicabilità dello ius superveniens più favorevole alla ricorrente: “nel caso in esame, facendo applicazione della previsione sanzionatoria di cui alla L. n. 197 del 1991, art. 5 (e sul presupposto dell’inapplicabilità della successiva disposizione di cui al D.Lgs. n. 231 del 2004, art. 57, comma 4) la sanzione era stata irrogata nella somma di euro 6.711.183,00, pari al 25 per cento dell’ammontare delle operazioni sospette non segnalate, laddove parte ricorrente deduce che a seguito della novella del 2017 la sanzione pecuniaria applicabile oscillerebbe da un minimo edittale di euro 3.000,00 (ai sensi del primo comma dell’art. 58), sino ad un massimo di euro 300.000,00, per le ipotesi di violazioni gravi, ripetute e sistematiche, ove ricondotta la condotta sanzionata all’ipotesi di cui all’art. 58, comma 2 dovendosi però ai fini della graduazione della sanzione tenere conto anche dei criteri di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 67”. Tizia aveva, altresì, fatto presente ai Giudici della Corte di Cassazione tanto le sue precarie condizioni economiche, quanto la circostanza di non aver tratto alcun vantaggio dalle operazioni non segnalate, nonché l’assenza di pregiudizio per i terzi e la carenza di altre precedenti violazioni a suo carico. Gli Ermellini non hanno condiviso la tesi della difesa (MEF) che, pur prendendo atto del fatto che il predetto articolo 69 è espressivo del principio del favor rei, propone tuttavia una lettura restrittiva della norma, assumendo che la retroattività della norma sanzionatoria più favorevole sia condizionata alla mancata conclusione del procedimento sanzionatorio: “ne deriverebbe che nel caso di specie, poiché alla data di entrata in vigore dell’articolo 69, la sanzione era stata già irrogata, ancorché il provvedimento sanzionatorio non fosse ancora definitivo, stante l’opposizione del trasgressore, non sarebbe possibile invocare la norma di maggior favore introdotta parimenti nel 2017”. Secondo gli Ermellini, la tesi del Ministero non può ritenersi validamente supportata né dal richiamo alle preleggi, né dal richiamo alle previsioni di cui al D.Lgs. 472/1997 ed al D.P.R. 148/1988, “che pur hanno già introdotto l’applicazione del principio del favor rei alle sanzioni amministrative di diritto tributario ed in materia valutaria, atteso che entrambe le previsioni, deponendo in tal senso a favore dell’immediata applicabilità della novella anche nel procedimento in esame, prevedono che l’unico limite alla regola del favor rei è rappresentato dal fatto che il provvedimento sanzionatorio abbia acquisito il carattere della definitività, carattere che evidentemente presuppone anche che sia esaurita l’eventuale fase di impugnazione in sede giurisdizionale”. Definitività che qui, invece, non è ancora stata realizzata.
NOTE
(1) Art. 3, Lg. 197/1991 – Segnalazioni di operazioni: 1. Il responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo di uno dei soggetti di cui all’art. 4, indipendentemente dall’abilitazione ad effettuare le operazioni di trasferimento di cui all’art. 1, ha l’obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli artt. 648- bis e 648- ter c.p.. Tra le caratteristiche di cui al periodo precedente è compresa, in particolare, l’effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall’attività svolta da parte della medesima persona, ovvero, ove se ne abbia conoscenza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa o comunque da parte di interposta persona. 2. Il titolare dell’attività, il legale rappresentante o un suo delegato esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall’archivio di cui all’art. 2, comma 1, le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, anche in via informatica e telematica, all’Ufficio italiano dei cambi senza alcuna indicazione dei nominativi dei segnalanti.
(2) Art. 648 bis, Codice penale – Riciclaggio: 1. Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da 5.000 a euro 25.000. 2. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. 3. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. 4. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
(3) Art. 648 ter, Codice penale – Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita: 1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro. 2. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. 3. La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 648. 4. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
(4) Art. 58, D.Lgs. 231/2007 – Inosservanza delle disposizioni relative all’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette: 1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro. 2. Salvo che il fatto costituisca reato e salvo quanto previsto dall’art. 62, commi 1 e 5, nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 euro a 300.000 euro. La gravità della violazione è determinata anche tenuto conto: a) dell’intensità e del grado dell’elemento soggettivo, anche avuto riguardo all’ascrivibilità, in tutto o in parte, della violazione alla carenza, all’incompletezza o alla non adeguata diffusione di prassi operative e procedure di controllo interno; b) del grado di collaborazione con le autorità di cui all’art. 21, comma 2, lett. a); c) della rilevanza ed evidenza dei motivi del sospetto, anche avuto riguardo al valore dell’operazione e al grado della sua incoerenza rispetto alle caratteristiche del cliente e del relativo rapporto; d) della reiterazione e diffusione dei comportamenti, anche in relazione alle dimensioni, alla complessità organizzativa e all’operatività del soggetto obbligato. 3. La medesima sanzione di cui ai commi 1 e 2 si applica al personale dei soggetti obbligati di cui all’art. 3, comma 2 e all’art. 3, comma 3, lett. a), tenuto alla comunicazione o alla segnalazione, ai sensi dell’art. 36, commi 2 e 6 e responsabile, in via esclusiva o concorrente con l’ente presso cui operano, dell’omessa segnalazione di operazione sospetta. 4. Nel caso in cui le violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime producono un vantaggio economico, l’importo massimo della sanzione di cui al comma 2: a) è elevato fino al doppio dell’ammontare del vantaggio medesimo, qualora detto vantaggio sia determinato o determinabile e, comunque, non sia inferiore a 450.000 euro; b) è elevato fino ad un milione di Euro, qualora il predetto vantaggio non sia determinato o determinabile. 5. Ai soggetti obbligati che, con una o più azioni od omissioni, commettono, anche in tempi diversi, una o più violazioni della stessa o di diverse norme previste dal presente decreto in materia di adeguata verifica della clientela e di conservazione da cui derivi, come conseguenza immediata e diretta, l’inosservanza dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta, si applicano unicamente le sanzioni previste dal presente articolo. 6. Ai soggetti obbligati che omettono di dare esecuzione al provvedimento di sospensione dell’operazione sospetta, disposto dalla UIF ai sensi dell’art. 6, comma 4, lett. c), si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro.
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