Integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni consapevolmente volte ad impedire in modo definitivo, od anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità: tra di esse rientra la condotta di chi deposita in banca denaro di provenienza illecita poiché, stante la natura fungibile del bene, in tal modo esso viene automaticamente sostituito con “denaro pulito”.
Questo è il principio di diritto espresso dalla sentenza n. 52549 del 20 ottobre 2017 della Corte di Cassazione – Seconda Sezione Penale, Pres. Fiandanesi – Rel. Beltrani pubblicata in data 17 novembre 2017.
In questa occasione, gli Ermellini ribadiscono quanto già affermato in passato, in merito alla distinzione tra riciclaggio e ricettazione (sentenze n. 26208/2015[1], n. 13085/2013[2], n. 1422/2012[3]): per avere riciclaggio “non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni provento di reato, ma è sufficiente anche che essa sia solo ostacolata”, stante per l’appunto la natura fungibile del bene. Difatti, integra tale delitto “il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità”.
Nel caso di specie, l’attività perseguita impediva consapevolmente l’accertamento, in modo definitivo, della provenienza delle somme oggetto di giudizio o, quantomeno, lo rendeva difficile: ciò avveniva tramite l’apertura di libretti di risparmio o di conti correnti intestati a persone di fantasia oppure inconsapevoli dell’operazione, utilizzando nondimeno documenti di identità falsi. Come affermato dai Giudici, in questo modo, “le somme provento di truffa venivano rese utilizzabili da parte degli imputati dopo essere transitate su conti non sospetti, con la conseguenza che, mediante detto meccanismo, alle somme provento di delitto si sostituivano gli importi concretamente erogati dalla banca, rendendo particolarmente difficile l’identificazione dell’origine del denaro e riuscendo a realizzare lo scopo principe dell’operazione illecita, ovvero la ripulitura mediante sostituzione del denaro sporco, ovvero di illecita provenienza”.
Nell’ordinamento italiano, il riciclaggio è un reato previsto dall’articolo 648 bis del Codice penale, per effetto del quale: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da 5.000 ad euro 25.000. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a 5 anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648”.
Presupposto necessario del reato di riciclaggio, analogamente a quanto avviene per il meno grave reato di ricettazione – previsto dal precedente articolo 648 –, è l’anteriore commissione di un altro fatto delittuoso. Il reato presupposto è, dunque, condicio sine qua non ai fini della configurabilità del reato principale: la sua commissione è elemento strutturale del reato principale, ossia un vero e proprio requisito oggettivo necessario per integrare detta fattispecie.
Si noti che l’articolo 648 bis persegue unicamente le condotte che siano idonee ad impedire l’identificazione della provenienza del bene. Come affermato dalla stessa Corte di Cassazione, nella sentenza n. 30265/2017[4], “il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all’elemento materiale, che si connota per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene, ed all’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione”.
In questo panorama, coerentemente con gli standard internazionali e le direttive europee – da ultimo la Direttiva europea 849/2015 recepita con il Decreto legislativo 90/2017 -, ha avuto vita una cornice legislativa oggi rappresentata dal così detto Decreto antiriciclaggio (Decreto Legislativo 231/2007 e ss.ii.mm.). La nozione di riciclaggio, in esso adottata all’articolo 2, è strutturata in modo diverso rispetto a quanto previsto nel codice penale, abbracciando anche l’attività di autoriciclaggio sanzionata ai sensi dell’articolo 648 ter.1 del Codice penale: “s’intende per riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere a), b) e c) l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione”.
Per concludere, come è stato anche ribadito nella recente Riunione Plenaria del GAFI – Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale, dei primi di novembre 2017, è estremamente importante che la conoscenza e la comprensione dei fenomeni di riciclaggio e del terrorismo siano quanto più efficaci ed aggiornate, al fine di poter prevenire e contrastare, in modo concreto, detti fenomeni, a beneficio di un sistema economico libero e trasparente.
[1] Fattispecie relativa alla condotta di chi versava denaro di provenienza illecita sul conto corrente intestato a una società fiduciaria, in difetto di un formale incarico da parte del titolare della somma movimentata, ostacolando, in tal modo, l’origine dei fondi.
[2] Fattispecie relativa alla condotta di due donne che, occultando il rapporto coniugale con i capi di un sodalizio camorristico dedito al narcotraffico, avevano intestato alcuni milioni di euro in denaro contante ad una società di gestione fiduciaria, ottenendo poi, con lo smobilizzo dell’investimento, l’emissione in loro favore di assegni circolari.
[3] Fattispecie relativa al versamento da parte dell’imputato su conti correnti intestati ai propri figli di n. 99 assegni circolari provento di truffa.
[4] Fattispecie relativa alla condotta di chi riceveva assegni provento di delitto, li contraffaceva nel nome del beneficiario e faceva aprire a terzi conti postali con false generalità, su cui versarli, con conseguente monetizzazione dei titoli e prelievo della corrispondente somma di denaro.
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