ISSN 2385-1376
Testo massima
L’ammissibilità della impugnazione tardiva del contumace è condizionata al concorso di due presupposti, uno oggettivo (la nullità della citazione o della notificazione di essa), l’altro soggettivo (la mancata conoscenza del processo a causa di quella nullità) e tali requisiti devono essere provati in giudizio dalla parte contumace.
E’ quanto stabilito dalla sentenza n.6469 del 24/04/2012 pronunziata dalla seconda sezione della Suprema Corte a seguito di un ricorso presentato, avverso la sentenza della Corte di Appello, da due promittenti venditori i quali censuravano la violazione o falsa applicazione dell’art.327 cpc, comma 2 e dunque la tardività dell’impugnazione proposta dal promissario acquirente, rimasto contumace durante il giudizio di primo grado sebbene l’atto di citazione a giudizio fosse stato a lui notificato in primis ai sensi dell’art.140 cpc e successivamente ex art.143 cpc.
Ebbene, i giudici di Piazza Cavour hanno accolto il predetto ricorso atteso che colui il quale propone impugnazione tardiva ha l’onere di provare non soltanto la nullità della citazione o della notificazione, ma anche di non aver avuto conoscenza del processo a causa di ciò.
Ed infatti, conformandosi alla giurisprudenza di gran lunga prevalente, la Suprema Corte ha stabilito che l’impugnazione tardiva proposta dal contumace è ammessa solo ove ricorrano due presupposti: oggettivo, rappresentato dalla nullità della citazione o della notificazione di essa, e soggettivo, rappresentato dalla mancata conoscenza del processo a causa di quella nullità.
Ha altresì precisato che tali requisiti devono essere provati in giudizio dalla parte contumace e che la relativa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, che abbiano i caratteri cui l’art.2729 cc conferisce la speciale efficacia di conseguire la certezza probatoria, che siano, cioè, gravi, precise e concordanti) (Cass. n.9255/00, nonché Cass. 8504/95, 13012/97 e 3605/99 e 14393/99, 7485/04 e 6647/03, e più di recente, nn.19225/07 e 12004/11).
In conclusione, il principio di diritto sotteso alla sentenza esaminata statuisce che, in caso di impugnazione tardiva del contumace, è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare che l’invalidità dell’atto di citazione o della sua notificazione gli ha impedito la reale conoscenza del processo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TIZIO e CAIO (promittenti venditori)
– RICORRENTI –
contro
SEMPRONIO (promissario acquirente)
-CONTRORICORRENTI –
avverso la sentenza n.4678/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/11/2005;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento 4-5 motivo; rigetto degli altri motivi del ricorso.
Svolgimento del processo
TIZIO e CAIO, promittenti venditori di un appartamento sito in (OMISSIS), agivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma, con atto del 14.2.1992, nei confronti di SEMPRONIO, promissario acquirente, chiedendo la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, nonché per il risarcimento dei danni e il rilascio dell’immobile.
Rinnovata la prima notificazione, il convenuto era dapprima dichiarato contumace, poi, il Tribunale, revocata la dichiarazione di contumacia, disponeva una nuova notificazione che, dopo alcuni tentativi infruttuosi effettuati ex art.140 cpc, era eseguita ai sensi dell’art.143 cpc.
Quindi, nuovamente dichiarata la contumacia del convenuto, il Tribunale accoglieva la domanda.
Avverso tale sentenza SEMPRONIO proponeva impugnazione, innanzi alla Corte d’appello di Roma, dopo la scadenza del termine di cui all’art.327 cpc, sostenendo che la notifica della citazione effettuata ai sensi dell’art.143 cpc era nulla per non essere state specificate le indagini svolte al fine di identificare la sua residenza effettiva, e che nel periodo interessato egli aveva avuto residenza, contemporaneamente, sia in via (OMISSIS). Contestava, inoltre, nel merito la decisione.
La Corte capitolina con sentenza del 3.11.2005 accogliendo l’appello dichiarava nulla la notifica della citazione di primo grado e rimetteva la causa al primo giudice, ai sensi dell’art.354 cpc.
Esclusa, con espresso richiamo a Cass. S.U. n.458/05, la validità delle precedenti notificazioni effettuate ai sensi dell’art.140 cpc, non risultando dagli avvisi di ricevimento che il destinatario avesse ricevuto le raccomandate speditegli per la notizia dell’avvenuta notificazione, la Corte d’appello riteneva che anche la successiva notifica effettuata ex art.143 cpc il 14.6.2001 fosse nulla, perché in detta data non risultavano eseguite indagini dirette a stabilire il luogo di abitazione del destinatario ed erano, altresì, irrilevanti le informazioni che gli appellati riferivano essere state raccolte in via (OMISSIS) in occasione della notifica del 16.5.2001.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono TIZIO e CAIO, con cinque motivi d’annullamento.
Resiste con controricorso SEMPRONIO
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce la violazione degli artt.190, 275 e 276 cpc, per essere stata la sentenza deliberata (il 23.7.2005) prima dell’udienza di discussione (fissata per il giorno 21.9.2005).
2. – Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art.140 cpc nonché l’omessa o insufficiente motivazione sulla validità della notificazione del 7.9.1992.
Si sostiene, al riguardo, che per la validità della notificazione ai sensi della norma precitata non occorre che vi sia coincidenza tra il luogo in cui essa è eseguita e l’effettivo domicilio del destinatario, atteso che la norma menziona l’abitazione, l’ufficio o l’azienda di quest’ultimo; che lo stesso SEMPRONIO, nell’atto di citazione in appello aveva dichiarato che tra il 1995 e il 2003 risiedeva contemporaneamente tanto in via (OMISSIS), quanto in via (OMISSIS), sicchè la notifiche ivi effettuate ex art.140 cpc il 16.5.2001 erano regolari; e che ai fini della validità del procedimento di notifica di cui alla ridetta disposizione e dell’interpretazione datane da Cass. S.U. n.458705, è sufficiente che la raccomandata a.r. pervenga nella sfera di conoscibilità del destinatario.
3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art.140 cpc in relazione alla notificazione del 26.5.2001 nonché l’omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, non avendo la Corte d’appello valutato detta notificazione, che, eseguita ai sensi della citata norma presso la residenza di via (OMISSIS), recava nell’avviso di ricevimento l’annotazione dell’agente postale per cui la raccomandata non era stata recapitata perché il nominativo del destinatario non era né sul citofono, né sulla cassetta postale.
Ma poiché lo stesso SEMPRONIO, aveva ammesso di risiedere in allora anche, seppur non esclusivamente, in detta via e numero civico, ai sensi della citata pronuncia delle S.U. deve ritenersi che l’atto da notificare sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario.
4. – Con il quarto motivo è dedotta la violazione dell’art.143 cpc in relazione alla notificazione del 14.6.2001 e l’insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, atteso che la norma non prevede che le vane ricerche che legittimano il ricorso a detto procedimento notificatorio debbano tassativamente eseguirsi lo stesso giorno in cui è effettuato il deposito di cui all’art.143 cpc, e che, nella specie, nell’arco del mese circa intercorrente tra questa e la precedente notificazione del 16.5.2001, la notificazione era stata richiesta in entrambi i luoghi nei quali il SEMPRONIO aveva dichiarato di abitare (via (OMISSIS), e via (OMISSIS), quest’ultimo corrispondente alla residenza anagrafica), senza che il nominativo di lui risultasse sul citofono o sulla cassetta della posta.
5. – Con il quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art.327 cpc, comma 2 e l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, atteso che colui il quale propone impugnazione tardiva ha l’onere di provare non solo la nullità della citazione o della notificazione, ma anche di non aver avuto conoscenza del processo a causa di ciò. Per contro, il SEMPRONIO, nel suo atto d’appello non ha mai affermato di non aver avuto conoscenza del processo, nè ha indicato alcun elemento, anche soltanto presuntivo, da cui trarre dimostrazione di tale mancata conoscenza.
6. – Quest’ultimo motivo, che per la sua autonoma vocazione rescindente va esaminato con priorità, è fondato.
Secondo la giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa Corte, l’ammissibilità della impugnazione del contumace tardiva rispetto al termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza, previsto dall’art.327 cpc, comma 1, è condizionataci concorso di due presupposti, uno dei quali oggettivo (la nullità della citazione o della notificazione di essa), l’altro soggettivo, rappresentato dalla mancata conoscenza del processo a causa di quella nullità, requisiti che devono essere provati in giudizio dalla parte contumace.
La relativa dimostrazione può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, che abbiano i caratteri cui l’art.2729 cc conferisce la speciale efficacia di conseguire la certezza probatoria, che siano, cioè, gravi, precise e concordanti) (Cass. n.9255/00, nonché Cass. 8504/95, 13012/97 e 3605/99 e 14393/99, 7485/04 e 6647/03, e più di recente, nn.19225/07 e 12004/11).
Per contro, è minoritario l’indirizzo espresso dalle più risalenti sentenze nn.10248/91 e 851/76, le quali hanno ritenuto che la nullità dell’atto introduttivo del giudizio o della sua notificazione da luogo alla presunzione semplice che la parte contumace non abbia avuto conoscenza del processo, talché incombe sull’appellato-convenuto, che eccepisca la tardività dell’impugnazione, la prova che lo stesso abbia avuto detta conoscenza di fatto nonostante quella nullità.
6.1. – Indiscussa la necessità che debba essere dedotto e provato anche l’elemento soggettivo indicato dall’art.327 cpv. cpc, ossia che il contumace non abbia di fatto avuto conoscenza del processo a causa della ridetta nullità, questo Collegio ritiene di aderire all’indirizzo prevalente, ormai consolidatosi da ben oltre un quindicennio (sicché sul punto non può configurarsi un contrasto sincrono di giurisprudenza).
La soluzione contraria fornita dalle più risalenti pronunce, utilizzando la presunzione semplice di non conoscenza del processo derivante dalla nullità della notificazione, determina un automatico riferimento dell’anzidetto onere probatorio alla parte convenuta nel giudizio d’impugnazione, effetto, questo, che non solo contraddice il dato letterale della norma, che espressamente pone a carico del contumace, e dunque della parte che propone l’impugnazione tardiva, l’onere di provare che l’invalidità dell’atto di citazione o della sua notificazione gli ha impedito la reale conoscenza del processo, ma altresì ribalta inavvertitamente la funzione logico-processuale della praesumptio hominis, che non è quella di (concorrere a ripartire gli oneri probatori, ma di colmare i limiti naturali alla dimostrabilità di un fatto attraverso la conoscibilità critica di esso.
A favore della soluzione prescelta depone, altresì, la considerazione (di pura logica giuridica) per cui l’onere in questione, ove incombente sulla parte che eccepisce la tardività del gravame, potrebbe essere assolto mediante presunzioni di segno opposto operanti sul medesimo oggetto, e dunque concettualmente non isolabili da quella stessa inferenza che ne imporrebbe il ricorso, col risultato che contrapposti elementi di carattere indiziario, pur destinati a confrontarsi tra loro, avrebbero un diverso peso processuale, l’uno per deviare un onere probatorio, gli altri per assolverlo.
6.2. – Nello specifico, premesso che questa Corte può procedere all’esame del fatto processuale, essendo stato denunciato con il motivo in esame un error in procedendo, deve rilevarsi che l’appellante, odierno controricorrente, non ha né provato, né offerto di provare di non aver avuto effettiva conoscenza del processo.
La sola circostanza di tipo presuntivo dedotta al riguardo, per cui il SEMPRONIO, avendo pagato l’intero prezzo dell’immobile, non sarebbe rimasto inerte di fronte alla causa promossa dai promittenti venditori per la risoluzione del contratto, prova troppo perché da un lato non spiega le ragioni che ciò nonostante hanno originato la lite, e dall’altro non considera l’altrettanto forte e contrapposto interesse a paralizzare l’iniziativa processuale di questi ultimi per un tempo più lungo, utilizzando gli effetti della dedotta nullità della notificazione.
7. – L’accoglimento del suddetto motivo assorbe l’esame delle restanti censure e impone la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, con conseguente declaratoria d’inammissibilità dell’appello proposto da SEMPRONIO,
8. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e dichiara inammissibile l’appello, con condanna del resistente alle spese del giudizio d’appello, che liquida in Euro 3.900,00, di cui 1.400,00 per diritti, 200,00 per spese ed il resto per onorari, oltre alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, il tutto oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.
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Numero Protocolo Interno : 235/2012